ELENA SCOLARI | Un contadino, la sua donna e l’ex fidanzato di lei, che ancora spasima ma è anche amico del primo. Sono Ruzante, la Gnua e Menato, tre personaggi di una realtà popolare, immersa nella campagna veneta del Cinquecento in cui regnavano la paura di non avere da mangiare, il lavoro pesante e le furberie ingenue ma talvolta spietate, dettate dal bisogno di sopravvivere. L’etica del sentimento puro superata dall’esigenza di assicurarsi un futuro.
Ruzante autore (Angelo Beolco) vive nel padovano e ne racconta, nelle sue opere, gli abitanti condannati alla povertà, la vicinanza con la natura fatta di campi e animali contrapposta al vizio e all’artificio della città. Natalino Balasso ricalca questa intenzione e costruisce uno spettacolo in cui intreccia diversi testi di Ruzante e disegna caratteri che rappresentano comportamenti tipo: l’arrabattarsi quotidiano per sbarcare il lunario, l’eros sanguigno e gioioso, la civetteria usata come inganno, la menzogna al fin di verificare le dicerie.
I tre personaggi si muovono in una scena costituita da una struttura mobile con staccionata e fiori come simbolo della campagna e delle coltivazioni, una rella “travestita” da mucca a rotelle (la vacca-rella), con una grande mammella, coda di corda e corna di gambe di sedia, alla destra del palco una porta rossa delimita la casa della coppia Ruzante/Gnua. I costumi degli attori sono in tela jeans, una scelta forse nata da una vaga ispirazione metropolitano-modernizzante dal risultato estetico opinabile.


Balasso fa Ruzante (Amori disperati in tempo di guerre) – programmato nell’ambito della Stagione di prosa del Comune di Lecco – vede l’attore rodigino interpretare appunto Ruzante (spesso personaggio nelle proprie commedie), insieme ad Andrea Collavino (Menato) e a Marta Cortellazzo Wiel nel ruolo della Gnua. Balasso è il centro dello spettacolo per la sua innata e travolgente capacità di piegare le situazioni al dileggio, tende da subito un filo fortissimo verso il pubblico, di cui tiene ben presente lo sguardo, giocando sull’effetto comico sempre diretto agli spettatori; la gnua di Cortellazzo Wiel è spigliata, disincantata, di genuinità florida (come è cantata in una gustosa descrizione delle virtù fisiche prosperose e fiorenti delle donne); Collavino è un Menato un po’ insicuro, che traballa tra la volontà dei propri desideri e il sapere di poterli soddisfare solo con l’imbroglio. Sua è una bella parte di testo non ridanciana che sottolinea la consapevolezza del destino segnato per chi nasce sottomesso: l’illusione è indispensabile, pur consci che tale rimarrà.

I tre sono in fondo figure che possiedono poco, un paio di fazzoletti di terra, quattro galline e una mucca. L’intreccio si dipana intorno al tentativo di Menato di riconquistare la ragazza – che ora si accompagna a Ruzante, parecchio più grande di lei ma di posizione più sicura – e all’avventura di guerra che Balasso/Ruzante attraversa, evitando abilmente ogni vero scontro e tornando infatti dalla battaglia malconcio ma senza nemmeno una cicatrice.


E proprio la scena della guerra segna un punto distonico con il tono complessivo dello spettacolo: luci colorate che roteano e il soldato che attraversa il palco avanti e indietro sulla rella/monopattino; colonna sonora di questo momento è una musica d’oggi francamente incoerente con l’impianto “agricolo” del testo. Le musiche in generale (sentiamo anche un brano di Tricarico) sono un elemento eterogeneo che mal si amalgama con la lingua di Ruzante e con la versione più attuale che Balasso ha utilizzato per la scrittura: un dialetto veneto sporco, rustico, comprensibile anche fuori regione ma pur sempre legato all’immediatezza, alla terra, conforme all’immaginario mordace della commedia popolare del Ruzante, in cui non mancava il veleno rivolto ai potenti, ai ricchi, a chi sottometteva gli indigenti.
La regia di Marta Dalla Via (che con Diego forma la Compagnia Fratelli Dalla Via) non imprime segni particolari allo spettacolo, lascia che i rapporti tra i personaggi siano la nervatura scenica, il terzetto è affiatato, i movimenti dei tre nascono dalle dinamiche del testo e la direzione le asseconda.
La relazione con la platea è il punto di forza di questo Ruzante e lo si è visto durante episodio contingente alla replica cui PAC ha assistito: un inconveniente tecnico nelle mani di un improvvisatore di talento può diventare una chicca che rende unica la serata. Balasso ha un’irresistibile prontezza di spirito, e anche questo è ciò che salda il patto con il pubblico mostrando quanto la compresenza nel tempo e nello spazio sia connaturata all’arte del teatro.


BALASSO FA RUZANTE

(Amori disperati in tempo di guerre)

di Natalino Balasso
con Natalino Balasso, Andrea Collavino, Marta Cortellazzo Wiel
regia Marta Dalla Via
scene Roberto Di Fresco
costumi Sonia Marianni
luci Luca dé Martini di Valle Aperta
produzione Teatro Stabile di Bolzano

Cineteatro Palladium, Lecco | 30 novembre 2021