ELENA SCOLARI | La vecchia signora Europa è sotto durissimo esame, in questo periodo. La paziente è forte, longeva, piena di sfaccettature ed è forse stanca di essere bistrattata e strattonata tra chi la ama e la sostiene e chi la denigra e la rifiuta. Come già tanti colleghi che hanno partecipato al VieFestival 2019 hanno detto, non solo la società ma anche il teatro parla d’Europa, il teatro prodotto in tutti i paesi che compongono l’Unione si interroga su di essa e su cosa significhi farne parte.
Perché lo fa? Provo a immaginare alcuni dei motivi, i più immediati derivano senza dubbio dalla congerie storica che stiamo attraversando: la Gran Bretagna che se ne vuole andare, vuole abbandonare la casa, la Grecia che ha rischiato di esserne cacciata, le nazioni dell’est che si chiudono e tanta parte di altri paesi, Italia compresa, che non credono più nell’importanza di un’alleanza invece preziosissima e salvifica.

E poi i giovani. Anche loro un giorno vituperati, un giorno esaltati, i giovani che circolano liberamente (e chissà se si rendono conto di quanto siano fortunati a poterlo fare) da un paese all’altro per studiare, lavorare o semplicemente viaggiare. Dovrebbe essere un diritto di tutti.
In I am Europe di Falk Richter sono loro che vediamo, sono loro che ci raccontano i propri vissuti transnazionali; otto attori-performer di diverse nazionalità (francese con origini arabe, belga, spagnola, serba, italiana…) costruiscono un diario di viaggio e di vita estremamente dinamico, anche un po’ esagitato per la verità: non si scappa dallo stilema che associa gioventù a corse, salti, grida, un’agitazione generale. È il giovanilismo, eccolo lì.

® Jean Louis Fernandez

Personalmente ho sentito anche tanta rabbia, in questi monologhi, non so quanto sincera e quanto costruita; c’è un altro binomio classico che fa la gioventù quasi sempre arrabbiata. Mettiamo di credere a questo sentimento risentito, ragioni ce ne possono essere, ma rivolgerlo a mo’ di accusa contro il pubblico è una scelta che – per carattere – non ho trovato funzionale alla riflessione su eventuali responsabilità. Non certo verso le singolarità in scena ma nemmeno verso le situazioni simbolo cui vogliono dare voce, ad alta voce.
A mio parere l’attrice serba personifica la più profonda e dolorosa esperienza legata alla terribile guerra nei Balcani che ha smembrato la Jugoslavia rendendo nemici acerrimi quelli che poco prima erano i vicini di casa, perché di un’altra etnia. Davvero toccante è la sua tessera di questo mosaico geografico, il suo paese sono tutte le persone amiche che formano una nazione dell’anima anche se ora le loro carta d’identità sono montenegrine, croate, bosniache o macedoni.

Lo spettacolo si compone di quadri in cui ogni interprete si denuda biograficamente, intervallati da momenti corali e ben coreografati, in cui, sempre un po’ forsennatamente, gli attori spostano elementi di scenografia, costruiscono e cancellano architetture come strutture che si montano e si smontano continuamente, tentativi, esperimenti. Immagini di telegiornali, di post sui social, di discorsi dei politici scorrono su tre schermi o proiettati sul velo di un cubo che diventa di volta in volta stanza, gabbia, acquario, vetrina.

Tutti sono in costumi “casual”, parlano ognuno nella loro lingua (molti ne conoscono più di una), raccontano senza pudori i loro desideri, le loro vite sessuali (anche queste in grande movimento, non c’è che dire), i dubbi su matrimoni contratti per permettere al fidanzato di non essere espulso da un paese o i pregiudizi verso i cognomi arabi e la tracotanza ottusa delle gang di quartiere o di banlieues. Tanta musica, luci prepotenti, tiro complessivo spesso molto caricato.
Ci sono anche molti elenchi, una tecnica un poco logora ma che funziona sempre. In particolare si elencano guerre, consumatesi in Europa nei secoli; forse a sostenere che la pace dopo i due conflitti mondiali è in realtà costellata di conflitti meno eclatanti per volume?

Un’attrice vestita di nero e col capo coperto incede in diagonale sul palco snocciolando al microfono date di guerre (è lei la guerra?) per poi fermarsi in proscenio e cantare Bella ciao. La canta rallentata, un po’ in inglese un po’ in italiano (bye, beauty bye), con un effetto shakerato tra esperanto ideologico/folk patinato/sinistre di tutto il mondo unitevi. Ché i partigiani vanno sempre bene e ci si guadagna subito la simpatia della platea italiana ed emiliana.

Tutti noi siamo l’Europa e ognuno di noi lo è a modo suo, certo. Richter ci dice in realtà una cosa ovvia, lo fa però con grande dispiego di argomenti e con la giusta considerazione per ogni individuo che ci ha presentato.
Forse si può quindi rilevare che – oltre al “concetto Europa” – riflessioni, pensieri, ragionamenti si concentrano sull’individuo, sulla pluralità di individui, in fondo sulla libertà. Di cambiare. Di essere.
La signora Europa resiste anche per questo.

I AM EUROPE

testo e regia Falk Richter
con Lana Baric, Charline Ben Larbi, Gabriel Da Costa, Mehdi Djaadi, Khadija El Kharraz Alami, Douglas Grauwels, Piersten Leirom, Tatjana Pessoa
coreografia Nir de Volff
drammaturgia Nils Haarmann
scene e costumi Katrin Hoffmann
musica Matthias Grübel
video Aliocha Van der Avoort
luci Philippe Berthomé

assistente alla regia Christèle Ortu
assistente alle scene e costumi Emilie Cognard
produzione Théâtre National de Strasbourg
co-produzione Odéon – Théâtre de l’Europe, Comédie de Genève, Thalia Theater – Hambourg, Noord Nederlands Toneel (NNT) – Groningen, HNK – Croatian National Theatre in Zagreb, Théâtre de Liège et DC&J Créations, Dramaten – Stockholm, Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di Goethe Institut Nancy/Strasbourg all’interno del progetto Freiraum
con il sostegno di Tax Shelter du Gouvernement fédéral de Belgique e d‘Inver Tax Shelter
le scene e i costumi sono realizzati dall’atelier del TNS

Teatro Arena del Sole, Bologna
9 marzo 2019

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