ELENA SCOLARI | Due relle, una grande e una piccola, cariche di costumi di scena, in fondo alla zona palco, un microfono ad asta e una sedia in mezzo. La sedia è per il provinando, la regista che lo esaminerà è seduta in platea, con il pubblico, e da lì lancia le proprie richieste.
Quello cui assistiamo in Gli altri è infatti un provino teatrale, l’attore Rabii Brahim lo inizia intonando una nenia tradizionale araba, cantata modulando la voce con grazia e ispirazione, utilizzando una pedaliera a effetti per moltiplicare il canto e introducendoci a un’atmosfera che noi immaginiamo più lontana di quel che è, il vento che porta quelle note spira – in linea d’aria – a un migliaio di chilometri da Milano e a 300 dalla Sicilia: Brahim è tunisino. E conosce perfettamente l’italiano, il francese, l’inglese, lo spagnolo e ovviamente l’arabo. Per dire.


La canzone si stempera e la regista comincia a fare domande a Rabii, gli chiede di presentarsi, di raccontare da dove viene, gli domanda se sa ballare, suonare, e anche se sa cantare (evidentemente era distratta); l’attore si arrabatta virtuosamente a fare tutte e tre le cose insieme, usando la scomodissima sedia come percussione. È chiaro che all’ ‘animale’ attore si richiedono abilità quasi circensi, la somma contemporanea di capacità artistiche che devono dimostrarne la duttilità. Si chiede anche di recitare, sì, un brano dell’Otello, naturalmente in arabo perché “vorremmo sentire la musicalità della sua lingua”.
L’artista straniero fa chic, se viene da un paese a maggioranza araba è anche portatore sano di esotismo, malgré soi. In Tunisia poi ci sono anche i Berberi, figuriamoci.
Il dialogo tra regista e attore continua peggiorando man mano la situazione:

– “Raccontaci il tuo viaggio per arrivare in Italia”.
– “Ho preso l’aereo e sono arrivato”.
– “È stato un viaggio difficile, vero?”.
– “Mah, io ho paura di volare quindi, sì, sono stato in tensione per tutto il tempo”.
– “E col tuo lavoro riesci ad aiutare la tua famiglia in Tunisia?”.
– “Non ne hanno bisogno”.

Una serie di figuracce dettate dal pregiudizio da paese sviluppato. C’è anche un po’ di delusione per l’assenza di dramma, di sofferenze, nemmeno un barcone, un po’ di tormento, qualche miseria, non so. Macché. Brahim lavora, ha recitato anche in grandi produzioni di teatri stabili italiani, anche se spesso nei ruoli stereotipo che si danno agli stranieri del mediterraneo del sud.


Il lavoro di Corps Citoyen – collettivo italo-tunisino portato in Italia da Zona K, nella programmazione Razione K – Emergency food kit for theatre addicted box 2 – ci mette davanti sia ai nostri miopi e rassicuranti preconcetti sia al modo in cui, subdolamente, manipoliamo la realtà (qui le risposte vere di Brahim) per piegarla alla nostra visione affinché la verità non scalfisca le sovrastrutture che ci servono da stampella, senza le quali saremmo (addirittura) costretti a rivedere posizioni, idee, azioni, politiche e assetto della società. Troppa fatica, no? Meglio quindi tagliuzzare le battute, cucire un montaggio ad arte delle parole usate nell’intervista per confezionare un caftano che corrisponda alla nostra figurina dell’album “Forestieri”: genericamente arabi, probabilmente estremisti, facilmente vicini ai terroristi, spesso muniti di cinture esplosive in guardaroba, sicuramente intolleranti e incuranti dei diritti civili. Ma ci saranno anche arabi atei, no? Come ci sono italiani non cattolici, mica tutto il Maghreb è fatto di islamisti fanatici.
Pare banale ma siamo comodamente abituati a pensare in blocco, per non affaticarci a studiare, è più facile accoccolarsi tra le due o tre cose che ci hanno riferito e che crediamo siano sufficienti a conoscere “Gli altri”. (Curiosamente lo stesso titolo dell’ultimo spettacolo di Kepler-452, dove gli altri sono quelli che si trovano in altre bolle social e forse anche in altre bolle di vita).

E questa, condotta con molto spirito, è il nucleo forte e la parte migliore dello spettacolo: una presa in giro caustica e molto lucida, retta da un bravo attore, con una notevole padronanza del corpo e un senso attento di come si occupa la scena, capace di passare dall’impaccio alla rabbia sincera per le sciocchezze che gli tocca sentire. Ciò che è invece meno convincente è l’eccesso di didascalia che rappresentano gli altri due performer (Marko Bukaqeja e Anja Dimitrijevic): due operatori assistenti della regista cui è affidato il compito di “ammaestrare” il pubblico chiedendo applausi, inquadrando con una camera (che proietta l’immagine su uno schermo, manco a dirlo) alcuni degli spettatori mettendogli in bocca a mo’ di ventriloquo battute razziste registrate in voce off, mostrando per soprammercato cartelli con frasi-manifesto, che vorrebbero essere sgradevoli ma banalizzano spingendo sull’effetto colonialismo.

Lo spettacolo si muove su un crinale scivoloso e per questo interessante da indagare: il Collettivo non sta solo dichiarando l’inettitudine occidentale (europea?) al cambiamento e la tendenza ad arroccarsi dietro quel poco che si crede di conoscere de Gli altri, si sta interrogando su quanto – in teatro – sia lecito riproporre questi stessi “bias”. Cioè: se li esplicito posso servirmene drammaturgicamente? Se mostro il trucco posso comunque sfruttarne l’effetto?
Corps Citoyen si pone e gira a noi spettatori questioni spinose utilizzando il mezzo teatrale per enfatizzarne i meccanismi intrinseci amplificando così il senso delle domande, in scena e fuori. Un bell’esercizio e un modo intelligente di fare teatro vivo.

GLI ALTRI لخرین

con Rabii Brahim, Marko Bukaqeja, Anja Dimitrijevic
voice-off Marko Bukaqeja, Carmelo Crusafulli, Anja Dimitrijevic, Giacomo Martini, Anna Serlenga, Chiara Stoppa, Ilaria Zanotti
performers in video Wassim Ghrioui, Alesa Herero, Nidhal S’hili, Nour Zrafi
spazio scenico Manuel D’Onofrio e Paola Villani
luci e video Manuel D’Onofrio
drammaturgia di scena Bruna Bonanno
costumi Salah Barka
cultural advisor Viviana Gravano

Zona K, Milano | 26 novembre 2021