980x500_PETER-BROOK_UN-FLAUTO-MAGICOANDREA CIOMMIENTO | La singspiel di Mozart si fa testamento scenico della lunga vita artistica di Peter Brook. Non c’è più nulla da nascondere in teatro e il suo “Flauto Magico” delinea un allestimento essenziale dal tratto scenico immediato, intessuto di parola detta e verso in canto. C’è il quieto Tamino che s’innamora di Pamina attraverso il ritratto, c’è il viaggio alla conquista della bella rapita dall’oscuro Sarastro; c’è anche la Regina della Notte, Papageno, il flauto, la campanella e le iniziazioni, ma quel che lascia il segno è ancora una volta la scena aperta di Brook.

Questo è l’ultimo lavoro del regista che, a sua voce, sospenderà la direzione di altri nuovi lavori. Lo spettacolo non manifesta la grandiosità mitica della partitura mozartiana ma piuttosto una vivace sobrietà visiva che amplia lo sguardo sull’opera liberamente adattata dallo stesso regista insieme a Franck Krawczyk e Marie-Hélène Estienne.

Niente scenografia e orchestra: solo canne di bambù, teli di seta e pianoforte. La geometria sollecita l’immaginazione dello spettatore attraversando paesaggi drammaturgici che accendono e illuminano sottraendosi all’artificio. La rinuncia allo sfarzo preserva altresì la ricchezza d’attore e le relazioni che ognuno di essi genera nell’incontro con gli altri. Tutto da custodire a futura memoria. Ora lo spazio si allarga e si restringe in una mappatura dinamica determinata dagli stessi attori che creano dramma in una dimensione progressiva, maneggiando i cannicci scenografici come porte e confini da attraversare, cornici di stanze intime, sentieri di foresta, porte del tempio. Sembra quasi improvvisino con maestria consapevole in questa scacchiera per un metodo di creazione dove il testo, la drammaturgia, è solo un mero pretesto.

In cento minuti senza intervallo il pubblico è testimone di una fiaba d’amore pervasa di desiderio e vita, discernimento del bene e del male, e paura della morte. È la storia del tempo che si rincorre, delle ore pronte a cedere ad altre ore; una luce alla ricerca di un altro occhio che cambi direzione. È un flauto semplice e non pretenzioso, liberato e protetto da veli registici che riparano. Questo libero arbitrio spalanca le porte alla scena scostando la forma tradizionale dell’opera lirica e della convenzione, e facendo respirare.

Lo spettacolo, debuttato nel 2010 e prodotto dal Bouffes du Nord di Parigi, porta in scena due cast in alternanza, sette giovani cantanti e attori di etnie differenti con una fisicità propria e gustosamente riconoscibile. Giocano al teatro con serietà brookiana restringendo il campo della finzione a un patto di sincerità unica nei confronti del loro pubblico. Una testimonianza vitale di cosa significhi essere “presenti al presente”, ci direbbe il Maestro.

Visto al Rossetti di Trieste:

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