LAURA BEVIONE | Un uomo “normale”, un rappresentante dell’arrancante working class non solo britannica, decide di sequestrare l’arbitro che, con un’improvvida decisione, ha determinato la retrocessione della sua squadra del cuore. Degsy, questo il suo nome, è affiancato dall’amico Cliff, complice riluttante di un rapimento decisamente rocambolesco e descritto dall’autore – l’irlandese Robert Farquhar – con toni grotteschi e a tratti farseschi. I tre protagonisti, tuttavia, non sono semplici macchiette, ma uomini di carne e sangue, fragili combattenti nell’arena dell’esistenza umana.

Certo una fragilità ricoperta con abiti differenti da ciascuno di loro: l’arbitro, che ostenta una sicurezza e una tranquillità derivategli dalla sua fede in Dio – da qui il titolo del play – salvo poi cedere, nel finale, alla propria vanità e assecondare la fama mediatica involontariamente conquistata dopo il sequestro; Cliff, “spalla” fedele dell’amico di sempre, apparentemente ingenuo e bonaccione e che, in verità, ha anche lui qualcosa da farsi perdonare; Degsy, autonominatosi vendicatore della propria squadra, mente e braccio degli altri tifosi, di cui è convinto di mettere in pratica il recondito desiderio di costringere l’arbitro a rimangiarsi la decisone presa, ma che, in realtà, è mosso dalla disperata volontà di riconquistare l’amore di Phillipa, che l’ha lasciato da poco.

unnamed.jpgTre uomini descritti con benevola empatia dall’autore, che ritrae con pennellate di inventiva e irresistibile comicità una quotidianità fatta di piccoli/grandi fallimenti esistenziali – scuole non finite, lavoro insoddisfacente e malpagato, relazioni sentimentali tempestose e insincere – ridimensionando la componente melodrammatica delle situazioni e, con britannico pragmatismo, sottolineando le umane debolezze dei tre protagonisti. Non c’è commiserazione, né paternalistica pietà nello sguardo di Farquhar – ben assecondato dalla regia di Alberto Giusta che, nella medesima prospettiva, a tratti introduce momenti metateatrali – bensì la solidarietà di un essere umano consapevole di condividere molti dei difetti e delle fragilità dei suoi personaggi.

Solidarietà che è anche quella degli spettatori della Piccola Corte, divertiti e finanche commossi, felici al termine di applaudire una commedia in cui si sono potuti – almeno in parte – riconoscere, lontano da quei cerebralismi e quelle vicende davvero troppo private che, molto spesso, contraddistinguono la drammaturgia contemporanea, soprattutto italiana. Merito dunque alla rassegna del Teatro Stabile di Genova, nel cui cartellone è stata ospitato – e prodotto – questo spettacolo, e che mira a far conoscere nuove e significative voci del panorama della scrittura per il teatro italiano e internazionale.

 L’arbitro di Dio – Quel gol non era gol (God’s Official), di Robert Farquhar

Versione italiana di Carlo Sciaccaluga

Regia di Alberto Giusta

Con Andrea Di Casa, Massimo Rigo, Marco Zanutto.

Rassegna di drammaturgia contemporanea, Teatro Stabile di Genova