Macabra Dolorosa fotoGIULIA RANDONE | Un aperitivo in piazza Conte Rosso, nel cuore medievale della città di Avigliana (Torino), dà il via alla seconda edizione italiana del Festival Printemps d’Europe, nato nel 2008 a Lione. La Piccola Compagnia della Magnolia, curatrice del festival, fa gli onori di casa. Si mangia, si beve, si fanno le presentazioni e gli abitanti hanno l’occasione di conoscere gli artisti ai quali offriranno ospitalità durante la settimana. La conversazione scorre piacevolmente, punteggiata da intermezzi lirici e dai discorsi di Giorgia Cerruti, direttrice artistica della PCM, Renaud Lescuyer, direttore artistico del festival lionese, e dell’Assessore alla Cultura Andrea Archinà.
Ore 20.30. Entrati nel Teatro Fassino ci troviamo di fronte una donna mostruosa, il volto pallido, le labbra e i denti tinti di nero. Per un’ora e mezza sprofondiamo nel bunker del Führer insieme a Magda Goebbels, che avvelena i sei figli per salvarli dalle brutture di un mondo che ha rinnegato gli alti ideali del nazionalsocialismo, e nel buio ci vengono incontro altre madri assassine. Medea è la capostipite, ma sono giovani donne nostre contemporanee a spiegarci perché hanno ucciso i propri figli e a fornirci la ricetta per nascondere il corpo con il distacco di chi spiega come preparare una torta di mele.
Lo spettacolo Macabra Dolorosa, del giovane Teatr Nowy di Cracovia, nasce sulla scia di un caso di infanticidio che ha fatto discutere a lungo la Polonia e che è stato accompagnato da un grande rimbombo mediatico, ma non fa da cassa di amplificazione del pruriginoso linguaggio cronachistico. Se show mediatico deve essere, allora che sia uno show vero e proprio! Il regista Paweł Szarek e l’autrice e interprete Katarzyna Chlebny trasformano la tragedia in un cabaret dark, in uno spettacolo musicale per voce, batteria e pianola articolato in 14 canzoni e monologhi.
Il clima musicale è quello gotico e salmodiante di Nick Cave, ma anche del metal di Marilyn Manson e dell’industrial degli Einstürzende Neubauten. Brani da concerto, balletti meccanici e agghiaccianti confessioni venate di lirismo si succedono creando un impasto organicamente coeso: il riferimento formale degli artisti è la rivista dada ma sulla frammentazione surrealista prevale il filo conduttore della presenza magnetica dell’attrice. Chlebny porta in scena testimonianze omicide attraversando registri linguistici differenti: da quello più immediatamente mimetico evidenziato dall’accento tedesco della Goebbels o dallo slang di una giovane volgare, la voce via via si impasta fino a diventare una maschera crudele e impenetrabile. Il volto ci appare sempre distante, le pupille quasi acquose dell’attrice non si lasciano sondare, ma con movimenti a metà tra l’artista del burlesque e la baba yaga, Chlebny cerca di attirare a sé il pubblico, ad esempio invitandolo a partecipare alla ricerca della piccola Helga, l’unica dei figli di Goebbels che tenta di sfuggire alle grinfie della madre.
In questo vaudeville angoscioso e orrifico costruito sul bisogno di amore e sull’impulso all’odio – “ti amo tanto da uccidermi/ti uccido perché ti amo” canta rabbiosamente Chlebny – il corpo e la voce dell’attrice portano alla luce un groviglio di solitudine, frutto di una vicinanza eccessiva e intollerabile della creatura a cui si è data la vita e, all’opposto, della lontananza dall’uomo amato, compagno di letto o idolo da venerare. La Goebbels non è quindi solo la matrona nazista ritratta nel primo quadro dello spettacolo, ma anche una bambina che cerca di colmare la distanza dal suo papà-Führer cercando in tutti i modi di compiacerlo. Lo stesso braccio che si era levato per il saluto nazista, nell’appassionato canto finale Seemann (interpretato sulla falsariga di Nina Hagen) si solleva lentamente nell’aria a cercare qualcuno che non c’è più, fino a essere inghiottito dal buio.

Non è un finale che vuole muovere a compassione per l’assassino, non è in gioco una possibile giustificazione, ma la necessità di provare dolore e stare faccia a faccia con un orrore che è tutto umano e che, come tale, si ripete.

Abbiamo intervistato il regista e l’attrice al termine della seconda replica dello spettacolo:

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