lollo+lucci 1ALESSANDRO MASTANDREA | Strana specie queste “Iene”, bipedi antropomorfi che amano muoversi sui non facili crinali dell’etere, dove scivolare nel “già visto” è qualcosa di più che una remota possibilità. Tuttavia, sebbene celato da uno spesso strato di leggerezza, e al pari di trasmissioni di denuncia ben più blasonate, un nocciolo sul quale riflettere è possibile trovarlo.
Tra cazzeggio e denuncia, indignati eppure “Pop”, di strada ne hanno percorsa queste controparti televisive tarantiniane, dai tempi in cui, sconosciuti inviati, era una Simona Ventura non ancora sulla cresta dell’onda a capitanarli. Nel mezzo, la voglia di rinnovarsi per rimanere agganciati ai gusti delle nuove generazioni poco avvezze alla TV e molto più ai new media, loro che qualche ruga intorno al ghigno oggi la mostrano.
Questa edizione 2013 (Italia 1, domenica in prima serata) non fa eccezioni. Sebbene la formazione delle “iene da strada” sia rimasta grosso modo inalterata, è in studio che si consuma la più grossa delle rivoluzioni formali: via la coppia di iene maschili che affiancano l’ex letterina Blasi, capobranco e consorte del “pupone” nazionale, dentro il solo Teo Mammuccari coadiuvato dalle impertinenti voci fuori campo della Gialappas’s Band.
Ben altro discorso per quel che riguarda i contenuti, dove, come detto, ai momenti di alleggerimento
se ne alternano altri più vicini alla “TV dell’indignazione”.
Ed è la fotografia impietosa di un “popolo di santi, navigatori e truffatori” quella che ci viene restituita da molti degli inviati (Casciari, Viviani e Pelazza), dove è una telecamera spesso nascosta a mostrarci la vita in maniera non patinata. Una TV che dosa impegno e leggerezza, sebbene di primo acchitto pare sappia parlare più alla pancia che al cervello. Eppure, non fosse altro che per alcuni dei temi trattati, il cervello è stimolato eccome. Capita, per esempio, con le denunce raccolte da Paolo Calabresi e Laura Gauthier nella puntata del 27 gennaio: incentrata, l’una, sulla testimonianza anonima di una madre il cui figlio ha subito molestie da un pedofilo; l’altra, sulle malefatte di un sedicente manager dello spettacolo col vizio di proporre serate di sesso e droga a ragazze minorenni. Che le finalità spettacolari si frappongano alla profondità del discorso, sorta di velo o cataratta, opacizzandolo, è un dato di fatto. Tuttavia è quando cominciamo a chiederci come mai una madre preferisca la TV, magari in forma anonima, alle autorità preposte, che una prospettiva nuova comincia a farsi strada. Che si tratti di sfiducia nelle istituzioni, o dell’irresistibile attrattiva dei media, non è forse vero che alla TV deleghiamo, oltre ai nostri stati affettivi, anche il nostro fare, in una sorta di circolo in cui la vita rappresentata all’interno della cornice televisiva è più vera del vero?
Non ce ne vogliano i puristi del giornalismo televisivo di inchiesta, ma non è forse lo stesso sentimento di indignazione anche quello che proviamo guardando trasmissioni come Report? Non è forse alla pancia che parlano entrambe? Se così non fosse, dovremmo dunque aspettarci sollevazioni popolari con l’una e non con l’altra?
Anche “le Iene”, in definitiva, possono rivendicare una propria ragion d’essere, che trova una sintesi, ad esempio, nell’opera dello stralunato Enrico Lucci, capace di alternare diversi registri. E’ uno strano tipo di racconto il suo, che mescola elementi superficiali – come il facile sorriso provocato dal racconto della vicenda in un dialetto romano un po’ sguaiato – a elementi più commoventi, come capita nel racconto a tinte poetiche del viaggio fatto con Gina Lollobrigida in treno. Ne “i tormenti della diva” (domenica10 febbraio), grazie al giusto mix di immagini e musica, la iena Lucci, a dispetto della superficialità testuale di cui si è detto, sa di restituirci un quadro in realtà affettuoso:
“A ottantacinque anni Gì, ma che cazzo ce ne frega de un portacenere. A Gì guarda che bella ‘a vita”.

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