SUSANNA PIETROSANTI | Animal Performance Studies: la scena del non umano in una cornice antropologica e filosofica è il titolo delle due giornate di studio che hanno avuto luogo presso DAMSLab/La Soffitta (Università di Bologna), concepite, volute e sostenute da Laura Budriesi, studiosa appassionata di questo segreto settore di indagine. Il simposio si è svolto con lo scopo di indagare metodologie, strutture teoretiche e applicazioni pratiche che riuscissero a creare una rete di rimandi, in area artistica, all’animalità, nella convinzione che l’animale non umano sia un creatore e diffusore di domande ontologiche, etiche, filosofiche che illuminano la nostra identità e il nostro modo di decodificarla.

Già da tempo i Critical Animal Studies si sono rivolti all’animalità, assumendola come dimensione profondamente indagabile in prospettiva interdisciplinare. Adesso la stessa pratica teatrale sta diventando modo e veicolo per esplorare relazioni inedite tra specie diverse, per riflettere su un linguaggio non solo verbale, per considerare l’ibridismo, l’incrocio, la contaminazione, come fruttuoso metodo d’innesto e non come respingente orrore. Ci si domanda se si potrebbe scrivere, e praticare, un teatro non solo umano. Concetti come embodiment, presenza, processo, evento, sono parole chiave per l’animalità e per il teatro.

Gli interventi, tutti di alto livello, si sono snodati nelle giornate di venerdì 7 e sabato 8 maggio. Venerdì, fra gli altri, è intervenuto Roberto Marchesini, celebre fondatore della zooantropologia, che nel suo intervento ha ribadito che i non-umani, gli animali, non solo sono partner, ma partner di relazione, capaci non solo di suggerire nuove idee ma di rivelare nuove dimensioni esistenziali, e artistiche. Ci conducono all’arte come elementi epifanici, ci rivelano esiti inattesi e imprevisti e non solo strade percorribili e gestibili.
Gli uccelli, dichiara Marchesini, hanno suggerito a Leonardo che si poteva volare. E i cavalli possono essere partner performativi: lo dimostra Charlene Dray nel suo suggestivo intervento, che ha suscitato una serie di profonde domande sulla relazione asimmetrica uomo/animale e su quanto sia giusto imporre all’animale di affiancarci nell’arte.
“Loro secondo lei si divertono?” chiede uno spettatore, e la risposta è che, lavorando e cooperando, un piacere sicuramente viene tratto.

Il sabato, giorno degli artisti, indimenticabile è stato l’intervento di Pietro Babina, sull’orrore profondo del macello, luogo dove l’animale viene sterminato, ridotto a un corpo che non conta, che posso smembrare e sprecare (come altre “specie” aveva suggerito Massimo Filippi, altrettanto violentabili). Il filmato di Anagoor da Virgilio brucia, argomentato da Simone Derai, sull’orrore degli allevamenti intensivi, dove le scrofe partoriscono feti nati morti ci trasporta nell’Ade, nell’orrore più nero. Alessandro Garzella di Animali Celesti e il Teatro delle Ariette, invece, riportano la questione alla presenza, all’evocatività e alla magia dell’animale sulla scena, al di là dell’orrore della concettualizzazione della violenza generale e pervasiva effettuata su di lui.
Elena Cervellati fornirà un caso di studio affascinante, tracciando una linea dai tutù metamorfici che trasformavano le danzatrici in Odile/Odette ne Il lago dei cigni alla performance di Luc Petton (2012, Swan) in cui cigni bianchi e neri, autentici, sono in scena, intersecando la loro fisicità a quella delle danzatrici e imponendo una nuova performatività, basata sull’ascolto e sull’improvvisazione, veramente innovativa e aperta a un mondo circolare, collegato, interdisciplinare, completo.
Gli animali ci guardano, ha concluso Francesco Marsciani, con uno “sguardo/fune” che ci condiziona. L’arte nuova, rinnovata, si muove anche nel circolo delle loro misteriose pupille che toccano le nostre in uno sguardo, finalmente, comune.