FILIPPA ILARDO | Per capire di cosa si tratta bisogna essere qui, ispirati e contaminati da quei ruderi che il tempo ci ha lasciato in memoria, per sentire di essere parte di un cammino e di una storia millenaria che parte dal teatro classico e arriva all’hic et nunc, come se il tempo fosse una sorgente sotterranea che scorre e la memoria un processo di trasformazione e metamorfosi in un continuo divenire.
Ripensare il teatro e riportarlo alla sua vera funzione, quello di creare comunità, di essere rito collettivo in cui una collettività si riconosce. È questo che anima il progetto Scena Segesta che Lina Prosa sta portando avanti insieme al Comune di Calatafimi-Segesta, in un momento di trasformazione dei parchi archeologici in enti autonomi.
Era necessario un racconto per capire quello che sta avvenendo qui: Calatafimi-Segesta, Gennaio 2020.
E infatti veniamo per parlare con Lina Prosa, che in questi luoghi ci è nata e si è formata, prima di fare nel mondo il suo percorso di drammaturga.

Da quali motivazioni nasce questo progetto?

Nasce da questo territorio, dove io sono nata. Ci sono vocazioni straordinarie, che lo rendono unico, speciale, a partire dal teatro greco al mito.
I miti scorrono come fiumi sotterranei dove il teatro deve avere la funzione di costruire una visione del mondo. Venire a teatro a Segesta dovrebbe rappresentare la necessità di costruire un diverso punto di vista. La drammaturgia classica dovrebbe essere intesa come crescita civile, come passaggio di memoria attraverso le generazioni che lo attraversano, che lo vivono e lo abitano, non va utilizzata come bene di consumo. Nei teatri antichi non si possono fare scelte di consumismo, i teatri non sono semplici contenitori. Il teatro di Segesta è entrato nella circuitazione e nelle tournée delle compagnie, quindi ha un pubblico provinciale perché gli spettacoli programmati qui puoi trovarli dappertutto. È una programmazione che mira ad acchiappare il turista di passaggio, senza identità forte, priva di progetto culturale.

Un progetto che mira quindi a ridurre la distanza tra il teatro e la città?

Il territorio deve essere inteso come una risorsa. Invece Segesta è, per ora, un contenitore anonimo, amorfo, senza legame con la città, un legame che invece bisogna rinsaldare. Va riequilibrato questo rapporto tra il teatro e il territorio. Gli abitanti di Calatafimi sentono che manca questo rapporto, lo sentono come un’offesa, ma non sanno come fare e come intervenire. Un nuovo progetto deve mirare a creare un teatro comunità allargato alla città, dove teatro e città si fondano l’uno nell’altra.

Quali saranno i tempi di realizzazione?

Questo è un anno di passaggio in cui si stanno creando i presupposti dal punto di vista burocratico e ministeriale. A Segesta c’è un confronto politico tra comune e parco archeologico, in quanto il parco è diventato ente autonomo dallo scorso settembre. Anche se il comune è intestatario del luogo, la direttrice ha deciso di condurre il festival. Manca però il completamento della legge che prevede un comitato tecnico-scientifico di cui dovrebbero fare parte anche i sindaci dei Comuni in cui ricadono le aree archeologiche. In questo modo si dovrebbe risanare la cesura; il presidente della regione, invece, ha nominato i direttori ma non il comitato, in cui al Comune spetterebbero due presenze su un totale di quattro componenti e che sarebbe il ponte tra il parco ed il territorio.

Vuoi darci le coordinate del progetto Scena Segesta e come si articolerà.

Il progetto Scena Segesta, che l’amministrazione comunale ha fatto suo, tende a fare delle vocazioni del territorio le radici di un attività permanente che sia risorsa allo stesso tempo artistica, culturale ed economica. Come un acquedotto che convoglia le acque e le ridistribuisce.
Esso prevede attività di formazione permanente, ovvero il Laboratorio Internazionale di Drammaturgia Classica e Creazione Contemporanea. Una formazione che sarà ricerca, studio e creazione con un indirizzo suo particolare che è la drammaturgia, non solo come scrittura ma come trasformazione di ciò che sta intorno al territorio in termini di risorse umane e che comprenda scrittura, paesaggio, antropologia.
Il festival sarà quindi il prodotto finale di un lungo processo di formazione che si svolgerà attraverso residenze artistiche duplici, ovvero due residenze parallele per le quali saranno emessi dei bandi. Una per attori, una per ricercatori e studenti universitari. Lavoreranno insieme all’inizio e poi si divideranno: gli attori, guidati dal regista, si occuperanno della creazione, gli altri si occuperanno di formazione del pubblico.

Quali saranno gli spazi?

Il comune ha destinato due spazi, ovvero il Teatro Cavallotti (finanziato dalla regione per il restauro) e l’ex convento di San Francesco con il museo al piano basso.

Avrà anche un respiro internazionale?

Scena Segesta è anche mobile ed è fortemente legata al Mediterraneo. Eschilo altrove prevede la messa in scena di un’Orestea itinerante. La prima tappa è già nata in Brasile dove ho raccolto in video un lavoro su Elettra. In Africa faremo una seconda tappa dove focalizzeremo la figura di Oreste. Tutto ciò darà vita a un grande prologo che verrà messo in scena qui. Così il teatro antico e la drammaturgia contemporanea troveranno un forte punto di incontro.