RENZO FRANCABANDERA | Dopo il difficile esordio di due anni fa, quando la pandemia costrinse a vederlo in streaming su Backstage – piattaforma digitale e gratuita messa in piedi in quel periodo dal Teatro Stabile del Veneto – è ripesa la tournée de I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni con la regia di Valter Malosti. Un allestimento che non tradisce alcuni degli stilemi più tradizionali del linguaggio del regista passato da pochi mesi alla guida di Emilia Romagna Teatro dopo gli anni alla Fondazione TPE.
Il debutto dello spettacolo, peraltro, aveva accompagnato l’uscita nelle librerie dall’edizione critica del testo nell’Edizione nazionale delle Opere di Goldoni edita da Marsilio.
Lo spettacolo è arrivato quindi a Dicembre al Teatro Metastasio di Prato che lo aveva coprodotto insieme a Teatro Stabile del Veneto e TPE – Teatro Piemonte Europa, primo incontro di Malosti con Goldoni, all’interno di un percorso che lo ha portato in questi anni a praticare alcune figure centrali della lingua e della cultura italiana dal Testori di Cleopatràs di cui di recente abbiamo parlato, e poi Pasolini, Gadda, Longhi, tra gli altri, e ancora Levi (sebbene nato anche quello tempo addietro).

Il riadattamento del testo del padre della commedia dell’arte, realizzato a quattro mani del regista stesso e di Angela Demattè, sceglie di intervenire sui personaggi in modo da trasformarli più che in archetipi sociali in archetipi psicologici, sgrossando dall’esasperazione della macchietta o del caratterismo (affidata praticamente ai costumi come rimando e reminiscenza), per andare a dare ulteriore filo alla lama della psicosi, dell’indole, della doppiezza, da cui la scelta di affidare allo stesso interprete (l’ottimo Foschi) l’interpretazione dei due gemelli Zanetto e Tonino dal carattere opposto.

Questo della lettura psicologica, dello sfondo cupo della vicenda umana, e del tentativo di incorporare il doppio fondo dell’inconscio nell’allestimento, è una caratteristica delle ultime regie di Malosti.

Il regista ha spesso mostrato di considerare una partizione fra spazio recitato e spazio degli strumenti di scena (pensiamo per esempio ad allestimenti anche distanti nel tempo come Lo stupro di Lucrezia di un decennio fa e il Molière del Misantropo della stagione 18/19). due spettacoli, ma non gli unici, in cui sebbene con caratteristiche diverse, esiste una compresenza sul palcoscenico della azione scenica e del meccanismo teatrale; nel primo era lo spazio della drammaturgia affidata alla voce di Malosti stesso, nel secondo il luogo di sosta e preparazione degli attori all’entrare nello spazio del recitato.

Una possibilità, questo della partizione, che nelle ultime regie si è evoluta in una rappresentazione in certa forma più esplicita dell’inconscio psichico, del proiettato onirico, evidente, ad esempio, nel doppio fondo rivelato, che fa da espediente registico nel Cleopatràs.

©-Tommaso-Le-Pera

In I due gemelli di cui, come in Cleopatràs, scene e luci portano la firma di Nicolas Bovey, evidentemente l’inserto del doppio fondo risulta di interesse nel dialogo fra artista e scenografo e diventa parte integrante della lettura dell’opera.

In realtà, se in Cleopatràs l’espediente è più esplicito e fisso nel suo darsi scenico, ma rinchiuso dietro un sipario verde petrolio che ne permette l’accesso visivo in occasioni date, qui il luogo dell’inconscio, più cupo e ancestrale, prossimo alla soglia fra vita e morte, si manifesta allo spettatore con un tulle calato sull’oltremondo. È il modo in cui inizia lo spettacolo, con un atipico rituale mortuario sul corpo del gemello defunto, Zanetto.
Malosti pare quindi cercare in maniera esplicita queste soglie, e in fondo anche i personaggi che le raccontano. L’approccio è quello di una indagine che negli anni si è portata su figure capaci di incarnare in qualche forma il dualismo amore-morte.

Questo limite ma anche varco della rivelazione, dell’indicibile o del non detto, il limitare della linea d’ombra, è un segno scenico tracciato anche da Margherita Palli per Se questo è un uomo, e che a ben guardare riguarda, ad esempio, anche la lettura della figura del Misantropo assai vicina a quella di Don Giovanni.

Per molte delle altre figure maschili de I due gemelli, come gli appropriati Danilo Nigrelli (Pancrazio) e Marco Manchisi (Arlecchino / Pulcinella), questa doppiezza è incarnata nelle loro contraddizioni esplicite, mentre forse non è irrilevante che sia in Cleopatràs che in questa regia, le donne abbiano accesso comunicativo con questo extra-mondo psichico.
In Cleopatràs il suo suicidio avviene in una onirica camera d’albergo, proiezione di un presente simbolico, mentre nei Gemelli Rosaura riesce simbolicamente a farsi da tramite con l’oltremondo, rivolgendosi direttamente a Pulicinella dietro il tulle.

Il testo forza in alcuni punti la gioiosa freschezza della drammaturgia goldoniana, e ne trae una dinamica volutamente meno leggera, la cui robustezza sicuramente ha bisogno della fruizione in sala per permettere la giusta empatia con l’allestimento, di cui è parte integrante tutto il prezioso lavoro di Marco Angelilli sul movimento di scena, che di fatto non può che apprezzarsi solo nell’essere presenti.
Esistono anche scelte più forzate sui vari personaggi di questo allestimento, conseguenza della direzione drammaturgica compiuta sulla riscrittura dei personaggi goldoniani, mondati del lato parodistico della commedia dell’arte a tutto vantaggio dell’indagine psichica, che toglie tuttavia un po’ di colore più leggero.
È in ultima analisi il cuore della scelta sul testo, che spinge verso una indagine sul sistema delle relazioni e soprattutto su quanto spesso l’ingenuità soccomba.
E forse è questa una lettura plausibile di questa partizione e in generale dello stile noir di Malosti, in cui il sistema ingenuo dei sentimenti del primo tempo della nostra vita è contaminato irrimediabilmente dal sistema adulto dei desideri, che di frequente diventa solo un esorcismo della morte.

I DUE GEMELLI VENEZIANI

di Carlo Goldoni
adattamento Angela Demattè, Valter Malosti
regia Valter Malosti
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Gianluca Sbicca
progetto sonoro G.U.P. Alcaro
cura del movimento Marco Angelilli
con Marco Foschi, Danilo Nigrelli, Marco Manchisi, Irene Petris, Alessandro Bressanello, Anna Gamba, Valerio Mazzucato, Camilla Nigro, Vittorio Camarota, Andrea Bellacicco
assistente alla regia Jacopo Squizzato
assistente costumista Rossana Gea Cavallo
foto di scena Serena Pea
produzione Teatro Stabile del Veneto, Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato, ERT / Teatro Nazionale
si ringrazia il maestro mascheraio Stefano Perrocco di Meduna per la maschera di Pulcinella indossata da Marco Manchisi