FRANCESCA DI FAZIO | Voleranno pugni da boxeur e parole taglienti nella sala del Comunale di Bologna, piena anche l’ultimo giorno per la replica de Il Trovatore di Giuseppe Verdi con la regia Robert Wilson, già debuttato al Teatro Farnese di Parma lo scorso autunno in apertura del Festival Verdi (nella versione francese de Le Trouvère) e da poco andato in scena al Comunale di Bologna per l’apertura della stagione.
Mentre il pubblico entra in sala, il palco ha già il sipario aperto: la scena, racchiusa da tre alte pareti lisce che determinano uno spazio ampio ma asfittico, senza via d’uscita, è illuminata in una rarefatta atmosfera blu ghiaccio. Su di un lato è posta un’enigmatica figura, un uomo anziano dalla lunga barba bianca, seduto su una sedia e con le mani appoggiate a un bastone. Il vocio in sala è un continuo rimbalzo di domande sullo strano figuro, che resterà in scena in gran parte degli atti, continuando a suscitare curiosità, così come lo faranno altre figure che compariranno sulla scena a margine dei personaggi operistici: una balia con una carrozzina, una ragazza e due bambine vicino a una fontana.

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La scena è essenziale, vuota, riempita soltanto dai costumi statuari portati da attori anch’essi statuari. Costumi di un nero profondo e opaco, inquietanti visioni di un regno notturno. Delle porte ai lati, alcune basse, altre altissime, qualche finestra di luce sul fondale. La luce dà architettura alle scene e intensifica alcuni passaggi tematici cruciali, con un rosso acceso che repentinamente si sostituisce al monocromatico e wilsoniano blu, il quale immerge tutte le scene in un’ombra oscura, in cui solo i volti degli attori vengono illuminati dai tondi di freddissime luci bianco-azzurre.
Meraviglioso il taglio obliquo sullo sfondo nella scena finale, che spacca a metà la scena aumentando in modo impercettibile, eppure sensazionale, il pathos tragico su cui si chiude l’opera verdiana. Un neon blu in proscenio, doppiato da un altro a fondo palco, accesi e fissi, s’intensificano per accompagnare momenti musicali di tensione.

LE TROUVÈRECome già altre opere di Verdi dirette da Wilson – noto è soprattutto il suo Macbeth – anche il Trovatore presenta un certo gusto orientale nella recitazione dei cantanti, ai quali è levato l’uso ampio e melodrammatico del gesto. Le figure statuarie sono isolate, quasi mai intercorre tra loro un contatto fisico o visivo.
La fascinazione del modus recitativo del teatro giapponese non trova tuttavia, in questo Trovatore, il suo più felice connubio. La ieraticità dei personaggi, accompagnata da una fissità delle scene che raramente cambiano in modo significativo, finisce per rendere i quadri wilsoniani, di per sé meravigliosi, alquanto noiosi. I momenti più riusciti sono forse le video proiezioni in bianco e nero, curate da Tonek Jeziorski, in alcuni momenti sullo sfondo: vecchie fotografie di una Parma tardo-ottocentesca, un ampio mare agitato, un cielo dipinto di nuvole attraversato dal lento volo di un cigno; squarci interiori che accompagnano significativamente le arie verdiane.

Allo scattare dell’intervallo il vocio iniziale si ripresenta più concitato e nervoso. Alcuni abbonati, indignati per i diversi tagli di tratti musicali, salutano i vicini di poltrona, augurandosi di rivedersi a una prossima messinscena che sia più “verdiana” di questa. Il vero colpo di scena arriva però alla ripresa del terzo atto, posta subito dopo l’intervallo. Per circa una decina di minuti, a musica non ancora ricominciata, una serie di boxeur, tuta nera e guantoni rossi, entrano uno alla volta sulla scena, formando una schiera sempre più numerosa e in costante movimento. Il vecchio signore dalla barba bianca è in scena sulla sua sedia e li guarda, accompagnandone talvolta i movimenti. Corrono in tondo seguendo il perimetro del palco, poi, via via che il numero cresce, eseguono movimenti coreografati, si dividono in fazioni, si allenano e si fronteggiano l’uno contro l’altro. Una probabile metafora della violenza e delle lotte interne che animano l’intreccio del Trovatore.

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L’incursione performativa non piace però al pubblico del Comunale. Cominciano a sentirsi fischi e sonori segni di disapprovazione. Si sentono commenti oltre il limite dello sdegno: «È atroce!» grida qualcuno dai loggioni; «Al rogo!» dice qualcun altro rifacendosi alla vicenda del Trovatore con un’ironia invero macabra; «Se prendessero il regista e lo mettessero lì in mezzo per dargli un sacco di botte!» esclama qualcun altro. Il pubblico si divide. In mezzo alle voci da giochi gladiatori si fa strada anche chi invita al silenzio, al rispetto, c’è chi fa partire applausi per manifestare appoggio ai performer. Lo “scontro” prosegue per tutta la durata della scena dei boxeur – ottima corrispondenza – e trova il suo apice nella sferzante presa di posizione del Direttore d’orchestra, Pinchas Steinberg, il quale, appena prima di ricominciare a dirigere, forse trascinato dalla consapevolezza che fosse l’ultima sera di rappresentazione, esclama: «Avete visto questo, ma c’è anche la musica di Verdi!».

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La musica incalza e l’opera procede senza più commenti da parte del pubblico. Gli applausi finali si fanno più fragorosi per Guanqun Yu, qui nei panni di Leonora. I commenti del vocio finale tornano allo “scandalo” dell’intermezzo dei boxeur. Eppure, quella scena Wilson l’ha posizionata lì con un intento ben preciso: quello di sostituire il ballettato che l’opera verdiana francese, Le trouvère, prevedeva, secondo lo stile della Grand Opéra. Può un’intera opera essere messa in discussione per la scelta di sostituire un vetusto balletto di gusto d’oltralpe con una coreografia contemporanea?

Se la regia di questo Trovatore presenta qualche punto di debolezza, non troviamo che questi siano da ricercare in quell’intermezzo. Forse, una riflessione andrebbe fatta anche riguardo al livello di informazione del pubblico, il quale, almeno in Italia, risulta spesso piuttosto scarso. Si va a teatro senza informarsi, aspettandosi ogni volta la classica messa in scena naturalistica, come se tutte le informazioni pubblicate on-line e stampate sui libretti di sala fossero state scritte per essere ignorate come l’INCI del sapone per le mani. Non si vuole qui sostenere che per fruire di un’opera teatrale si debba obbligatoriamente leggere lunghi trattati su di essa, certo, però allenare la capacità di osservazione aiuterebbe a sviluppare consapevolezza.

Qui potete trovare la ripresa integrale della prima al Comunale di Bologna.

 

IL TROVATORE

di Giuseppe Verdi
regia, scene, luci Robert Wilson
direttore d’orchestra Pinchas Steinberg
libretto Salvatore Cammarano
co-regista Nicola Panzer
assistente alla regia Giovanni Firpo
collaboratore alle scene Stephanie Engeln
collaboratore alle luci Solomon Weisbard
costumi Julia Von Leliwa
trucco Manu Halligan
drammaturgia  José Enrique Maciàn
maestro del coro Alberto Malazzi

Teatro Comunale di Bologna
30 Gennaio 2019