FILIPPA ILARDO | Quando ci fa entrare nello spazio adibito alla rappresentazione, il pubblico composto da bambini ha già preso posizione al centro, in un quadrato bianco dove, seduti, concentratissimi, dividono fagioli neri da quelli bianchi, ponendoli in ceste di carta. Lei, Chiara Guidi, fa sedere tutti, l’atmosfera rarefatta e la sua presenza non permettono nemmeno di posare l’occhio sul teatrino dipinto, gli scenari ed altri fantasmagorici elementi della bellissima sala del Museo Pasqualino.

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Il rumore dei fagioli smistasti dalle piccole mani si mischia ad un ticchettio, ci ricorda che siamo immersi nel tempo, ma quello che stiamo per vivere è un tempo irreale e sospeso, che fluisce e si ferma a comando, un tempo nel tempo o tempo senza tempo che può essere perfino racchiuso dentro una scatola. E infatti una scatola può racchiudere tante cose, è lo spazio di un segreto che riguarda il tempo e che racchiude un mondo: ma quella che trova la narratrice -mi piace chiamarla così- all’inizio dello spettacolo, è un dono che contiene un divieto: non aprire! Un dono, si sa, va aperto, ma ad un divieto si sa, nelle favole soprattutto, non si trasgredisce mai. Obbedienza o curiosità, a quale pulsione dare ascolto? La vita ci pone davanti molte domande e ci fornisce pochissime risposte, ancor di più il teatro, ci fa interrogare la realtà, ci fa chiedere il perché delle cose. È il paradosso dell’esistenza. È anche il compito del teatro: amplificare le domande, metterci davanti al mistero, condurci davanti alla serratura nella ricerca di una chiave che non esiste. Così comincia Fiabe Giapponesi, spettacolo creato ad hoc per il Festival Teatro Bastardo, e da qui parte la narrazione.

Come si faceva una volta, si lavora e si ascolta, si affinano i sensi, si dà valore all’esperienza, al lavoro semplice delle mani, in una modernità in cui la distruzione dell’esperienza produce una nuova barbarie. “L’uomo moderno è ancora capace di esperienza o la distruzione dell’esperienza è da considerare un fatto ormai compiuto?” si chiede Giorgio Agamben in Infanzia e Storia[1], l’infanzia può essere il luogo mitico del contatto originario con il mondo, dell’unione mistica tra esperienza e linguaggio? I bambini che giocano sperimentano un tempo sottratto al fluire normale, stanno dentro il gioco come dentro la propria vita, il gioco li sottrae a tutti i perché, non esiste, infatti, il perché del gioco.

Esperienza e linguaggio sembrano essere i due nuclei isolati dall’artista per accedere al mondo dell’infanzia: è il suono della parola prima di tutto, questa la chiave di accesso all’inesauribile vena affabulatoria dell’artista, voci che creano personaggi e personaggi che scompaiono, subito dopo, nel silenzio. Tutto nasce e svanisce, come il suono che riempie la stanza lascia poi il posto alla quiete, la fine è uguale all’inizio. Il teatro come rito originario, con la sua origine orale, si fa gioco che gioca a far apparire e sparire suoni, parole, voci, storie, persone, animali, cose, ricchezze, doni, vite, morti, mondi, inizio e fine, fine e inizio.

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Le fiabe si rivelano ancor più come grande enciclopedia del narrabile, patrimonio infinito e variegato in cui si esprime l’anima di un popolo, il suo punto di vista sul mondo. Quello giapponese per l’appunto, quattro storie accomunate da una magia che dà in dono tutto e che tutto toglie. Come quella di un uomo poverissimo che riceve in dono un figlio sempre sporco, questi gli fa apparire una splendida dimora, prezioso mobilio, ricchezze infinite; quando l’uomo, ormai ricco, decide di cacciare il figlio sempre sporco, perde tutto ciò che aveva avuto. Un uomo sposa una bellissima ragazza che, rinchiusa nel segreto di un ripostiglio, lo rende ricco tessendo una stoffa. Nel momento in cui infrange il suo divieto, scoprendo che la donna altri non era che la gru che lui un giorno aveva liberato, l’uomo perde la donna e, con lei, la ricchezza.

Che significa perdere tutto? “È il nulla che si è verificato” teorizzano gli studiosi della tradizione favolistica giapponese. È la scatola del teatro, diremmo noi, che ci pungola ad interrogarci su cosa sia la presenza e l’assenza, il presente ed il passato, il pieno ed il vuoto, il suono ed il silenzio, la rappresentazione e lo svanire immediata della stessa, la vita e la morte. Anche il teatro, se vogliamo, è presenza che si sottrae all’assenza: come il racconto comincia e finisce, anche il nostro esserci al mondo è un dono che svanisce, il perché non lo sapremo mai. Possiamo mai accettare di avere avuto tutto e poi perderci nel nulla?

 FIABE GIAPPONESI

Concerto per voce, dispositivi di playback e strumenti elettroacustici.

di e con Chiara Guidi e Giuseppe Ielasi

cura Stefania Lora, Elena De Pascale

produzione Societas, Ljubljana Puppet Theatre

spettacolo rivolto ad adulti e bambini a partire dai 7 anni d’età

13, 14, 15 ottobre 2017 | MUSEO INTERNAZIONALE DELLE MARIONETTE ANTONIO PASQUALINO – PALERMO

[1] G. Agamben, Infanzia e Storia, Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Torino, Einaudi, 1978.