carosello reloadedALESSANDRO MASTANDREA | Uno spettro si aggira per le strade delle nostre città e tra i tinelli delle nostre dimore. Non quello del comunismo immaginato da Karl Marx, quanto piuttosto un cane a sei zampe che, in guisa di murales, non può far a meno di dispensar consigli sul risparmio energetico. O magari, subito dopo, di un marchio stampigliato sul furgoncino di un indefesso lavoratore dei telefonini che, tra un’antenna in riva al mare e l’altra, ama stipare ciottoli e conchiglie di ogni forma e foggia nel furgoncino aziendale.
«Carosello Reloaded vuole rappresentare per il mercato pubblicitario una nuova e più evoluta forma di comunicazione nell’era del digitale multischermo, multipiattaforma: il Branded Entertainment, un’intersezione tra advertising e entertainment, tra pubblicità e contenuto editoriale». Così ha affermato di recente Lorenza Lei, a.d. di Sipra.
Parliamo allora dello spirito del Brand, che permea i palinsesti tv e le nostre intere esistenze.

Non se ne abbia a male la Lei se, a dispetto del tono enfatico e del vocabolario forbito, dovesse scapparci di segnalare quella certa discrepanza tra la dichiarazione e gli esiti raggiunti dalla “sua” neonata creatura, sorta di uovo di Colombo che, cavalcando dolcemente le onde dei ricordi, prova a rendere ancor più ambito lo spazio pubblicitario che precede il prime-time.
Per quanto celata dietro i fumi della nostalgia, di questa incongruenza interna a Carosello Reloaded potrebbe trovar traccia anche lo spettatore meno smaliziato. Se infatti appare piuttosto chiaro dove si collochi il “Branded”, è molto meno facile stabilire dove sia l’”Entertainment”, a conferma del fatto che anche per la TV pare vigere la “legge del remake”, con la copia che si dimostra quasi sempre incapace di raggiungere gli esiti dell’originale.
Della storica incarnazione, quella attuale sembra aver conservato solamente il nome e – in parte – la sigla, rimaneggiata con l’aggiunta di inserti in grafica digitale belli come denti dipinti di nero sui sorrisi delle modelle che campeggiano sulle insegne pubblicitarie. A confermare il sospetto che non si tratti di un semplice lifting, ma di un vero e proprio cambio di paradigma, è soprattutto la rivisitazione della struttura che caratterizza la versione storica. Se, allora, questa prevedeva una divisione netta tra la parte riservata allo spettacolo e quella prettamente pubblicitaria – dove la prima occupa un minuto e 50 secondi circa, mentre la seconda i restanti 30-, quella odierna prevede un unico lungo “spottone”, dai non meglio precisati intenti artistici. Quel che ne scaturisce è un contenitore privo di contenuti, dove la narrazione si fa indefinita come brodo primordiale e il Brand è l’unica forma di vita a emergere vittoriosa.
“Dopo il Brand il diluvio”, verrebbe da dire. Nemmeno le facce dei testimonial, da scaricare nel caso diventino tanto ingombranti da metterne in ombra la centralità – come capitò, anni addietro, a Nino Manfredi con una nota marca di caffè.
Non ce ne voglia dunque la Lei, dicevamo. Non ce ne voglia soprattutto se, per concludere, alla sua dichiarazione preferiamo le parole di Jean Boudrillard: “La società dei consumi è così la società dell’apprendimento del consumo, dell’addestramento sociale al consumo.[…] Il sistema industriale, avendo socializzato le masse come forza lavoro, doveva andare più lontano per realizzarsi e socializzarle (cioè controllarle) come forza consumo”.

Se ieri, da quel lontano 3 febbraio 1957 che diede i natali alla fortunata trasmissione, si era soliti dire: “i bambini a letto dopo Carosello”, oggi converrà invece seguire l’istinto – di genitori e cittadini, prima ancora che di consumatori- e non aspettarne neppure l’inizio.

P.S.: per approfondimenti, si consiglia la lettura di: “Come i bambini diventano consumatori”, Ed. Laterza.

http://www.youtube.com/watch?v=QaAoB78ONNI