RENZO FRANCABANDERA | Chissà cosa ha profondamente spinto Martinelli e Montanari a sviluppare un racconto in uno spazio metafisico e inconsistente, fatto di grandi rimandi simbolici ma di nulla di tangibile cui ci si potesse realmente ancorare nello spazio scenico, come questo Maryam che ha da poco debuttato al Teatro dell’Elfo a Milano.

maryam-nome-arabe-feminino-mulher.pngGli elementi costituenti l’allestimento sono cinque: l’interprete Ermanna Montanari, le luci, la musica, le immagini (fotografiche e video), la parola (scritta e declamata). Eccezion fatta per un attributo simbolico nell’ultimo atto dei quattro che costituiscono lo spettacolo (la corona della santità che distingue Maryam dalle donne che l’hanno preceduta nel raccontare), la scena è costruita, come spazio sia architettonico che metafisico, attraverso un ricorso alle luci che diremmo estremo rispetto alla storia recente degli allestimenti del Teatro delle Albe ma che invece, a ben ricordare, torna alle origini del rapporto con la parola del drammaturgo Doninelli e suggerisce alcune chiavi di lettura di un dialogo pluriennale.

Andiamo con ordine: la collaborazione fra le Albe e Luca Doninelli (autore del testo) risale a La mano, nel 2005, quando Ermanna Montanari interpretò un personaggio ibrido e potente, una sorta di suora egiziana autoproclamata,  Isis, nome “profetico” riletto con gli occhi di oggi.
Isis era la sorella di un chitarrista rock che si era suicidato tagliandosi la mano, e lei cercava di ritrovare, in un’oltretomba dello spirito, un dialogo con la amata figura del fratello morto, attraverso una  dimensione spirituale ossessiva e identitaria. In quello spettacolo Luigi Ceccarelli costruiva, rispetto alla parola di Doninelli, una sorta di drammaturgia parallela in tono rock, mentre Vincent Longuemare realizzava un disegno luci che mescolava l’impatto di un concerto rock e le architetture visive effimere che filtravano dalle vetrate di una cattedrale.

E’ incredibile come a distanza di quasi quindici anni, la parola di Doninelli ritorni a comporre e a coagulare attorno a sè ingredienti quasi analoghi se non, per certi versi, ancora più rarefatti e distillati.

Qui la protagonista non è Isis ma Maryam, la Madre di Gesù, nel Corano definita “la veritiera”: ma anche questa volta si tratta di una donna alle prese con l’assenza dell’amore più grande della sua vita, la figura maschile con cui ha intessuto il dialogo più potente. Uscita dalla grotta di Nazareth, Maryam trova alcune donne mediorientali, che condividono il suo stesso dolore e glielo raccontano, quasi invocandola.
L’idea ha origini lontane, in un viaggio di Doninelli in terra Santa e in particolare alla Basilica dell’Annunciazione di Nazareth dove è ancora oggi continuo l’arrivo di donne musulmane a rendere devozione a Maryam.
Doninelli compiva quel viaggio nel 2005-06, stesso anno in cui veniva messa in scena La mano, e forse guardava a quei posti con le stesse suggestioni mentali che avevano dato origine a La mano: l’assenza, la donna privata del suo amore, la ricerca del dialogo con gli spiriti nell’aldilà, la violenza del mondo circostante. Questi elementi riverberano nella scrittura ora come allora, ne costituiscono l’ossatura, rimandano probabilmente ad un identico nucleo di suggestioni creative e psicologiche fra La mano e Maryam.

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Ermanna Montanari dà prima voce a tre monologhi laici che sviluppano quasi una sacrale e atea blasfemia, in cui le donne madri affondano la disperazione per il dolore inferto loro dalla lacerazione, dall’assenza, in una vera e propria maledizione, che culmina, nel quarto monologo (quello teoricamente sacro ma nei fatti umanissimo), sulle labbra di Maryam, in un:”Io Dio non l’ho perdonato”.

Le madri cui il destino ha sottratto l’amore filiale non si danno pace, per quanto consapevoli della violenza del mondo che le circonda, del fatto che possa essere stata la Storia a schiacciare le vite fragili dei loro cari, frangente che raccontano in dettaglio.
Mentre raccontano, vengono proiettate immagini della tragedia mediorientale, che acquisiscono progressivo nitore con l’andare della narrazione quanto le preghiere i cui testi vengono proiettati sul telo trasparente che divide la platea dalla figura ieratica della Montanari; l’attrice emerge dal buio attraverso luci fioche, quasi sovrascritta da monogrammi in calligrafia araba, testi di poesie che ovviamente allo spettatore occidentale non possono che comunicare la loro affascinante perfezione formale, nella misura in cui quella parola, segno incomprensibile, acquisisce la sua più alta dimensione estetica, di-segno.

luci-arabe-con-le-ombre-60967293-1.jpgIl mondo di luci, notevole e astratto, è una immateriale, complessa e raffinata opera di Francesco Catacchio: risulta incredibile il richiamo architettonico al luogo sacro, che dalla cattedrale de La mano passa in Maryam al geometrico della cultura araba. Questo elemento scenico dialoga profondamente con la costruzione musicale circondante, l’intarsio elettroacustico di Luigi Ceccarelli: un vero e proprio controcanto per Maryam come fu allora per Isis. Le sue composizioni non sono stacchetti fra un monologo e l’altro ma raffinatissime composizioni che incorporano in un catturante e raro dolby surround lo spettatore, fra suoni di guerra, motivi arabi, ritmi ancestrali. Rivedrei lo spettacolo per goderne ancora.
L’amalgama registica è compatta, fa giusta sintesi di tutti gli elementi iconici scelti. La parola di Doninelli, finalista l’anno passato del Campiello, è la sua: crudele ma con una sacralità sottostante, dannatamente alla ricerca di spirito. A volte sembra compiacersi e sommergerci, lasciando un senso di saturazione su più livelli, a seconda della sensibilità individuale.

Al verbale si contrappone la potente assenza di logos della musica di Ceccarelli, che unita alla magnetica sonorità vocale della Montanari, altra musicalità dell’allestimento, e alle immagini fotografiche e video, realizza un’evocazione territoriale, identitaria, che induce soggezione, fa anche paura, crea un sentimento molto molto forte, suggestivo non meno della parola, se non, in alcuni casi, anche più.

 

 

MARYAM

testo  Luca Doninelli
in scena  Ermanna Montanari
musica  Luigi Ceccarelli
regia del suono  Marco Olivieri
disegno luci  Francesco Catacchio
direzione tecnica  Luca Fagioli
assistente spazio e costumi  Roberto Magnani
consulenza e traduzione in arabo  Tahar Lamri
in video  Khadija Assoulaimani
voce e percussioni in audio  Marzouk Mejri
realizzazione video
  Alessandro Renda
realizzazione musiche
  Edisonstudio Roma
ideazione, spazio, costumi e regia  Marco Martinelli e Ermanna Montanari

produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro in collaborazione con Teatro de gli Incamminati/deSidera

si ringraziano Luisa Orelli per i preziosi suggerimenti riguardanti la spiritualità coranica, Yiad Hafez per la consulenza sulla musica araba, E production, Gerardo Lamattina


Prima nazionale MILANO, Teatro Elfo Puccini

spettacolo in 4 movimenti:

1. Preghiera di Zeinab \ 2. Preghiera di Intisar \ 3. Preghiera di Douha  \ 4. Maryam