ILENA AMBROSIO | Coreografa, artista e curatrice, Anouscka Brodacz è figura poliedrica che negli ultimi anni è stata significativamente presente in Italia, anche per il tramite della azione culturale svolta all’interno di Spazio Matta a Pescara.
Si interessa di video, installazioni di danza e video e videoarte, vincendo il Premio per la Pace 2008 con il documentario Oasis sulle donne dell’Africa Sub-Sahariana. Ha ideato e diretto a inizio anni Novanta la rassegna internazionale di danza L’incantesimo del dionisiaco, nel 2000 e nel 2002 la rassegna di danza e nuove tecnologie Storie dello sguardo, presso il museo MuMi di Francavilla al Mare.
Dal 2004 è direttrice artistica della manifestazione MOVING IN THE CITY: il Corpo Urbano nell’area metropolitana Pescara/Chieti e dal 2009 di Slow Art, festival di filosofia, musica e danza.
Cura dal 2014 per Artisti per il Matta la manifestazione Corpografie, e l’abbiamo di recente incontrata per porgerle alcune domande sul suo percorso e il suo fare arte, come coreografa e come curatrice.

Anouscka Brodacz in “Elogio della vecchiaia”

Anouscka, la sua attività artistica, alla quale affianca anche quella didattica, è influenzata da una particolare attenzione alla danza e alla cultura africane. Da dove questo interesse e come si traduce nel suo impegno coreografico e nei lavori del Gruppo Alhena?

La mia passione per la danza tradizionale africana risale alla fine degli anni ‘70, in seguito alla visione di uno spettacolo di Bob Curtis. Fui rapita dalle percussioni e dall’energia che vibrava nella relazione tra il suono e la danza. Infatti nell’80 mi trasferii a Roma per studiare con lui e fu lì che scoprii anche la danza contemporanea.
Sono seguiti viaggi di studio nell’Africa Occidentale e negli USA. Da allora la mia ricerca coreografica si è basata per anni sullo studio e la sperimentazione dell’energia come legame tra le due tecniche, soprattutto per ottenere la stessa carica energetica nei miei danzatori di danza contemporanea.

Com’è nato l’incontro con Spazio Matta? Quali affinità ha ritrovato in questo progetto e in particolare con questa edizione di Matta in scena, fortemente connessa con questioni etiche e con le conseguenze della pandemia?

Il Matta è stato uno dei miei sogni nel cassetto che risale a 35 anni fa. Frequentavo molto la Francia e desideravo riprodurre nell’ex mattatoio di Pescara quello che in Francia era ormai una realtà: una residenza artistica.
Il mattatoio, di proprietà del Comune di Pescara, era un deposito di materiale per le elezioni. Solamente nel 2007, dopo aver coinvolto artisti e associazioni locali, grazie all’allora assessore alla Cultura, il compianto Adelchi De Collibus, riuscimmo a fare una rassegna di danza, teatro, musica e arti visive da giugno a novembre. Da qui tutto è partito, grazie anche ad un finanziamento ministeriale procurato dall’allora deputato Maurizio Acerbo. Lavori di ristrutturazione partiti dal 2011 grazie all’allora sindaco Luigi Albore Mascia.

L’11 novembre 2011 abbiamo finalmente avuto in affidamento lo spazio, chiamato Spazio Matta, da noi che ci eravamo costituiti come Artisti per il Matta.
I principi e i temi che ci hanno guidati fin da allora sono stati alla base delle nostre programmazioni e delle nostre rassegne. Sempre vicini al territorio e al linguaggio contemporaneo. Anche per questa nostra ultima rassegna Matta in Scena, di cui curo la parte che riguarda la danza, siamo rimasti in ascolto del nostro mondo e tempo contemporanei, suggellando la nostra priorità di relazione con il pubblico, finalmente in presenza.

La rassegna di danza da lei curata ha visto in scena tre performance, due delle quali appartenenti al progetto Swan Never Die che tenta di accogliere il lascito di un monumento coreografico come è La morte del Cigno, declinandone possibili sensi per la contemporaneità. Cosa ha rintracciato di fondamentale nei lavori di Silvia Gribaudi, Peso piuma e di Philippe Kratz, Open Drift, e cosa, invece, pensa lei che possa ancora dire La morte del Cigno?

Il progetto Swan Never Die, progetto di respiro nazionale, è un progetto molto interessante che, oltre che metterci in rete con importanti realtà nazionali, ci permette di condividere una memoria fondamentale del primo momento in cui si opera una rivoluzione nel campo della danza in generale: una relazione paritaria tra coreografo (allora Fokine) e performer (allora la Pavlova), con l’introduzione dell’improvvisazione nella struttura coreografica. L’interprete è anche Autore.

Il terzo lavoro della rassegna, il film Magui Marin – L’urgence d’agir, aveva una cifra fortemente politica. In che modo, secondo lei, l’arte coreutica può essere politica e rispondere a questa urgenza di agire nel mondo in cui viviamo?

Il film L’urgence d’agir è un film politico nell’accezione pura del termine, che ci riporta alla Polis e all’essere cittadini, come esseri umani attivi e consapevoli.
Alla creazione artistica contemporanea il compito di guardare e narrare la realtà con le sue complessità e le sue contraddizioni in una pluralità di immaginari e culture. La danza racconta per simboli il mondo e diventa una proposta di relazione e di incontro. Al centro di tutti questi percorsi è il “corpo”, inteso come strumento evocativo per indagini personali, astratte o politiche. Mai come in questa offerta al pubblico, soprattutto con la performance di Silvia Gribaudi Peso piuma e con il film sul lavoro di Maguy Marin, il Corpo è stato mostrato come umano, reale, politico, il corpo di tutti. Come dice Maguy Marin nel film: «Trovo di una violenza unica proporre corpi giovani, competitivi e belli nella danza».


Che tipo di risposta ha avuto il pubblico rispetto a lavori così densi di significato? Crede che la danza contemporanea riesca a incontrare la sensibilità anche di coloro che non ne sono “esperti”?

La risposta del pubblico è stata entusiasta. Ed abbiamo avuto, come abbiamo di solito, un pubblico molto vario e senz’altro non molto esperto di danza. La relazione con il pubblico è dello spettacolo contemporaneo in generale, in una rapporto che colpisce soprattutto la percezione.

Ha nuovi progetti in cantiere? Cosa prevede per il futuro della sua attività di coreografa, anche alla luce dello stravolgimento della socialità che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo?

I progetti sono molti, anche perché, in alcuni periodi della pandemia, abbiamo potuto fare prove e residenze artistiche. Ma soprattutto svolgere con successo l’insegnamento online, dal momento che insegno anche Danza e Nuove tecnologie presso l’Accademia nazionale Danza di Roma.
Ora sto affrontando una regia con due artisti acrobati, esperienza in un campo nuovo per me, sul tema di Orfeo ed Euridice. C’è il grande impegno per la nuova rassegna di danza Corpografie 2022.
Da gennaio inizio il nono anno di insegnamento in Accademia.
Inoltre, nei tempi brevi, rappresenteremo lo spettacolo concerto Six pianos & Dancers per la Società del Teatro e della Musica di Pescara presso il Teatro Massimo, il 17 dicembre. E parteciperemo alla Festa della danza di ACS Abruzzo Spettacolo il 28 dicembre presso il Teatro Comunale di Teramo, con un estratto del nostro ultimo spettacolo XX D Motion.