ANTONIO CRETELLA | In un discorso di qualche anno fa, al culmine di una delle sue tante resurrezioni politiche, il Cavaliere tuonava dal suo banchetto di rappresentanza contro l’istruzione pubblica, rea di “inculcare” negli alunni valori contrari a quelli desiderati dai genitori, al contempo, ovviamente, elogiando la scuola privata – ora come allora alla perenne ricerca di foraggiamenti – come baluardo della libertà; posizione condivisa per altro anche da attuali esponenti politici di altre correnti. In una sola parola, “inculcare”, Berlusconi aveva come suo solito rovesciato e semplificato i termini della questione presentando la scuola non come fucina del pensiero critico, ma come fabbrica di indottrinamento ideologico (comunista, ça va sans dire), come poi detto esplicitamente più volte dalla sua ministra dell’istruzione dell’epoca che si batteva per evitare l’imposizione di un temutissimo pensiero unico. Di lì originò il seme della reductio di ogni forma di pensiero critico a derivazione comunista, come per altro ribadito recentemente da quell’esponente leghista che ha definito Imagine di John Lennon una canzone marxista. Il risultato dell’azione combinata di semplificazione e delegittimazione è che insegnare fondamenti di scienza o di diritto, parlare di tolleranza, cooperazione, pacifismo, ambientalismo oggi equivale a un pericoloso indottrinamento, mentre la diffusione di sciocchezze antiscientifiche, di razzismo, omofobia e classismo è considerata garanzia del rispetto della “libera scelta di noi genitori, perché nostro figlio lo educhiamo come ci pare”. Anche a essere un mostro che disprezza i fondamenti del vivere civile, se necessario.