ALESSANDRA CORETTI | fibre paralleleE’ una scena spavalda, beffarda e politically incorrect quella che contraddistingue Lo splendore dei supplizi, sesta fatica di Fibre Parallele. Il duo barese, per la prima volta in Basilicata, ha aperto la stagione teatrale organizzata dall’associazione culturale Incompagnia, presso il Teatro Comunale, lo scorso cinque dicembre a Matera. Licia Lanera (attrice e regista) e Riccardo Spagnulo (attore e drammaturgo) – coppia d’arte e di vita – con lucidità e precisione ben calibrate, organizzano un dispositivo scenico pensato come zona d’urto in cui l’azione degli attori sfida e graffia la coltre pudica degli spettatori fino a perforarla. L’opera, data dalla successione di quattro tableaux: La coppia, Il giocatore, La badante e Il vegano, non reifica la realtà ma fa emergere, gradualmente, la disinvolta profanazione quotidiana della condizione umana coeva. Inserita nella sezione Ri-pensamenti Il Teatro per il sociale, essa è un efficace esempio di grafia scenica contemporanea, riscrittura drammaturgica per immagini metaforiche, contrasti e toni ironici del nostro sciagurato presente. Altamente performante, la prestazione attoriale dei due protagonisti – affiancati da Mino Decataldo (nei panni del boia, interprete anche, nell’episodio conclusivo, del malcapitato vegano ucciso a colpi di uova e salame) – riesce a tenere ben tese le corde percettive del pubblico sino al termine dello spettacolo. A conferma di ciò Licia Lanera pochi giorni dopo questa replica riceve il Premio Ubu come miglior attrice under 35, riconoscimento che non è il primo nell’excursus professionale della giovane interprete già vincitrice del Premio Eleonora Duse 2014, Premio Virginia Reiter 2014 e Premio Landieri 2011. Un grande orgoglio per la Puglia, territorio in cui la compagnia si distingue per essere punto di riferimento di aspiranti attori e non solo, luogo dove nuove energie e progettualità si incontrano in laboratori culturali e momenti di alta formazione.

Lo splendore dei supplizi si ispira all’omonimo saggio tratto da Sorvegliare e punire di Michel Foucault, come si inserisce il testo nella costruzione drammaturgica dell’opera? Cos’è secondo voi il supplizio oggi?

Lo spettacolo è una drammaturgia originale e nasce dalla percezione che la realtà sia bloccata in una sorta di fermo immagine di sofferenza perenne. I quattro quadri che compongono la pièce disegnano la follia temporale ed emotiva in cui siamo immersi, una condizione di immobilità permanente che restituisce il senso del supplizio contemporaneo. Lavorando sul significato della parola supplizio abbiamo incontrato il saggio di Foucault che dà il titolo allo spettacolo. Il testo analizza il sistema di punizione dei detenuti: dal supplizio pubblico al trasferimento nelle carceri, ovviamente il nostro scopo non è stato rappresentare l’opera del filosofo francese, ma le suggestioni e i riferimenti teatrali individuati nello scritto sono stati talmente forti che abbiamo deciso di tradurli scenicamente, trasponendo l’agonia del supplizio dalla dimensione pubblica del passato a quella privata dell’odierno.

Vorrei riflettere sul tratto estetico dello spettacolo, smontando il vostro dispositivo scenico: come si costruisce?

Il meccanismo teatrale che regge l’impianto scenico è l’effetto specchio, cifra stilistica già usata in Furie de Sanghe-Emorragia Cerebrale. Partiamo da un aspetto performativo molto forte, un’esagerazione fisica che in questo spettacolo diventa anche verbale, escamotage che porta inizialmente lo spettatore – non riconoscendosi – a distaccarsi dalla scena. Pian piano, attraverso tipizzazioni reali coinvolgiamo lo spettatore per avvicinamento fino a farlo identificare con la storia, innescando così una sorta di schock mentale, che crea spaesamento ma al contempo innesca un processo riflessivo.

Lo splendore dei Supplizi è stato inserito nella sezione Teatro per il sociale. Cosa significa per voi teatro sociale? Come genera impatto il vostro lavoro?

Noi ci rispecchiamo maggiormente nella definizione di teatro politico, riteniamo che raccontare storie come se fossimo cronisti non abbia molto senso. I nostri lavori non hanno finalità didattiche, non narriamo un problema lo facciamo emergere attraverso un completo distacco da un approccio naturalistico. Un esempio è dato dall’episodio de La badante che ha sullo sfondo la piaga del razzismo, è stato per noi il quadro più difficile su cui lavorare, sarebbe stato molto semplice usare dei cliché, ed è proprio quello che abbiamo cercato di evitare concentrandoci sull’essenza del problema: l’incompatibilità di due persone che vivono insieme ma non vorrebbero e arrivano al conflitto, da qui anche la scelta di ribaltare i ruoli, Riccardo interpreta la badante ed io l’anziano accudito o di utilizzare il Mein Kampf hitleriano rivisitato in pugliese. Noi auspichiamo un teatro popolare che dialoghi con un pubblico, tentando di instaurare un nuovo rapporto con la società. Il nostro teatro è sociale nella dimensione in cui, attraverso storie inventate, parla di oggi. Al contrario, non ci interessa problematizzare il piano estetico della rappresentazione, vogliamo evitare di cadere nell’autoreferenzialità di un versante del teatro contemporaneo, che parla esclusivamente a se stesso.

Vista la molteplicità delle tematiche che trattate, quali sono gli orizzonti verso cui vi state muovendo?

Attualmente siamo già al lavoro sulla nostra prossima produzione che debutterà in giugno e avrà come tema il sesso, per noi rappresenta una grande sfida attraversare in maniera inedita un argomento così usato ed abusato. Anche per questo lavoro abbiamo tratto ispirazione da un’opera di Foucault Storia della sessualità. Stiamo costruendo una drammaturgia sull’intricata relazione tra sessualità, sapere e potere.

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