MATTEO BRIGHENTI | Andare incontro e venirsi incontro, ritrovarsi per poi riconoscersi, sono atti che plasmano il tempo a immagine e somiglianza dei nostri desideri. Testimoniano che la vita è nostra. Che ci appartiene, quanto ci appartengono le parole per affermare chi siamo.
Ma ora come ora il momento è di attesa riempita di immobilità. Non sappiamo cosa desiderare davvero: qualcun altro lo fa per noi. Vive per noi. Così, la nostra presenza si riduce a una mancanza, a una sparizione, a un vuoto di coraggio, di impegno, di volontà.
Siamo un dialogo che si avvita su pensieri che ci escludono a vicenda. I lavori che abbiamo visto alla IX edizione di Materia Prima 2021 realizzata da Murmuris, in versione estiva nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze (14 – 18 settembre), ce l’hanno sbattuto in faccia con un’ironia baciata dalla determinazione più immediata e più vivace che possa esistere.

Fausto Paravidino non ha fatto uno spettacolo. Ha dato, piuttosto, spettacolo di sé; tra aneddoti, riflessioni e provocazioni, si è profuso in uno sfogo-confessione chiaro ed esplicito sull’incomunicabilità di noi esseri umani. Sapere le cose non equivale a saperle spiegare, come essere dalla parte della ragione non comporta per forza ottenere ragione. Something stupid, recita il titolo, ma qui di stupido non c’è proprio niente.
Caustico, provocatorio, tremendamente incisivo, Paravidino sul palco squaderna le nostre fragilità, le nostre miserie, le nostre piccolezze, assumendosi per giunta il rischio di un formato che lo lascia “scoperto” su entrambi i fianchi. Ha calato qualsiasi maschera teatrale: assente la scenografia (a parte un microfono e due sedie, una con sopra un orango di peluche), assenti i costumi. Soprattutto, manca il copione. Esiste un foglio di appunti presi al mattino, ma verrà stravolto alla sera.

Something stupid. Foto di Rebecca Lena

Una simile scelta dichiara l’intenzione di vivere l’istante della scena senza appigli, senza punti di riferimento, abitandolo in modo diretto, sincero, vero: vivendolo a tutti gli effetti. È un tentativo, paragonabile a quello di Michele Santeramo con Di Malavoglia, di creare un evento unico e irripetibile che si rivolga realmente a noi, donne e uomini che stiamo come stiamo, che abbiamo passato quello che abbiamo passato.
Si tratta di rifondare anche a teatro lo stare insieme e Something stupid, una “cosa” di Daniele Natali e dello stesso Fausto Paravidino, ci mostra che non c’è ascolto possibile senza accordo almeno sulle leggi fondamentali, senza condivisione delle basi del nostro vivere civile. Purtroppo, però, l’eccezionalità del torto crea unione ed esclusività da adepti (vedi antiscientisti, no-vax, razzisti, e irragionevoli vari), in sostanza mette chi si sente solo al riparo dalle proprie solitudini. È successo al suo amico Guido con i terrapiattisti.
Quello che ci manca, in fin dei conti, è il desiderio. Lo decliniamo tuttalpiù al condizionale, mai al presente. «Vorresti cambiare la vita – commenta amaro Paravidino a un certo punto – e poi la vita cambia te».

Sergio. Foto di Antonio Ficai

Dal canto suo, Sergio è il non fare, è il lasciarsi vivere, e nel frattempo la donna senza nome indossata da Francesca Sarteanesi dà voce da sola al suo racconto di frammenti di coppia per interposta assenza. Sergio, della stessa Sarteanesi con la collaborazione di Tommaso Cheli, è il teatro dei piccoli gesti che le esistenze qualsiasi fanno per perdonarsi l’uno all’altra ciò che possono e non possono essere e fare.
Su di una scena priva dell’intervento di Sergio, e dunque vuota, l’attrice ha abitato innanzitutto il costume di Rebecca Ihle (sua complice anche nel progetto Almeno Nevicasse), che sembra quasi portarsi addosso il peso e la luce dell’abitudine, una trama di polvere e staticità per una relazione e una figura di donna senza tempo. Si tratta di una donna che è tutte le donne di ieri, di oggi e di domani.

