cecchi_reRENZO FRANCABANDERA | La riflessione che vorremmo svolgere nasce dalla visione ravvicinata dello spettacolo “Serata a Colono”, testo di Elsa Morante e regia di Mario Martone con, tra gli altri, Carlo Cecchi, in scena al Piccolo Teatro di Milano, e del film “Re della terra selvaggia”, opera prima del regista Benh Zeitlin, vincitore del Sundance Festival 2012 e divenuto celebre, oltre che per la scrittura visionaria della drammaturgia cui è ispirato, anche per la straordinaria interpretazione della piccola Quvenzhanè Wallis.
Il motivo della vicinanza di queste due creazioni è in una serie di trovate che le accomunano: innanzitutto l’universo extra moenia che fa da ambientazione ad entrambe. Mario Martone, infatti, pensa il soliloquio del suo Edipo in un manicomio, con la platea percorsa per tutto il tempo in lungo e in largo da folli, ognuno con il suo tic, la sua ossessione.
Il film pure racconta di vite ai bordi, ugualmente un padre e una figlia, immersi, è proprio il caso di dirlo, in un mondo di reietti, che hanno creato a modo loro una comunità, con un codice comunicativo etilico, incomprensibile, tanto che spesso vien da pensare che non si ascoltino neanche, in un’ebbrezza ambientale che non può che lasciare stranito lo spettatore.
In Serata a Colono, il pubblico è immerso nel via vai dei corridoi del manicomio, quasi implicitamente a fare parte del coro dolente dei suoi abitanti in abiti consunti, a trasformare il punto di vista del fruitore in quello del folle, incapace di comprendere il messaggio di Edipo, disperato per il suo destino, che leva al vuoto il suo pianto lirico.

Zeitlin, per quasi tutto il film, gira con la telecamera ad altezza di bambina, quasi per enfatizzare il suo punto di vista, costringendo lo spettatore a guardare il mondo come lei, misurando dal basso in alto l’altezza degli adulti, degli alberi, del paesaggio. Tutto diventa gigantesco e incomprensibile.
In questi scenari fuori dalla società civile, con punti di vista tipicamente estranei alla norma, le due figlie (Antigone e Hushpuppy) devono confrontarsi con la malattia del genitore moribondo, entrambe in un misto di sentimenti che oscilla fra la speranza che mai nulla finisca e la consapevolezza che invece la titanica e insieme crudele figura del genitore è lì per dissolvere la sua presenza fra parole, moniti e insegnamenti, spesso incomprensibili per gli occhi ancora ingenui.

Edipo, nel delirio di Colono, tuttavia, non si sforza di attivare nei confronti di Antigone un processo di formazione genitoriale, mentre il padre della piccola Hushpuppy procede, in maniera animalesca (si veda il frammento video in fondo all’articolo) a insegnarle come sopravvivere in un universo ostile ma del quale reclama la cittadinanza.
E se Edipo rifiuta il mondo che lo ha visto diventare re, maledicendo il destino così crudele con lui, nel film il genitore preferisce, piuttosto che farsi curare, andare a morire nella sua natura selvaggia, in un’ambientazione argomentativa onirica e spesso totalmente visionaria e bizzarra.

In questo il film risulta superiore allo spettacolo, se mai possa essere fatto un paragone di questo genere fra arti così diverse che stimolano in sensi in maniera così difformemente complessa. Ma, tant’è, nel tempo di incroci mass mediatici che è il nostro, la mente consapevolmente o meno crea collegamenti, sancisce ordini, priorità, supremazie.
Certo, è l’intento stesso dei due lavori a voler essere diverso: in quello teatrale la “folle” e poetica consapevolezza di Edipo resta non intellegibile da chi lo circonda, figlia, folli del manicomio, nessuno, perfino il pubblico, il film invece ha un ricco elemento da bildungsroman onirico-animale ed è il personaggio della figlia ad essere davvero una chiave di lettura e di sviluppo, il fulcro.
L’Antigone di Martone è invece un personaggio un po’ piatto, non sviluppato, di rustica inconsapevolezza, monodico in un recitato popolar-cantilenante, che paradossalmente finisce per appiattire la figura paterna in una necessità di titanica decadenza, che forse è anche un po’ estraneo al pensiero della Morante, ove se ne potesse certificare l’interpretazione autentica, cui certamente Cecchi, per il suo vissuto amicale con la scrittrice, sarebbe comunque più vicino.
Ma se di nave dei folli deve parlarsi, di lucida allucinazione, abbiamo sentito più viva e necessaria quella della Grande Vasca, dell’umanità derelitta che la abita ne il “Re della terra selvaggia”. I due padri muoiono, scompaiono. Edipo si dissolve addirittura nel nulla. L’altro viene arso sulla pira dalla figlia. Forse è proprio la questione di fondo che ha mosso in noi il paragone fra le due visioni: in una, il film, vive una speranza, mentre nell’Edipo, nella lettura di Morante-Martone-Cecchi no. Di questi tempi poco ci resta: toglierci pure la possibilità non dico di un lieto fine, ma di un futuro, persino preistorico e da naufraghi, ma pur sempre futuro…

Un significativo frammento del film disponibile su youtube, in cui è sintetizzato il processo di crescita padre-figlia
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=8Ud0SC9JPO8]
Alcune sequenze di Serata a Colono
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=iXMiTW7aU4s]