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foto Francesco Tassara

RENZO FRANCABANDERA | Cosa cerchiamo precisamente da un altrove? Cosa ci spinge, a volte, a ricercare in lontananza e distante e fuori dal consesso umano? La domanda sembra davvero generazionale visto che, da quando ci svegliamo a quando andiamo a letto, siamo collegati a un sistema di luoghi virtuali che assumono persino denominazione urbanistica: la piazza virtuale, l’autostrada digitale. La rete come via di fuga. Sì, ma per dove, se poi mi ritrovo sempre fra le mie quattro mura?

Eppure nel 2012 è stato avviato un progetto dal nome Mars-One con lo scopo di costruire una colonia permanente su Marte. Per essere selezionati si doveva postare (guarda caso) un video su internet in cui motivare il desiderio di divenire per sempre “marziani”.
Si penserà che ci sia iscritto qualche mitomane in cerca di gloria perenne…
Le candidature arrivate sono state 202.568.
Per sempre, capito?
Cioè: partire a bordo di un razzo, uscire dall’atmosfera, guardare dall’oblò la Terra farsi sfera, poi iniziare a perdersi nel buio dell’Universo, guardarlo dall’esterno fino a che diventa un puntino lontano illuminato dalla luce del Sole e atterrare nel deserto di Marte.
Nella sua solitudine perenne.
Nel silenzio siderale.

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Foto Francesco Tassara

Forse una forma di suicidio, forse una forma di fuga definitiva dall’umanità che siamo, povera, sporca, miserabile, con i suoi istinti bassi, la sua ignoranza asciutta, la sua parzialità animale.
Di tutto questo e di una serie di altre questioni che riguardano anche il senso e la poetica del teatro, parla Vieni su Marte, l’ultima creazione di VicoQuartoMazzini, sodalizio artistico creato fra Roma e la Puglia e che sta spingendo la propria pratica verso risultati via via più interessanti e strutturati, affidati, non solo a un’istrionismo attoriale, ma anche a una complessità drammaturgica capace di assumere su di sé un pensiero più astratto e complesso riguardo l’esperienza scenica.

Compagnia di teatro indipendente composta da Michele Altamura e Gabriele Paolocà  VicoQuartoMazzini  produce, quasi un decennio ormai, spettacoli che si sono guadagnati  posto in numerose stagioni teatrali italiane e in festival nazionali e internazionali, concentrandosi sulla ricerca circa il ruolo dell’attore e sulla sua funzione peculiare.
Nel
 2011 VQM fu tra i vincitori del Bando della Regione Puglia “Principi attivi 2010 – Giovani idee per una Puglia migliore” con I Giganti di Domani progetto laboratoriale su I giganti della montagna di Luigi Pirandello; da allora si sono seguiti attraversamenti più o meno espliciti nel classico, nella rilettura dei maestri, da Shakespeare a Pirandello, da Dostoevskij a Ibsen, recuperati alla ricerca di una attualità cruda, scarnificata.
Questa volta, seppure non dichiarato dal titolo, l’omaggio parrebbe andare a Thomas Bernhard, uno dei maestri del contemporaneo, autore di modernità sconvolgente per la portata dei suoi vuoti, riempiti da parole di taglientissima misantropia.

E in fondo quale ragione migliore per andare su Marte, che togliersi dalle balle gli altri 7,3 miliardi di esseri umani, con i loro fetori, le loro vanaglorie, le loro voglie, angosce, ansie. Ma poi, lassù, il cellulare prende?

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Foto Francesco Tassara

Lo spettacolo (visto al Teatro i di Milano e ora in tournée con prossime date in Campania), in un fondo buio e con un tulle di proiezione che separa per quasi tutto il tempo la scena dal pubblico, si sviluppa in una serie di sequenze, interpretate dai due artisti e intervallate da piccoli inserti video che rimandano a questo folle progetto online di cercare il primo cosmonauta volontario pronto a sbarcare su Marte. A questi si aggiunge una serie di altri piccoli video realizzati dagli artisti stessi in alcune cave esauste, che rimandano cromaticamente alla desolatezza del pianeta rosso, ma con l’angoscia presente in loco dei rifiuti umani. Spazi che grazie alla terra rossa assumono una singolare potenza evocativa rispetto all’ambientazione che il titolo dello spettacolo richiama.

Le sequenze interpretate hanno il sentore di pratiche di scrittura che vanno da quella, come detto, di Thomas Bernard a quella di Lars Noren, dal distacco sarcastico e disperante verso la mediocrità del genere umano alla freddezza cinica. Ma c’è pure uno sguardo compassionevole e indulgente, mai comico per postulato ma, in funzione antifrastica, volto a contrapporre la verità a un’ironia dolente. Ecco: qui la verità, simbolicamente, finisce nel cestino della spazzatura dal quale viene, poi, ripescata in uno dei momenti più alti e ispirati.

La creazione, oltre che ben interpretata nel complesso, è anche ricca di spunti non intellettualistici e affidati a un farsi scenico che fa sbalzare, dal buio, delle figure reali ma un po’ eccessive, umane ma anche un po’ burattine, interpreti di un seguirsi veloce e feroce di cambi scena e d’abiti tra un film e l’altro.
Il vintage si respira integralmente e sembra un po’ di vedere una macchina di Kantor che agisce volendo che il teatro sia magia ma non inganno.
Qui e lì occorrerebbe un po’ di malta drammaturgica per collegare il senso del filmato a quanto accade in scena, prima che il meccanismo del video diventi “solo” espediente per i cambi scena.
Lo spettacolo comunque vale, segna un’ulteriore crescita del pensiero creativo di questa coppia di artisti che sta esplorando zolle di una prassi scenica che matura di spettacolo in spettacolo.

 

VIENI SU MARTE

di e con Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia di Gabriele Paolocà
scene di Alessandro Ratti 
luci di Daniele Passeri 
costumi di Lilian Indraccolo

coproduzione VicoQuartoMazzini / Associazione Culturale Gli Scarti
con il sostegno di Officina Teatro, Kilowatt Festival, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro
con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina”