RENZO FRANCABANDERA | L’arte è bella anche per tutti i suoi risvolti sconosciuti o misconosciuti. Qualche tempo fa, in una conferenza stampa, Toni Servillo, a domanda sui luoghi più significativi in Campania per la ricerca teatrale, ebbe a dire pubblicamente che, fra i maggiori, c’era sicuramente Officina Teatro a San Leucio, poco fuori Caserta, sotto la guida premurosa di Michele Pagano.
Confermo che è vero, per quel che vale il mio punto di vista, ovviamente.
E finalmente, peraltro, posso dirlo a ragion veduta, dopo aver per diverso tempo cercato di incrociare lo sguardo con la produzione artistica di un regista tanto schivo quanto vigoroso nella restituzione scenica del suo pensiero sull’arte teatrale.
Effettivamente “eccentrica” rispetto alle dinamiche napolicentriche della Campania che si esibisce, l’associazione culturale Officina Teatro da ormai dodici anni porta avanti la sua attività come centro di produzioni teatrali e cinematografiche, a poche decine di metri dallo stupendo Belvedere di San Leucio.
Occorre volerci arrivare, questo è certo.
Lo spazio rivela cura e una dimensione accogliente, che si narra a chi accede in questo piccolo teatro (totalmente autogestito e autofinanziato) attraverso le foto alle pareti, testimonianza di una pratica dell’arte che in questi anni è riuscita a proporre stagioni sempre più ricche e innovative, ospitando attori, registi e formatori di fama mondiale e garantendo a un territorio certamente non facile un’ampia formazione per adulti, ragazzi e bambini, attività per le scuole, seminari di approfondimento.
Al centro dell’attività di Officina si pongono lo studio, la ricerca, la formazione, il dibattito e l’aggiornamento culturale, nonché la creazione e messa in scena di spettacoli teatrali e comunque di iniziative dirette a diffondere il teatro, la cultura, l’arte e lo spettacolo in genere.
Gli allestimenti scenici favoriti dalla regia affidata al deus ex machina di questa piccola follia di provincia, l’obiettivamente talentoso Michele Pagano, coniugano de facto produzione e formazione, coinvolgendo negli allestimenti i giovani che si formano alla scuola teatrale e che vengono poi coinvolti nei vigorosi allestimenti, non di rado site specific, che Officina ospita.
In un mondo di vanagloria e spesso fuffa, la sfacciataggine di Michele Pagano è inversamente proporzionale alle significativa qualità delle sue creazioni. Da testimone del linguaggio in questo tempo, viene quasi rabbia a vedere segni artistici e un impegno nella pratica tanto nitidi ma così poco narrati e distribuiti.
Fisicamente imponente, barbuto, inequivocabilmente figlio di questa terra nel sembiante e nelle movenze, l’aversano Pagano (classe ’79) è un talento poliedrico: regista, sceneggiatore, attore, autore e docente teatrale e cinematografico, fin da giovanissimo si è dedicato al teatro sia come drammaturgo che come regista, unendo poi questa passione a quella del cinema, ricevendo per i risultati con la macchina da presa riconoscimenti nazionali ed internazionali; fino al 2010 quando questa attività, pur ricca di risultati, ha lasciato il posto ad una virata più decisa sul linguaggio della scena nello spazio Officina Teatro – fondato già nel 2007 – di cui è attualmente direttore artistico.
Ci accoglie appassionatamente, divorando sigarette, dopo il nostro arrivo nel bel mezzo della riunione con la compagnia prima della ripresa della Trilogia della villeggiatura: la prova.
Entriamo in sala dopo aver assistito a prove che Pagano dirige con comunicazione cinematografica, attento al gesto e all’intenzione nello spazio, di cui ha una padronanza visionaria, architettonica prima di tutto.
Vive ancora, ad esempio, nella memoria del pubblico la bella macchina scenica completamente dirompente ed interamente in alluminio realizzata per Il Mangiafuoco.
Il gruppo di attori che il regista porta in scena si è formato per la gran parte in questa scuola, eccezion fatta per alcune figure senior della compagine.
Pagano immagina una rilettura della Trilogia di Goldoni adottando l’espediente testoriano del classico rimesso alla prova, per una rimaneggiatura del testo che, nella sostanza, lascia la trama totalmente leggibile, mentre si diverte a giocare sul genere degli interpreti, affidando i ruoli femminili agli uomini e viceversa.
L’effetto è straniante solo per pochi minuti, giusto il tempo di familiarizzare con i nomi dei personaggi goldoniani e il loro sembiante, dopo di che è evidente che la scelta ha una sua ragion d’essere individuabile nella volontà di rendere le diverse sfumature caratteriali dei vari soggetti, giocando con gli stereotipi ma senza calcare mai la mano.
Un palcoscenico spoglio, le pareti grigiastre con una scenografia falsamente in disordine, alcune sedie intonate al monocromo, un doppio fondale e un banco con microfono a destra, al quale troviamo accomodato il narratore che introduce il pubblico alla fruizione della vicenda. Fra testo, sottotesto, ironia, didascalia, questa presenza rende fluido il taglia e cuci che compatta la Trilogia in due atti di poco più di due ore.
Il tema della prova, evocato nel titolo, non è giocato fino in fondo nell’allestimento come invece faceva Testori nel suo Promessi sposi alla prova in cui un gruppo di giovani attori inesperti, provava sotto la guida di un maestro qualcosa che assomiglia vagamente al classico manzoniano.
Il senso dell’operazione resta comunque simile: gli interpreti provano ad uscire dal tempo in cui è ambientata la vicenda cui stanno dando vita, per dialogare con il proprio, cercando nessi di continuità tipici del tratto umano. Leggibile in quest’ottica il mélange nel codice dei costumi (bellissime creazioni di Pina Raucci, vere opere d’arte sartoriale).
Lo sforzo interpretativo consolida una recita dal ritmo serratissimo, intonata al comico ma con la capacità di vibrare sul grottesco e che in alcuni momenti sa sfiorare il tragico. Pagano conosce i suoi interpreti e non spinge nessuno oltre i propri limiti, ma costruisce un allestimento capace di accogliere le vibrazioni caratteriali e gli spigoli identitari di ciascuno per sommarli a quelli dei personaggi che interpretano.
È questo il motivo per il quale il piacevole allestimento è accolto con particolare soddisfazione dal pubblico; trasmette anche la commossa e commovente sensazione di aver assistito a un vero lavoro di squadra, con una dozzina di interpreti, roba ormai impossibile da immaginare sui grandi palcoscenici italiani, se non in queste folli, forse donchisciottesche ma poetiche, passioni di periferia.
È una periferia dove a volte si può erroneamente arrivare a ritenere di essere meno professionisti dei professionisti, solo perché ci si fa un po’ tutto da soli, e invece lo si è paradossalmente molto di più, per passione e dedizione al sacro fuoco dell’arte.
Qui si sfida il senso mortifero della routine, non del teatro ma dello spettacolo come esibizione. Confermo e concordo in questo con Servillo: sono i posti come Officina Teatro a restituire il valore del ricercare e ricercarsi oggi.
Provo sempre profonda gratitudine per chi con semplicità mi riporta al significato del fare arte e alle ragioni profonde per le quali continuo in questa pratica di testimonianza critica, la cui ripetitività mi avrebbe altrimenti travolto in un ferale abbraccio di noia.
Le creazioni di Pagano e della sua compagnia sono invece una boccata d’aria viva, con un senso di concreto poetico artigianale, di bello pur quando imperfetto, come quello che tutti riconosciamo nelle persone che amiamo, ma che ancor più ci uniscono a loro.
Favoriamo alcuni video dopo i crediti di locandina per incuriosire qualche programmatore in cerca di ossigeno.
TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA: LA PROVA
liberamente tratto da Carlo Goldoni
Adattamento e regia di Michele Pagano
con Andrea di Miele, Carmen Perrella, Piero Mastandrea, Sara Brancato, Claudia Casalino, Umberto Orlando, Carmine Claudio Covino, Valentina Masetto, Francesca Natale, Antonio Avenia, Luigi Cinone, Davide Guerriero
Aiuto regia Maria Macri
Assistente alla regia Cristian Mazzaccaro
Costumi Pina Raucci
Fotografie Pasquale Maisto, Alessio Cinone
Officina Teatro Caserta
Viale degli antichi platani, 10
81100 – San Leucio (Caserta)
Telefono 0823 36 30 66