DALILA D’AMICO | Il 15 e il 16 Febbraio nell’ambito di Grandi Pianure, programma dedicato alle pratiche coreografiche curato da Michele di Stefano per il Teatro di Roma, è andato in scena Abstract. Un’azione concreta di Silvia Rampelli. Più che uno spettacolo, assistiamo a un piccolo saggio sul tempo, sull’assenza, sul vuoto che intercorre e sfiora la compresenza di persone in uno spazio. Tuttavia anche il termine ‘saggio’ schiude un’imprecisione e perimetra bruscamente la sostanza rarefatta e vibrante che è Abstract. Un’azione concreta. Potremmo forse utilizzare il termine ‘sospensione’, inteso come interruzione da un continuum quotidiano e logico, ma anche come atto di levarsi dalla gravità del reale. Una sospensione temporale e materica dunque.

In scena Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Valerio Sirna, sono entità leggere, non tanto per le azioni che compiono, reiterate, convulsive, attirate dal basso, quanto perché prive di un peso storico. Sono figure evanescenti come un pensiero, che agiscono in uno spazio vuoto. Non si incontrano quasi mai, se non per correggersi a vicenda delle posture che immediatamente si srotolano in una massa informe. Non c’è contagio, ciascuno resta nella propria posizione, fisica ed esistenziale. Sono tre solitudini accomunate da un’attesa spesso disillusa da piccoli tic, movimenti nevrotici, bilanciamenti di pesi. La temporalità è centrale nell’azione.

Lo “spettacolo” inizia con una frase che fende il buio: «Un anno dopo». Dapprincipio quindi il presente immediato è sospeso e si precipita in uno sfasamento temporale, un dopo rispetto a un simultaneo che ci è oscuro. Più avanti un’altra scritta ci informa di essere tornati in sincronia con il presente, ma poco è cambiato negli atteggiamenti delle tre figure, se non la loro disposizione nello spazio, la loro nudità e la presenza di un cane; un rimando alla casualità? Alla concretezza che irrompe nell’astrazione di un pensiero? Infine un’ultima scritta una “e”, un elemento di congiunzione a cui manca però l’elemento da congiungere. Un’ulteriore sospensione all’interno di un circuito già sospeso.

Ecco, spettacoli come questo a mio parere mettono in questione il ruolo della critica o perlomeno, appunto, lo sospendono. È possibile sezionare una sensazione? Descrivere una percezione? Raccontare uno stare che è intimamente connesso a una disposizione d’animo? Certo potrei elencare minuziosamente tutte gli atteggiamenti e i movimenti che vanno a costruire la partitura fisica dello spettacolo, potrei mettere in ordine le relazioni di sguardo, gli avvicinamenti, i bui, le luci (di Fabio Sajiz) i silenzi e gli interventi sonori. Infine elaborare una sintesi. Ma ancora una volta la sensazione sarebbe quella di tradire una levità, di trovare un significato a un vuoto che vuole darsi come tale nella sua pienezza. È possibile che a volte la tentazione di spiegare e commentare propria del critico, rischi di sterilizzare la complessità dello stare a teatro? È possibile allora restituire una vibrazione emotiva con gli strumenti non propri della critica? Ecco, guardando Abstract. Un’azione concreta io penso a una poesia di un’autrice contemporanea, Azzurra D’Agostino e credo, sospendendo ogni giudizio, di non poter trovare parole e strumenti migliori.

Vigilia

Uno strato spesso ci chiude il cielo
e tutto è rivelato: l’albero di giuda
spoglio nel giardino, la solitudine del cane,
l’agrifoglio rosso che guida lo sguardo nella fratta.
Siamo chiusi qui dentro noi, che aspettiamo qualcosa,
il compimento del nostro tempo forse, forse la fiammella
che pure tiene nello spiffero invernale. Fa male
certe volte sapersi vivi, così esposti al lato d’ombra
inadatti, distratti, diseguali, giusto un po’ troppo, o appena meno.
Non proprio fuori del secolo, ma appena, un poco,
a lato. Il volto sfocato della foto, quello che s’è girato,
che è venuto non proprio male, ma gli occhi erano chiusi.
Come sarà il tempo a venire? Nevicherà? Avremo figli?
Barcollano i palazzi nel buio, le ombre
li divorano piano. Avevamo un’altra idea degli eroi
che non queste tiepide case. Dai vetri spiamo
i passanti. Un forestiero che ama la città, i bui
tra l’uno e l’altro lampione. È questo quello che siamo?
Perdersi, stupire, essere come possiamo.

da Alfabetiere privato, (LietoColle-Pordenonelegge, 2016)

 

ABSTRACT. UN’AZIONE CONCRETA

H a b i l l é  d’ e a u
ideazione e regia Silvia Rampelli
danza Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Valerio Sirna
luce Fabio Sajiz
suono Tiago Felicetti
comunicazione Paola Granato

Produzione Habillé d’eau, Tir Danza  Coproduzione Armunia/Festival Inequilibrio,
Con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale,  Festival Danae, Armunia/Festival Inequilibrio, di Short Theatre e Centro di Residenza della Toscana Armunia CapoTrave/Kilowatt
Con il supporto di Komm Tanz_Passo Nord – progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni
Ringraziamenti Gianni Staropoli, Andrea Margarolo e Roberta Zanardo

Teatro India – Roma
16 Febbraio 2020