LAURA BEVIONE | Se le sale teatrali sono chiuse e gli spettacoli dal vivo necessariamente proibiti, allora può essere utile riflettere sullo stato dell’arte del teatro in Italia e, magari, tornare ai “fondamentali”, ossia testo e attori, così da (ri)pensarne peculiarità e valori, funzioni e “metodi”. Questa la premessa del progetto di drammaturgia contemporanea Mezz’ore d’autore, ideato dalla Fondazione Teatro Due di Parma e dalla sua direttrice Paola Donati, e presentato nel dicembre scorso.

Drammaturghi di qualunque età sono stati invitati a proporre un testo inedito: nessuna tematica privilegiata ma, quale unica condizione, la durata non superiore alla mezz’ora. La risposta è stata superiore alle aspettative degli organizzatori – oltre trecento i copioni arrivati a Parma – a testimoniare dell’esistenza nel nostro paese di un fittissimo sottobosco di drammaturghi.

Incaricata di leggere e valutare questo ingente materiale è stata una commissione giudicante nutrita e composita, specchio delle varie professionalità legate alla scena: oltre a Paola Donati, il drammaturgo Roberto Cavosi, la regista Lisa Ferlazzo Natoli, la dramaturg ungherese Tamara Törok, gli attori dell’Ensemble Teatro Due Roberto Abbati e Paola De Crescenzo, la giornalista e critico teatrale Francesca De Sanctis, l’editore Mattia Visani, l’autrice televisiva Giulia Morelli e il produttore cinematografico Andrea Occhipinti.

Al termine della lettura e di una discussione, che immaginiamo sicuramente animata, la commissione ha individuato otto testi: Focus group di Marco Di Stefano, Il principe dei sogni belli di Tobia Rossi, Il fiore rosso di Maria Teresa Berardelli, Ottavo livello di Giuseppe Viroli, Le conseguenze del surriscaldamento globale di Giulia Lombezzi, Il Serraglio di Carlo Galiero, Dead men waiting di Manlio Marinelli e Bestie incredule di Simone Corso. E, per saggiarne immediatamente la concreta resa “scenica”, i copioni sono stati affidati agli attori dell’Ensemble del Teatro Due – Roberto Abbati, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Nanni Tormen, Emanuele Vezzoli – che, a partire dal 27 febbraio, ne hanno offerto per quattro sabati consecutivi concentrate e vitali letture, trasmesse in diretta streaming e con l’empatica regia video di Lucrezia Le Moli.

Le quattro Mezz’ore – disponibili sul canale YouTube della Fondazione fino al 30 aprile – sono state girate in una delle sale del Teatro Due: la gradinata desolatamente vuota, sul palcoscenico un lungo tavolo attorno al quale siedono gli attori, impegnati in quella particolare forma di lettura definita, appunto, “a tavolino” e che comporta una conoscenza già piuttosto approfondita del testo.

Gli interpreti dell’Ensemble entrano uno per volta, sono tutti in scena o se ne allontano per lasciare solo uno di loro: ogni testo ha una propria specifica regia benché sia possibile rintracciare un filo rosso coincidente con la partecipazione mai passiva dell’Ensemble nel suo complesso. Gli attori, anche se non impegnati in prima persona nella lettura, ne sono evidentemente coinvolti, con gli sguardi, le sottili variazioni della fisionomia, i piccoli movimenti, a testimonianza di un’adesione non superficiale al progetto e, anzi, di una volontà di sfruttare l’opportunità che esso offre di sperimentare la propria arte con linguaggi indiscutibilmente miscellanei.

E proprio la traduzione in suono e in – per quanto necessariamente limitata – azione della parola scritta è concreta e lampante cartina al tornasole della teatralità degli otto testi selezionati, assai diversi fra loro non soltanto per le tematiche trattate e per la tonalità prescelta – grottesca ovvero onirica, realistica o satirica – ma, in primo luogo, per la loro effettiva autonomia scenica, per la loro capacità di acquisire una convincente sostanza vitale al di fuori della pagina scritta.

La differente qualità degli otto copioni diviene così paradigmatica dei punti di forza e, soprattutto, delle criticità della drammaturgia italiana contemporanea, il cui sviluppo e la cui crescita certo non sono facilitati né dalla storia del teatro nostrano, caratterizzata dal prevalere di una letteratura teatrale destinata a una fruizione privata e non certo finalizzata alla messinscena, pur con rare e significative eccezioni, non a caso identificabili con i lavori di autori-capocomici; né, tantomeno, da pratiche e politiche dominanti negli enti teatrali nostrani. Ecco, allora, che alcuni dei testi palesano una indubbia qualità specificatamente letteraria ma, d’altro canto, rivelano una altrettanto evidente irrappresentabilità, se non con interventi sostanziali da parte di un eventuale dramaturg – figura, quest’ultima, ancora rara se non del tutto assente ovvero malinterpretata nei nostri teatri.

Le quattro Mezz’ore – due testi per ogni “puntata”, ciascuna conclusa da un incontro con i rispettivi autori – riescono coì a porre in luce problematiche e potenzialità della drammaturgia italiana: da una parte un indubbio interesse per la scrittura teatrale, praticata da un numero piuttosto ingente di drammaturghi – alcuni sicuramente tali, altri ancora  aspiranti -; dall’altra la scarsità di concrete opportunità per sperimentare e affinare la propria arte – non solo corsi di drammaturgia ma, soprattutto, iniziative che mettano davvero in relazione positiva e creativa autori da un lato e attori e registi dall’altro, consentendo ai primi di valutare quanto le proprie belle parole conservino forza e materialità una volta traslate dalla pagina scritta alle tavole del palcoscenico.
Un’operazione, quest’ultima, che riesce sicuramente a compiere il progetto realizzato dal Teatro Due di Parma, grazie in primo luogo alla partecipe dedizione del suo Ensemble, versatile – gli attori trascorrono con disinvoltura da comicità a tragedia – e, con la propria creativa professionalità, inevitabilmente implacabile nello smascherare la natura più spiccatamente narrativa di alcuni dei testi e, allo stesso tempo, efficace nel rivelare la reale potenzialità scenica di altri.