INRI (foto Photophilla-1)NAPOLEONE ZAVATTO | Due corpi, una liturgia. Lo spettacolo “INRI”, creazione di e con Stefano Mazzotta e Emanuele Sciannamea a firma della compagnia Zerogrammi, è il luogo d’incontro tra il corpo e l’immaginario liturgico cristiano. La danza si appropria delle caratteristiche di un rituale fatto di azioni ripetute, codificate e impresse dal tempo dell’abitudine. Quello progettato dai due coreografi è un limbo in grado di far emergere le inquietudini e le ironiche frustrazioni di una società come la nostra, quella italiana, che direttamente o indirettamente è sempre stata condizionata dalla matrice religiosa. Come nello spettacolo “Mappugghje” (2010), sempre a firma di Mazzotta-Sciannamea, anche in “INRI” la danza si innesta nel rapporto con il quotidiano attraverso gesti comuni. ‪«L’esigenza – racconta Emanuele Sciannamea – che ci ha spinti a formare la compagnia Zerogrammi è proprio quella di partire dalle piccole cose per poi raccontare grandi cose. Siamo sempre stati legati a tutto ciò che è molto vicino al quotidiano: al gesto che si apre nello spazio e diventa danza e incomincia a raccontare. Ma racconta già dall’inizio. Quando nasce, il gesto viene creato attraverso una vera e propria drammaturgia. Il raccontare è il punto di partenza della drammaturgia: spesso si va a pescare dai testi, dalle nostre discussioni, vengono fuori le parole chiavi che poi generano dei principi fisici, delle vere e proprio partiture gestuali. Nel caso di “INRI” tutta la partitura gestuale viene dalla preghiere e dai testi del drammaturgo Fabio Chiriati».

Allo spettatore di “INRI” appare un mondo dove il quotidiano, l’assuefazione alla ripetizione, entra in contatto con i prodotti culturali forniti dalla cristianità. Questi prodotti – di diversa natura, come la musica, la pittura, la scultura – aprono una discussione tra sacro e profano.  Una discussione che trova proprio nel corpo un terreno fertile dove far emergere conflitti al tempo stesso ironici e impregnati di sacralità. Basti pensare a due delle musiche che sono utilizzate nello spettacolo: passare dallo “Stabat Mater” di Pergolesi a “La Bambola” di Patty Pravo non serve a fornire un effetto di straniamento, ma è il naturale cortocircuito che la poetica danza di Mazzotta-Sciannamea sapientemente esprime attraverso il gioco.

La messinscena del 17 e 18 gennaio 2015 al Teatro Nostos di Aversa (CE) arriva circa sette anni dopo il debutto (2008). Lo stesso Stefano Mazzotta spiega che «da allora qualcosa è cambiato, ma è anche normale. Questo cambiamento capita un po’ con tutte le produzioni. Nel momento in cui debutta lo spettacolo è come appena nato, poi ha sempre bisogno di un periodo fisiologico di assestamento. Dal 2008 ha trovato la sua forma definita dopo un anno e mezzo di repliche. Per fortuna, dopo il debutto, ci sono state un bel po’ di date e ha avuto la possibilità di crescere in scena. Poi, rispetto lo spettacolo, siamo invecchiati anche noi (ridono) specialmente fisicamente! L’aspetto atletico è diminuito a favore di quello teatrale».

Le attività della compagnia Zerogrammi, oltre ad essere riconosciuta da pubblico, critica e MiBACT, vede anche il riconoscimento e il sostegno dalla Regione Piemonte. Sembra che il Piemonte riesca, attraverso una serie di buone pratiche, a fornire un modello interessante di produzione e circuitazione della prosa e contemporaneamente della danza. «A mio avviso Torino e più in generale i piemontesi – sottolinea ‪Emanuele Sciannamea – sono degli ottimi organizzatori. I grandi eventi, come quelli piccoli, sono fatti bene. Non parliamo solo del contesto dello spettacolo dal vivo, tutto il comparto della cultura riesce a prendere e trarre vantaggio da questa buona organizzazione». Aggiunge Stefano Mazzotta: «Torino ha uno storico e un respiro internazionale – essendo molto vicina all’Europa – ma queste buone pratiche stentano ad essere mantenute. C’è grande associazionismo, forse parliamo della città con più associazioni dell’Italia, questo significa che c’è tanta voglia di produrre a più livelli, dall’amatoriale al professionale. Non è detto che il modello regionale piemontese di sostegno alla produzione e alla circuitazione sia propriamente da imitare. Ci sono altre regioni italiane come la Puglia – noi siamo di origine pugliese – che ha un modello molto interessante della gestione della cultura, del teatro e della danza. Con i progetti del Teatro Pubblico Pugliese c’è un forte fermento e c’è una grande capacità di reperimento di fondi all’estero, cosa che il Piemonte riesce a fare di meno. D’altro canto, è una regione del nord e quindi attira, attraverso grandi contenitori come Torino Danza, nomi e compagnie che danno la possibilità al territorio di vedere la “grande danza”. Eppure tante alte regioni italiane non sono da meno».