SABRINA SABATINO | La presenza di Ascanio Celestini al Romaeuropa rappresenta ormai un sodalizio consolidato tra l’autore-attore e il Festival sin dal 2015, anno in cui Celestini ha portato in scena il primo capitolo della sua trilogia monologante. S’intitolava Laika quello spettacolo, in coproduzione con il REF, dedicato alle periferie suburbane di un’umanità ai margini. Ricerca nelle pieghe dei tessuti sociali che Celestini ha poi proseguito con Pueblo, al REF nel 2017, anch’esso lavoro profondamente intimista, stratificato però grazie all’intrusione di numerosi protagonisti parlanti per voce del narratore. Nuovamente confermata la sua presenza quando nel novembre 2019 Celestini debuttò al Teatro Vittoria con Barzellette, punto d’arrivo di un lavoro di scavo nel segno delle tradizioni orali di matrice popolare.
Nel 2020 non è stata dunque una novità rivedere il suo nome associato a una fiaba sinfonica nel cartellone della trentacinquesima edizione del Festival, dove assai diversa è l’atmosfera che si respira a causa delle regole anti-Covid, rispettate dall’organizzazione con assoluto rigore.

Sono le premesse da cui cominciano queste riflessioni a margine di Pierino e il Lupo/Pulcinella, andato in scena il 29 e 30 settembre nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica in coproduzione con Fondazione Musica per Roma. Per l’occasione, Celestini è accompagnato nella narrazione affabulante dall’orchestra del PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretta dal 2009 dal Maestro Tonino Battista.

Un doppio spettacolo che sublima l’idea di suggellare sulla scena due opere centrali della musica sinfonica: Pierino e il lupo di Prokof’evPulcinella di Stravinskij.
Quando entra il pubblico, adulti e bambini, Celestini è già sul palco, scambia battute con i musicisti: ognuno regola il suo strumento, definisce la punteggiatura di un’eterea materia sonora in cui gli attori della storia sono gli strumenti musicali che si corrispondono come in uno schema biunivoco. Il volteggiare agile dell’uccellino è punteggiato dal flauto, l’andamento goffo dell’anatra è descritto dall’oboe, i passi vellutati del gatto affidati al clarinetto, il borbottio del nonno è il fagotto, l’ululato della temibile bestia è narrato da tre corni, l’arrivo dei cacciatori con lo sparo dei fucili appartiene a legni e timpani e, infine, l’azione vivace di Pierino interpretata da una famiglia di archi.

«Gentile Prokof’ev», è l’incipit da cui comincia il racconto di Celestini, con una lettera indirizzata al compositore sovietico. La sua abilità dialettica non sembra aver sofferto di una pausa lavorativa: Celestini incanta con la sua forza comunicativa, si pone da tramite diretto tra l’orchestra e il pubblico, problematizza. Spinge a chiederci: perché Pierino e il Lupo è diventato un classico? Era il maggio del 1936, ci racconta all’inizio di questo viaggio musicale, l’anno in cui Prokof’ev rientra in URSS, anno d’inizio della Guerra di Spagna, l’anno in cui moriva Garcìa Lorca; l’anno in cui dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini annunciava la neoformazione dell’Asse Roma-Berlino, l’anno di nascita della coalizione del Fronte popolare francese e delle purghe nella Russia stalinista, ma anche l’anno di memorabili capolavori; insieme all’opera di Prokof’ev, uno tra tutti, fu la Lady Macbeth di Shostakovich.

Il suo racconto s’interrompe per dare il là alla musica, estasiato dal leitmotiv di archi, il più riconoscibile della composizione. Difficile dire se lo spettacolo assomigli più a un recital o a una prosa musicata. È evidente la capacità di questo maestro della narrazione di creare un ponte tra la musica cosiddetta ‘colta’ e la sua fruizione per ascoltatori inesperti. Si realizza così una fusione tra linguaggi, ben collaudati, che si transcodificano a vicenda in una partitura che scorre fluida, dove il discorso di Celestini, cucito nella pausa tra gli intermezzi, si presta per farci ascoltare meglio linee melodiche destinate altrimenti alle sole orecchie ben educate.
L’operazione, nella sua semplicità, riesce: così come Battista dirige gli strumenti, l’intervento narrativo di Celestini orchestra i pensieri degli spettatori e le immagini corredate da suoni già di per sé pregnanti postulando una riscrittura loquace sul tema della varietà della natura animale. In questo gioco di rimandi, si dipana la trama di Pierino e il Lupo: una fiaba nella quale la Commissione sovietica per la cultura vide una critica politica al punto da sfiorare la censura. Chi è Pierino?, ancora oggi ci chiediamo, «forse l’artista che non teme il potere?», dice Celestini. «E se invece Pierino fosse l’anarchico e il lupo il dittatore?». Non ci sono metafore, archetipi complessi, sovrastrutture allegoriche a depotenziare l’impatto di una favola musicale, caposaldo dei prontuari scolastici, che si pone il solo intento pedagogico di abituare gli uditori da bambini all’unicità di timbri e cromie dei singoli strumenti musicali.

Dopo una breve pausa, lo spettacolo riprende con la Suite composta nel 1920 da Stravinskij sul soggetto di Pulcinella, figura cardine nel repertorio della Commedia dell’Arte napoletana, ispirandosi all’opera barocca di Pergolesi. Si chiama Giufà questo Pulcinella, come lo chiamerebbero i siciliani, forse su effetto della dominazione araba nell’isola. È lo scemo del villaggio, una maschera su cui anche Eduardo non esitò a soffermarsi con lo scopo di mettere in forma d’arte uno stereotipo dell’immaginario comune. Personaggio amato da Celestini – che già nel 2009 fa aveva pubblicato le storie di Giufà e Re Salomone – Giufà gioca un ruolo centrale nella nostra memoria con aneddoti che vedono l’attore più spedito in questa seconda sessione. È qui che improvvisa, fa battute sul recovery fund, sui complottisti della pandemia, ridicolizza il sistema Empals (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza ai Lavoratori dello Spettacolo), che sì «sembra anch’esso uno scioglilingua», chiama a sé i primi applausi.
Quelle che racconta sono storie di tribunali, omicidi di nonne, peripezie di briganti, prestiti da un compare, consigli di un re saggio, presunti adulteri e morti annunciate: è ciò che accade a Giufà nel suo giro per il mondo.
Congedandoci con una digressione sulle lotte dei contadini calabresi nel 1943 «caduti per la conquista della terra», lascia in sospeso una domanda: «Siamo il terreno fertile o il deserto?». Del resto, per tornare a Prokof’ev, Celestini ci ricorda che morì lo stesso giorno di Stalin. Per lui non rimase che un fiore in tutta Mosca.
Questo fiore che dovrebbe essere adesso il nostro teatro.


PIERINO E IL LUPO/PULCINELLA 

in corealizzazione con Fondazione Musica per Roma
da un’idea di Ascanio Celestini e Tonino Battista
liberamente tratta da Prokof’ev e Stravinskij
testi di Ascanio Celestini
musiche a cura del PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble

RomaEuropa Festival 2020

Auditorium Parco della Musica – Cavea
29 – 30 Settembre 2020