console 2VALENTINA SOLINAS | Sembra passata un’eternità da quando nel 2008 a Ercolano è stato inaugurato il Mav, il Museo Archeologico Virtuale o da quando è stata completata la ricostruzione virtuale dell’antica via Flaminia di Roma e della villa di Livia al Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano; nei musei italiani sempre più frequentemente si sta diffondendo l’uso della tecnologia.
Un esempio recente di interazione fra cultura museale e nuova digitalizzazione si trova a Pisa nel Museo Nazionale di San Matteo, che si pone come obiettivo futuro l’utilizzo estensivo delle applicazioni tecnologiche. A fine dicembre del 2012, con la convenzione della Scuola Superiore di Sant’Anna e la collaborazione dell’associazione culturale Mnemosyne, spin off del laboratorio di robotica PERCRO, nella sala della Chiesa della Spina è stato introdotto un supporto video costituito da slide che riassumono cronologicamente la storia della chiesa pisana, mostrando le principali date e le foto d’epoca. L’innovazione più interessante per un museo dedicato all’arte antica si trova nella sala adiacente, che ospita pale e polittici dei pittori tardo gotici e rinascimentali; là è situato il polittico di Santa Caterina D’Alessandria di Simone Martini. L’opera del pittore senese è ritornata al suo posto a maggio del 2013, dopo due anni di restauro, consumati in un’altra sala dello stesso edificio. Per non privare il museo del capolavoro trecentesco si ovviò con una riproduzione digitale dell’opera, in scala 1:1.
L’associazione Mnemosyne realizzò un progetto che per la sua spettacolarità poteva essere considerato un’istallazione di software art: uno schermo con il quale si poteva interagire tramite l’interfaccia grafica di un touch screen, su cui erano organizzate informazioni a più livelli, nozioni storiche e artistiche, notizie sui precedenti restauri, integrate da due video del risanamento che si stava realizzando al museo, con l’aggiunta della sezione dedicata alla diagnostica. La parte più strabiliante era l’opzione pan-zoom sullo schermo che permetteva di visualizzare da vicino un punto scelto nell’opera, offrendo la possibilità di una visualizzazione approfondita e dettagliata, altrimenti impensabile.
Finito il restauro, lo schermo digitale è stato sostituito dal lavoro originale, ma ad affiancare il polittico è rimasto il supporto interattivo con le schede testuali e i video. La console ha un effetto estremamente attrattivo, tanto che il giorno dell’inaugurazione che sanciva il reintegro dell’opera, molti visitatori si sono fermati a comprovare la duttilità del touch.
Dopo aver visto il progetto sul Martini viene quasi da sperare in una totale rivoluzione tecnologica per tutti i musei italiani, in quanto la console che supporta il polittico di Santa Caterina D’Alessandria è un valido aiuto nella diffusione delle notizie storico – artistiche, soprattutto perché l’opera rimane l’attrazione principale.
Per molti addetti ai lavori, e in fondo dal contributo di Benjamin in avanti, il tema per le tecnologie è se il loro utilizzo, nel riprodurre o replicare un’opera d’arte alteri o meno la percezione naturale dell’oggetto, offuscando l’oggetto dell’esperienza museale che è l’esposizione pubblica e in luogo idoneo dell’opere d’arte.
Negli Stati Uniti, sempre a maggio del 2013, ha avuto molta risonanza la rivoluzione digitale del museo di Cleveland di cui l’attrazione principale è la spettacolare Gallery One, una parete multimediale di oltre 12 metri, composta da 10 aree interattive che si differenziano a seconda del target di visitatori (ad esempio ce ne sono due dedicate ai ragazzi) o in base alle preferenze: gli interessati possono scegliere o creare un proprio percorso per visitare le collezioni, scaricare l’itinerario tramite apposite apps, e armati di iPad esplorare il patrimonio artistico del museo. Un caso che ha fatto scalpore e acceso un dibattito intenso.

Nell’attuale panorama museale si corre il rischio che l’intervento creato per incrementare la fruizione dell’oggetto artistico o ideato per divulgarne la conoscenza storica si possa trasformare in un prodotto d’intrattenimento più “interessante” dell’oggetto stesso. É lecito domandarsi quanto realmente siano necessarie certe misure d’intervento; soprattutto nei casi in cui agli occhi dello spettatore si presenta un’esposizione tecnologica (come per Cleveland); dove lo strumento concepito per facilitare l’esplorazione dei beni artistici quasi si sostituisce ad essi.
Per maggiori chiarimenti sulla questione, abbiamo intervistato il direttore del Museo di San Matteo, Dario Matteoni, e la realizzatrice del progetto sul polittico di Simone Martini, Chiara Evangelista, socia e fondatrice dell’associazione culturale Mnemosyne.

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