LAURA BEVIONE e RENZO FRANCABANDERA | LB: All’ingresso in sala Giovanna – elegantissima, in nero con pizzi discreti – ti accoglie stringendoti la mano con affabilità, mentre Dario si avvicina agli spettatori già accomodati, regalando anche lui strette di mano e sorrisi, non di circostanza ma di sincera soddisfazione, quella di un padrone di casa orgoglioso di condividere con i suoi ospiti il calore che in essa è riuscito a creare.

Giovanna Daddi e Dario Marconcini sono una coppia di veri “operai” del teatro, maestri di una professione praticata da quasi cinquant’anni con rigorosa passione, con uno sguardo rivolto verso esperienze internazionali e i piedi ben radicati nel territorio di origine – Pontedera, Buti. Due artisti che si sentono soprattutto lavoratori: «vado a fare l’attore», ci dice Dario prima di raggiungere il centro della scena, e aggiunge, significativamente, «ma, con calma». Non c’è il velleitarismo né il desiderio di ergersi a maître à penser della scena contemporanea che contraddistingue alcuni, bensì una salda e salvifica autoironia.

RF: Come ci dice Roberto Bacci nella video intervista che ho realizzato alcune ore prima del debutto negli uffici di Teatro Era di Pontedera e che si trova in fondo a questo nostro contibuto, senza di loro probabilmente la Toscana non avrebbe un teatro nazionale oggi. Si tratta peraltro di due artisti che hanno incarnato in questi anni alla perfezione anche la lezione che poi Grotowski da Pontedera avrebbe lanciato al mondo, con il tema del teatro povero, della ricerca senza orpelli, del teatro che sa arrivare all’essenza.

LB: Una simile coppia non poteva che ispirare uno spettacolo che, coerentemente all’indole e al particolare atteggiamento verso il proprio mestiere dei due, non si traduce in una celebrazione bensì in una riflessione che sa coinvolgere ogni singolo spettatore. Stefano Geraci e Roberto Bacci utilizzano i ricordi, i dolori e le speranze di Giovanna e Dario quali semi da cui far crescere un articolato e a tratti malinconico discorso sul teatro e sulla vita.

Spettacolo: "Quasi una vita"
Foto di scena Roberto Palermo

Una meditazione approfondita che trova il proprio correlativo oggettivo nella porta – elemento scenico concreto ed evidentemente simbolico, che sa riempire il palco per il resto spoglio, a eccezione di un paio di panchetti variamente mossi – esplicita figura delle differenti opzioni che la vita concede all’uomo e che sovente esigono decisioni immediate, apparentemente sventate.

RF: Si tratta nel caso della porta di un simbolo quasi totemico per Bacci, presente in molti dei suoi lavori, e che qui rimanda alla storia dell’arte e alla versione a due battenti che ne fece Marcel Duchamp.

LB: Porta che è altresì flessibile cartilagine fra due realtà – il teatro e la vita – che costantemente scivolano l’una nell’altra, confondendosi senza urti né incoerenze, bensì con armonica complementarietà, tanto che il “chissàdove” cui allude il sottotitolo dello spettacolo viene a coincidere a tratti sicuramente con l’universo evocato sul palcoscenico ma in altri frangenti proprio con la concreta esistenza fuori dalla scena, quasi che la realtà fosse più “irreale” della finzione teatrale.

Il primo bacio e l’inizio dell’avventura matrimoniale, ma anche il ricordo della madre di Giovanna – com’era la sua voce? Mi pare di non ricordarla più – e la preoccupazione se Dario dovesse rimanere solo – le istruzioni per usare la lavatrice, come ordinare la spesa. La malattia e il fastidio della vecchiaia, la necessità di avere “tempo” – per vivere, nella realtà ovvero sul palco, non c’è differenza – tanto da essere disposti – novelli Faust – a stringere ancora una volta l’esiziale patto con Mefistofele.

“Scene” abitate da Giovanna e Dario ma altresì da quattro figure biancovestite, angeli/spettri, creature senza tempo né identità definita, che incalzano, sostengono, tormentano, abbracciano i due attori, chiedendo loro conto di un’esistenza – “quasi una vita” intera – trascorsa a recitare.

Spettacolo: "Quasi una vita"

RF: Si tratta di un aldilà dai tratti laici, condito dalle parole poetiche ora di Mann, ora di Shakespeare, ora di Artaud, con suggestioni che vanno dal Faustus all’Amleto, incorniciando nell’attraversamento di quei battenti, il tema dell’essere o non essere. Forse più empatici con i temi della coppia e di un recitato meno carico le due donne.
In generale, rispetto all’esito complessivo, sicuramente i corpi e le due anime di Marconcini e Daddi hanno una potenza di autorappresentazione a cui poco altro serve.

LB: Uno spettacolo che commuove per la sua struggente verità, per la schietta genuinità di due operai dell’arte che al teatro hanno naturalmente dedicato la propria vita, senza prendersi troppo sul serio e che, proprio per questo, ci appaiono innegabilmente autentici.

RF: Lasciamo ora alla video intervista a Roberto Bacci che trovate di seguito, in cui il regista, partendo da Quasi una vita, ripercorre mentalmente alcune tappe del suo percorso di ricerca, fino ad arrivare poi ad alcune battute sul presente di Pontedera, alla complessità dei nuovi equilibri del teatro nazionale della Toscana cui si è dato vita con La Pergola, e allo sguardo sui futuri possibili.

QUASI UNA VITA. Scene dal Chissàdove

Drammaturgia Stefano Geraci, Roberto Bacci
Con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini
Interventi sonori a cura di Ares Tavolazzi
Luci Valeria Foti
Allestimento Sergio Zagaglia, Stefano Franzoni, Fabio Giommarelli
Aiuto regia Silvia Tufano
Scenografa pittrice Chiara Occhini
Assistente Costumi Chiara Fontanella
Regia, scene e costumi Roberto Bacci
Produzione Fondazione Teatro della Toscana
Foto di scena Roberto Palermo
Spettacolo a capienza limitata, consigliata la prenotazione

 

 

www.teatrodellatoscana.it; www.teatroera.it

Teatro Era, Pontedera, 21 aprile 2018