ILENA AMBROSIO | Un espressionistico caleidoscopio di sentimenti, toni di voce, espressioni, immagini, liberamente ispirato a Debris di Dennis Kelly, è il monologo Solo una stella morta, scritto e interpretato da Lavinia Carpentieri con la regia di Francesca Caprioli e andato in scena al Teatro Studio Uno nell’ambito del Festival Inventaria.

Sulla scena una giovane donna che appare in lunga camicia azzurra, scalza; è incinta e la pancia informe, evidentemente finta, accentua il carattere grottesco della sua figura. «Mia madre è morta di gioia», esordisce, e da questo paradossale incipit scaturisce un fiume ininterrotto di parole: il racconto della sua nascita concomitante con la morte per strozzamento della madre causata da un osso di pollo, il dolore del padre; un bambino-rottame trovato nella spazzatura e diventato suo figlio. IMG_0851-min.JPG

Il linguaggio è fortemente concreto, materiale: la cena dei genitori, l’atto della masticazione sono descritti nei minimi dettagli, così come il momento dello strozzamento e la nascita dalla «carne morta» della madre. Più avanti la scena si sposterà nel vicolo buio e umido retrostante un pub dove la protagonista troverà un neonato tra «mondezza, piscio, merda, siringhe», un bambino che riprenderà vita succhiandole sangue dal petto.

L’abilità della Carpentieri nell’assecondare le variazioni del racconto è davvero affascinate: dal tono fanciullesco e ingenuo della prime battute a quello straniante e folle, alla rabbia furiosa, la sua voce e il suo viso sono continuamente in mutazione, a totale servizio del testo.

Ma la vicenda resterebbe sconnessa se non fosse inserita in un quadro più ampio che è, da un lato, sociale, dall’altro persino universale richiamando, in un certo qual modo, l’atmosfera di Undertime, lavoro del 2016 della Caprioli che pure ha visto le due collaborare.

«Mia madre è morta per un’osservazione» afferma la protagonista e l’osservazione è quella di un politico sentita dalla tv sempre accesa di casa: «Creare qualcosa di originale oggi è assolutamente impossibile». Assurdità estrema per la donna se proprio lei, in quel momento, porta in grembo qualcosa di totalmente originale. Sarà questo a farla strozzare.

IMG_0842-minIntanto l’attrice tiene in mano un telo bianco sul quale si riflettono, random, immagini di interventi chirurgici, di talk show televisivi, di polli cucinati in tutti i modi possibili, di partite di calcio. È come se una realtà più ampia entrasse nella vicenda personale e, come quell’assurda affermazione, la sconvolgesse: il tono diventa carico di rabbia, gli occhi furiosi. Una società che costringe all’omologazione, alla non-originalità è bersaglio di tale rabbia.

A un livello ancora più alto la vicenda assume caratteri cosmici. Dalla formazione dell’Universo, a quella di una «massa di bipedi impazziti e mai soddisfatti» che sono gli uomini, fino a alla nascita dei genitori della protagonista, tutto è osservato da un Dio placido e annoiato che al momento della tragica morte di una donna incinta «se la gode» dopodiché smette di guardare.

La Terra è allora affidata alla totale casualità, a una perfettissima ma assolutamente casuale serie di congiunture universali. La gioia della nascita, l’amore folle provato dalla protagonista svelano il lato oscuro di un destino già segnato di solitudine e inutilità, di un non-senso, della vita su un pianeta che è come necessariamente deve essere ma, in definitiva, il prodotto cosmico della morte di una stella.

Conclusione nichilista, forse un po’ trita, di un lavoro che, tuttavia, colpisce per l’efficacia del linguaggio e la sapiente resa scenica.

 

Solo una stella morta

di Lavinia Carpentieri
regia di Francesca Caprioli
con Lavinia Carpentieri
disegno luci Francesca Caprioli

Festival Inventaria
Sezione Monologhi/Performance

Teatro Studio Uno
17 giugno 2017