TANIA BEDOGNI + video reportage di RENZO FRANCABANDERA | Modena Ovest. Si lascia la Via Emilia per svoltare in direzione Sud. Entriamo al vertice di uno spicchio di città delimitato ad Ovest dalla ormai nuda massicciata dell’ex-linea ferroviaria Milano-Bologna, ad Est da Viale Emilio Po.

Siamo nel Villaggio Artigiano, audacemente desiderato da un sindaco visionario e realizzato nel 1953 grazie alla risposta assembleare di un gruppo di operai disoccupati: primo nel nostro Paese per tipologia e capacità innovativa.

Da qui, come punta di compasso, #OvestLab, luogo di connessione tra l’arte e il fare, tra l’individuale ed il collettivo, fissa le convergenze per l’avvio della nona edizione del Festival Periferico.

Amigdala, associazione modenese che opera nell’ambito del teatro contemporaneo e della rigenerazione urbana, ha scelto di proseguire il percorso avviato lo scorso anno tra le strade dalla “geografia produttiva” che caratterizzano questo luogo, ponendo una domanda:

“possono gli artisti operare delle trasformazioni in luoghi che sembrano cementificati nel loro presente?”

foto Tania Bedogni

Nelle tre giornate, dal 26 al 28 maggio, questa domanda ha transitato in ex-officine, cortili, piccoli parchi, botteghe-atelier, appartamenti, ex-fabbriche, così come un tempo viaggiavano veloci le merci e le idee tra gli artigiani dalla mani grandi e il cervello fino: l’imballaggio che la protegge ha un ammonimento, una chiamata, una necessità “ALTO, fragile, urgente” che del Festival è titolo e manifesto.

Per noi visitatori, accolti come ospiti, un programma di possibili risposte, un cadenzare di tempi e luoghi, una sequenza coreografica capace di addensare o disperdere i nostri corpi nel vasto tracciato del villaggio artigiano. Più di venti artisti hanno condiviso le loro letture del presente, ed altrettanti luoghi sono stati sede di incontro.

I differenti quadri scenici hanno avuto due principali elementi di passaggio collettivo: il cammino ed il ritrovo. Nei momenti, non rari, in cui era possibile non ricordare se e dove fosse previsto un evento, un accesso, una conversazione, non era necessario consultare il programma…potevi affiancarti a chi camminava, o sostare con chi era presente ad OvestLab: punto di ristoro, di conversazione, di orientamento.

Come coreografi rigorosamente in nero, capaci di apparire e scomparire nella loro delicata presenza, il gruppo Amigdala ed i volontari hanno tenuto il tempo, indicato direzioni, aperto sipari.

Il vicino Festival di Fotografia Europea nella Città di Reggio Emilia che, per distribuzione sul territorio cittadino ed il suo rendere accessibile spazi altrimenti privati e inaccessibili, potrebbe essere accostato a Periferico per tipologia di fruizione nomade, si differenzia invece profondamente per ciò che Amigdala è riuscita a generare: l’attenzione all’ individuo all’interno di un movimento collettivo. La chiamata ad una partecipazione attiva e responsabile dei proprio sguardo ai contesti in cui avvengono i fatti.

Perché ciò che è emerso con forza dalla narrazione biografica di questi ex-luoghi, è il dolore nostalgico di chi li ha visti popolati dai suoni del fare e dagli odori dell’accadere, tipici dell’incessante operosità dell’individuo mai solo, tra famiglia e bottega, tra bottega e Villaggio.

ORME: dove siamo stati guidati a vedere ciò che non è più da una coppia di sposi nati e cresciuti nel Villaggio.

VISITE LABORIOSE: dove il prete-operaio Beppe Manni ci ha raccontato fino a che punto sia possibile vedere oltre il sistema.

foto Tania Bedogni

GEO ESPLORAZIONE: condotto da Antonio Canovi che, affiancato da alcuni abitanti, ci ha mostrato, tra le tante cose, le trasformazioni, il verde spontaneo ed il verde pubblico dove un tempo vi erano solo fabbriche.

Solo per citarne alcune opportunità di immaginazione.

In queste giornate di sole le superfici solitamente silenziose del Villaggio hanno mostrato senza pudore i loro odori, le loro croste, la loro temperatura a noi ormai disabituati al vuoto, allo scarno, all’assenza, ci hanno ospitati e ci hanno fatto percepire tutta la distanza tra ciò che era e ciò che non è più.

Ed è in questa assenza compresa tra presenze attuali di danza, video, musica, voci, installazioni, perfomance, che ci è stata data la possibilità, l’opportunità di vedere oltre i fatti, come Josef Albers ci

chiede dinnanzi al suo “trucco” delle due strisce bianche di carta (JA, di Office for a human theatre)

E poi ancora risposte…

LA DISOBBEDIENZA DELL’ACQUA, di Amigdala, video installazione che sembra rispondere alla domanda del Festival bagnando “la cementificazione del presente” con l’acqua custode di cento sogni del Villaggio, letti ed ascoltati tra l’odore e le piastrelle di un ex-officina.

foto Tania Bedogni

SKIN-DEEP JAG. THE DOORS TO DEEP SKIN, di Radharani Pernarčič, che ha traghettato nello spazio di OvesLab tracce e assemblaggi del suo lavorìo sottopelle durante la ristrutturazione della propria casa e che l’ha vista rispondere durante la permanenza al Festival con un moto perpetuo di rimaneggiamento della materia bianca, la vernice, la pelle.

Ed infine una domanda:

noi, individui che operiamo in altri dove, perché eravamo lì?

Forse per educare lo sguardo ad una visione che ha compassione delle nostre parti più periferiche, quelle a ridosso della massicciata, del confine.

La nostra personale pecora nera tra i mille e bianchi fatti privati e collettivi che, come gregge, possono sì rassicurare ma talvolta soffocare per quanto sono ingombranti (LE FUMATRICI di PECORE di Abbondanza/Bertoni).

IL VIDEOREPORTAGE DI RENZO FRANCABANDERA