Reality foto di SILVIA GELLILAURA NOVELLI | Una donna come tante. Una vita come tante. Trascorsa a Cracovia tra gli anni Venti del ‘900 e il 2000. Un marito internato in un campo di concentramento e liberato alla fine della seconda guerra. Due figli. Un matrimonio dissoltosi con un abbandono. Solitudine. E un segreto così intimo e sorprendente da essere stato carpito solo dopo la morte: per ben 57 anni Janina Turek – questo il nome della donna – ha meticolosamente annotato su 758 taccuini divisi per argomento i “dati” della sua vita. Sarebbe a dire: colazioni, pranzi e cene, regali ricevuti e regali fatti, visite ricevute e visite fatte, spettacoli teatrali visti, telefonate, programmi televisivi, incontri fortuiti, appuntamenti fissati. Migliaia di annotazioni che ricostruiscono, con geometrica precisione, il suo rapporto con la realtà, con la nuda e cruda concretezza del quotidiano, così come esso si è sviluppato nel corso di un’intera esistenza.
I quaderni, ritrovati dalla figlia della donna dopo la scomparsa di quest’ultima e poi pubblicati dal giornalista polacco Mariusz Szczygiel, sono diventanti il fertile terreno di riflessione e sperimentazione su cui si muovono da tempo Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, coppia di attori/performer già famosi per lavori come “Rewind” (omaggio a “Cafè Müller” di Pina Bauch) e “From a to d and back again” (ispirato al pensiero di Andy Warhol) che hanno dedicato al misterioso tesoro della Turek due produzioni diverse ma complementari: la performance “Rzeczy/Cose” e lo spettacolo “Reality”, entrambi in cartellone al Palladium di Roma nei giorni scorsi.
E se la diversità dei due lavori è cosa facilmente intuibile e deducibile, la loro complementarietà merita senza dubbio un discorso più ampio. Nel primo titolo vediamo, infatti, gli interpreti muoversi tra numerosi scatoloni di “cose”, quasi in uno scenario di trasloco in atto. Un trasloco che è il “nostro” trasloco. Oggetti di uso domestico, indumenti, libri che ci parlano di noi stessi, dei nostri ricordi, delle mille piccole faccende in cui spendiamo le nostre giornate, costruendoci quel fare, toccare, riporre, usare, che è poi il nostro esserci, il nostro tentativo di dare un senso al quotidiano, di giustificarne l’ingombrante necessità agli occhi nostri e di chi ci sta accanto. E’ forte qui, nella sua semplicità, il tentativo di lasciare al pubblico i silenzi e la lentezza di un’esperienza fruitiva del tutto personale (e, per certi versi, ci vengono in mente due romanzi della Nouvelle Vague francese come “Le cose. Una storia degli anni ‘60” e “La vita, istruzioni per l’uso” di Georges Perec).
Nel secondo titolo, invece, siamo spettatori chiamati a condividere domande importanti che si aprono nei vuoti, negli interstizi, nelle pieghe sommesse di quei 748 quaderni. Chi era realmente Janina? Perché ha sentito il bisogno di annotare tutta quella mole di dati? Cosa cercava mentre compilava quelle pagine? E’ possibile che da quei puntuali elenchi traspaia qualcosa dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, delle sue paure? Migliaia di annotazioni oggettive bastano per ricostruire un’identità?
Non è un caso che l’interessante spettacolo, sorretto dall’ottima prova della Deflorian (Premio Ubu l’anno scorso proprio per questa interpretazione e per quella regalataci ne “L’origine del mondo” di Lucia Calamaro, dove tra l’altro la relazione fra mondo femminile e oggetti costituiva un elemento emblematico della drammaturgia), sia costruito proprio come una sorta di indagine biografica che usa la forma e le forme del teatro per costruire e subito dopo decostruire un possibile identikit della donna e dei momenti cruciali della sua esistenza. A partire proprio dalla morte, avvenuta in una strada di Cracovia, per infarto, mentre tornava a casa dopo aver fatto la spesa. E dunque: i due attori provano a morire nello stesso modo in cui presumibilmente morì Janina. Dirigono le loro azioni, le spiegano, le mettono in prova e in vita sotto gli occhi del pubblico azionando uno straniamento che, decontestualizzando gli avvenimenti, li fa balzare ad un piano di riflessione sulla loro rappresentabilità e, in ultima analisi, sulla loro veridicità.
Il momento in cui la donna prende la decisione di scrivere i diari, quello in cui reagisce all’abbandono del marito, i pomeriggi da anziana trascorsi davanti alla tv scandiscono altri passaggi significativi della sua vita. Ma, sembra volerci dire “Reality” (in replica il 12 aprile a Terni e il 20 a Casalmaggiore), questa ricostruzione in bilico tra fatti registrati e reazioni/emozioni solo immaginabili, tra esteriorità e immedesimazione (qui sta anche il nodo centrale di una prova attoriale non facile e certamente lodevole in entrambi i protagonisti), tra mondo concreto e ineluttabile fluidità dell’anima, possiede una trappola che ci fa inciampare nell’ignoto.
Forse insomma ben poco di quanto ha annotato Janina nei suoi straordinari quaderni ci serve oggi per parlare veramente di lei. Lo scrive lei stessa nelle cartoline che si mandava costantemente: “Ho vissuto o ho fatto finta?”. In fondo c’è qualcosa della Winnie beckettiana in questa donna dai contorni sfuggenti che sembra attaccarsi voracemente alla concretezza del reale per fuggire al terrore di essersi persa, di non ritrovarsi, di non sentirsi. La sporta di Winnie, con il suo spazzolino da denti, lo specchietto, l’ombrellino, funziona un po’ come la scrittura di Janina: un’ancora nel mare minaccioso e imprevedibile della vita. Ma anche questa è solo un’ipotesi. Una suggestione. Un’idea.

Links
www.realitydiario.tumblr.com
www.dariadeflorian.it
www.antoniotagliarini.com

1 COMMENT

  1. […] e Antonio Tagliarini (Opificio Telecom Italia, Roma 3 aprile; Teatro Palladium, Roma 6 aprile) Se i dati concreti non bastano a parlarci dell’anima: Deflorian-Tagliarini di nuovo a Roma con il … di Laura Novelli (PAC -Paneacquaculture.net, 9 aprile) Rzeczy/Cose – Reality di Rossella Porcheddu […]

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