GIULIA MURONI | “E’ un doppio rapporto col nulla che convochiamo sotto il nome di desiderio: il nulla dentro di noi, il buco doloroso che si riapre sempre e ci fa invidiosi di ciò che non siamo; e il nulla del mondo da cui siamo capaci di trarre ciò che vogliamo: produzione di case e di quadri, di pranzi e di amori, di imperi e di piccole comodità domestiche”(Ugo Volli).

Forza e ferita, voragine e tensione disordinata, il desiderio mostra la sua natura di contenitore vuoto palpitante e insoddisfatto.

Nella prospettiva di abbozzare uno scorcio tra gli infiniti paesaggi dettati dalla brama dell’altro, la Piccola Compagnia della Magnolia si è fatta carico – per un esordio gremito di pubblico al Festival delle Colline Torinesi – della famosa vicenda della liaison tra Bernand Boursicot e Shi Pei Pu. Nell’episodio della relazione tra il diplomatico francese e il giovane cantante d’opera dalle fattezze femminili, “1983 Butterfly” trova l’occasione poetica per interrogare e dare espressione a due soggetti di desiderio. La faccenda è piuttosto nota: il diplomatico francese, spesso in Cina per ragioni lavorative, viene sedotto e circuito da una giovane cinese, rivelatasi poi una spia del governo oltre che un uomo.

La relazione si nutre della distanza e di piccoli accorgimenti di Pei Pu per non rivelare la propria sessualità biologica, al punto che l’arrivo di un figlio è accolto da Boursicot con il consueto groviglio di affetto e senso di colpa, caratteristico dei padri fedifraghi e distanti. Il momento di agnizione accade nel 1983, al cospetto una corte avida di scandali, maggiormente disposta a frugare tra i dettagli pruriginosi della relazione piuttosto che indagarne gli aspetti criminosi. Boursicot è infatti colpevole di aver rivelato molte informazioni segrete al partner, spia del governo cinese.

La Magnolia complica il menàge: mentre Giorgia Cerruti indossa i panni di Bernard Boursicot, Davide Giglio è un’ambigua e convincente Shi Pei Pu. Questa la vicenda al cuore dello spettacolo, mentre i due estremi sono congiunti da un immaginario arco extradiegetico e mostrano dapprima una coppia non riconoscibile, celata da maschere e lunghi mantelli operistici, immersa in un’atmosfera cupa in cui le voci si mescolano e confondono. Sulla chiusa si assiste allo sfumare dell’incantesimo davanti agli occhi del pubblico. Via maschere e forcine, liberate le chiome e sciolte le posture, emergono in scena Giorgia Cerruti e Davide Giglio nei loro volti e sguardi, a fronteggiarsi e poi darsele di santa ragione, rimescolando ancora ruoli e identità, per un finale violento, eccitante, spietato.

ph: S. Roggero

La scena ritaglia uno spazio sui toni del rosso e del nero. Un lungo tavolo rubino,  alcuni candelabri, sagome di luci calde e un pannello verticale sul fondale, sul quale sono proiettati volti di celebrità, frammenti dai carteggi di Boursicot-Pei Pu, stralci della vicenda giudiziaria, un pezzo del film di Cronenberg sulla medesima vicenda e altro ancora. Lo spazio viene attraversato e animato da camminate, cambi di prospettiva, traiettorie e danze.

D’eccezione la prova attorale, ambiziosa e riuscita: mentre Cerruti riesce a volgere la sua femminilità esplosiva nei dati di energia e presenza del maschio occidentale che si percepisce come dominante, Giglio d’altra parte è conturbante e perturbante insieme, dal tratto ambiguo. Ricorrono alcuni motivi della compagnia tra cui in primis l’affastellarsi di segni unito a una considerevole qualità recitativa mentre compaiono o prendono spazio alcune componenti in altri spettacoli più sacrificate. Una su tutti il rilievo sul movimento: un valzer epifanico, l’attraversamento costante della scena e la qualità peculiare del movimento di Giglio, in grado di scorrere tra il registro netto da samurai a quello frivolo da geisha, cifra efficace della duplicità del personaggio.

Uno spettacolo ricco, a tratti sovraccarico e ridondante nel suo dipanarsi esponenziale di segni ma in grado di restituire molteplicità di prospettive e colorature semantiche, rigore biografico e rotondità interpretativa,  assumendosi la responsabilità di suggerire qualcosa. È un’ode al rischio – dice Cerruti – un invito a darsi la possibilità di vivere ai bordi, cavalcando l’imprevedibile. Seconda tappa del progetto Bio-graphie, come nella prima parte relativa a Zelda Fitzgerald, si propone di illuminare gli anfratti eccezionali di esistenze ordinarie e ci riesce con coerenza stilistica e profondità espressiva.

 

Anteprima nazionale alle Fonderie Limone (TO), 17 Giugno 2016, Festival delle Colline Torinesi,di Giorgia Cerruti

regia Giorgia Cerruti

assistente alla regia Cleonice Fecit
con Davide Giglio e Giorgia Cerruti
scene e luci Lucio Diana
costumi Gaia Paciello – atelier Pcm
musiche Giorgia Cerruti – Cleonice Fecit
organizzazione Giulia Randone

produzione Piccola Compagnia della Magnolia, Festival delle Colline Torinesi