Sergio. Foto di Antonio Ficai

Francesca Sarteanesi non appare esuberante come l’abbiamo conosciuta insieme agli Omini, oppure in Bella Bestia; è pacata, invece, come se il sarcasmo urticante degli anni passati avesse lasciato il posto alla compassione e alla comprensione dello splendore opaco delle nostre miserie. Si ride, certo, o meglio si sorride, ma in questo lavoro, che segna il passaggio a una pelle artistica intimamente nuova, si viene conquistati e vinti da una dolcezza che ha dentro un ti amo, perché tu sei me e io sono te a ogni singolo sguardo.

Il colloquio. Foto di Malì Erotico

Sergio è uno che va via, non c’è pure quando c’è. Tale e quale i mariti o il figlio delle tre donne impersonate da Renato Bisogni, Alessandro Errico, Marco Montecatino, ne Il colloquio del Collettivo Lunazione, progetto e regia di Eduardo Di Pietro. Lo spettacolo ha vinto il Premio Scenario Periferie 2019 ed è stato finalista al Premio Inbox 2021.
Sono in fila per parlare con i loro familiari rinchiusi nel carcere di Poggioreale, a Napoli. Attendono il proprio turno in un tempo che non passa mai. L’orologio non va né avanti né indietro: sono sempre le sei e trenta. Le ore non scorrono, perché i giorni sono comunque gli stessi. Ricominciano uguali da dove sono finiti, da quando ogni responsabilità è ricaduta sulle loro spalle.
Per questo, è potente che in scena ci siano tre attori, invece che tre attrici, come ci si aspetterebbe: per una volta gli uomini si mettono concretamente nei panni dell’essere donna. Sperimentano sulla propria pelle la disumanità di non avere più una vita per sé, ma soltanto l’attesa di essa.

Il colloquio. Foto di Malì Erotico

Le confidenze che si fanno, quanto le accuse che si scambiano, servono allora a ingannare i minuti e le condizioni. Le aiutano a uscire per un attimo da loro stesse e a sentirsi, a turno, l’una migliore dell’altra. E poi migliori insieme, grazie alla solidarietà di una sorellanza riconquistata.
Del resto, la violenza, che pur a tratti esplode, si compone di ampi gesti mimati: è una recita parossistica, una “sceneggiata”, alla stregua del colloquio dietro le sbarre, che servirà solamente a confermare che va tutto bene, quando invece va tutto male. La rabbia è una rivalsa sanguigna solamente immaginata.
Alla fine, non hanno che loro stesse dietro cui ripararsi e l’abbraccio della loro tristezza. «Che ha sempre la speranza – come canta Vinícius de Moraes in Samba delle benedizioni – di non essere triste prima o poi».


SOMETHING STUPID

una cosa di Daniele Natali e Fausto Paravidino
questa volta con Fausto Paravidino e basta

SERGIO
Un frammento minuscolo di una vita qualsiasi

di e con Francesca Sarteanesi
collaborazione alla drammaturgia Tommaso Cheli
costumi Rebecca Ihle
produzione Kronoteatro e Gli Scarti
con il sostegno di Armunia residenze artistiche – Festival Inequilibrio


IL COLLOQUIO

progetto e regia Eduardo Di Pietro
con Renato Bisogni, Alessandro Errico, Marco Montecatino
aiuto regia Cecilia Lupoli
costumi Federica Del Gaudio
organizzazione Martina Di Leva
residenza artistica Residenza per artisti nei territori – Teatro Due Mondi, Faenza
con il patrocinio di Associazione Antigone

Materia Prima 2021
14 / 16 / 17 settembre
Chiostro Grande di Santa Maria Novella, Firenze

L’immagine in evidenza è stata scattata da Rebecca Lena e ritrae la visione d’insieme di “Something Stupid”.