SUSANNA PIETROSANTI | Va in scena in prima assoluta al Teatro Cantiere Florida di Firenze stasera, martedì 25 gennaio, ore 21 (in replica mercoledì 26 alla stessa ora) One Man Jail, prodotto dalla compagnia Interazioni Elementari, per la regia di Claudio Suzzi.
Lo spettacolo è il primo in Italia a utilizzare le nuove risorse digitali per un progetto di teatro in carcere, capovolgendo le regole tradizionali del pubblico che entra in un luogo teatrale riservato e recluso e assiste a uno spettacolo performato dai detenuti, e creando un caleidoscopio di ribaltamenti e cortocircuiti tra quel che è dentro e quel che è fuori.
Davanti a uno spettacolo così stratificato, l’intervista a Claudio Suzzi può costituire un filo che soccorra lo spettatore nel percorrere il labirinto.

Lo spettacolo si distingue per l’uso di straordinarie risorse digitali, che riescono a materializzare in scena in tempo reale i giovani detenuti dell’Istituto Penale per i Minorenni G. Meucci di Firenze mentre Filippo Frittelli, solo in scena, esegue la sua performance. Di che si tratta tecnicamente? Può darci ulteriori particolari?

È una situazione piuttosto straordinaria, e lo spettacolo segue un approccio specificamente cinematografico. Sfrutta tre tipologie di video, uno in presa diretta dal carcere, un altro costituito da telecamere presenti sul palco che permettono a Filippo Frittelli di interagire con se stesso, con le immagini che lo abitano. Ci sono poi video di diversa tipologia, che mettono in visione immagini preregistrate, oppure video girati da noi oppure immagini di repertorio, tutte relative al mondo del circo, all’arte del clown. Frittelli, infatti, incarna un clown, prigioniero del suo spettacolo di cabaret al vetriolo, diviso da una doppia pulsione: collegarsi al reale, cancellandosi il trucco dal viso (togliendosi la maschera, la sua, latinamente parlando, ‘persona’), oppure non togliersela mai, inglobarla nella pelle, cadere nell’altro mondo, quello di un eterno fare arte, di sfaldarsi fra i suoi personaggi e perdere consapevolezza di sé.

Drammaturgicamente Filippo Frittelli quale clown incarna?

Incarna Frank Petroletti (molto Petrolini, sì), che, all’apice del suo successo di comico, viene arrestato e incarcerato per aver assassinato un giornalista. All’interno della prigione, di fronte a un pubblico di detenuti ostili e disinteressati, si prepara a esibirsi nella sua ultima performance. Lo show, caustico e strampalato, scava però anche una strada nella sua interiorità, lo porta a misurarsi con le sue paure, coi personaggi che lo incalzano, a valutare quante e quali pulsioni lo tengono veramente prigioniero.

One Man Jail
Claudio Suzzi

Le domande di base sono relative alla libertà, dunque. Cos’è la libertà?

Per rispondere dovremmo chiederci: cos’è la prigionia? Si percepisce la libertà solo quando la si perde. E che cosa, veramente, ci tiene imprigionati? Un luogo di reclusione o le barriere della nostra mente? I personaggi della mente di Frank hanno tutti il suo volto, gli si affollano intorno, lo chiamano, come lo chiamano anche alcune voci del mondo esterno, gli chiedono di struccarsi, di abbandonare la finzione, di scegliere la realtà. Gli promettono pace, felicità, un paese dei balocchi eterno e affascinante, ma sullo sfondo le immagini dei video negano questo messaggio, e mostrano uno squallido paesaggio industriale, o un tifone, o un’esplosione atomica. Abbandonare la fantasia e lanciarsi nel reale sarà fruttuoso? Ci sono molti dubbi…

Una struttura a canocchiale, filosofica. Quali testi e suggestioni l’hanno determinata?

Pirandello, naturalmente, e le mille maschere di ognuno di noi, e l’esperimento di Stanford su cui il Living aveva già lavorato, e anche le suggestioni di un film come Essere John Malkovich di Spike Jonze.  Il progetto comunque risale al 2019, quindi non è stato, tengo a dirlo, influenzato dalla situazione pandemica. Avevamo già avviato la riflessione libertà/prigionia tempo prima.

I detenuti attori non escono più dal carcere, il lavoro, quindi, attua un potente ribaltamento tra dentro e fuori (lo spettacolo esce, anche se gli attori invece restano rinchiusi). La libertà della drammaturgia è capace di operare incantesimi…

Certo. Lo spettacolo esce anche se gli attori restano dentro, i detenuti in scena, sebbene in streaming, diventano potentemente guardie di un pubblico che si trasforma in un gruppo di detenuti. Il teatro li contiene, come un carcere, eppure il vero carcere è la mente. Frank, in un punto della performance, tenta di ipnotizzare un criceto (animale certamente ‘buono per pensare’ la prigionia, la reclusione, il girare eterno nel cerchio fermo), che gli fa da valletta. Tenta di collegarsi alla sua mente e da quel momento in là la coloratissima stand up comedy di Petroletti vira in un’atmosfera cupa, si connette coi fantasmi, sperimenta ‘l’aria ferma’ della paralisi.

Qual è il suo metodo di lavoro all’interno del carcere?

Il mio è un laboratorio permanente, sebbene un carcere minorile non abbia al suo interno detenuti con pene lunghissime, e dia luogo invece a un rapido turn over. I nuovi arrivati fanno un corso propedeutico, che offre loro competenze e formazione. Quelli che restano più a lungo acquisiscono professionalità e vengono impiegati in ruoli attoriali. Avremmo dovuto avere tre detenuti in scena, usufruendo di permessi premio. Purtroppo la situazione attuale della pandemia non lo ha permesso, spero di recuperare questa formula più avanti, nel tour dello spettacolo.

Ritiene che il teatro svolga una funzione educativa quando viene impiegato in carcere?

Non metto in scena mai, in carcere, testi che parlino della condizione carceraria in sé, eccezion fatta per le poesie di Sante Notarnicola, su cui ho lavorato, ma che ho scelto solo per il valore poetico infinito di questi testi. Comunque il teatro è sempre educazione. In carcere si radunano persone che hanno un’esperienza profonda del dolore, dei meccanismi della prigionia esistenziale, del sopruso, delle pulsioni (non a caso i personaggi, cinque, che tormentano Frank nella performance, sono proprio le sue pulsioni, violenza, avidità, eccetera). Da quello che fu messo in scena nel teatro di Dioniso a oggi, tutto il teatro sviluppa e articola questa materia. Comprendere le articolazioni della nostra mente, comprendere cosa significa libertà interiore, è infinitamente educativo. E non solo per i detenuti, ma per tutti.  Il teatro diventa azione pedagogica per i suoi interpreti e per il suo pubblico. Che altro potrebbe esserci di più degno, di più importante?

Compagnia Interazioni Elementari presenta
ONE MAN JAIL, le prigioni della mente

drammaturgia, scrittura scenica e regia Claudio Suzzi
aiuto regia Antonella Miglioretto, Alessandro Conti
in teatro Filippo Frittelli, Wei Ming, Li She, Li Dong, Davide Martello, Pasquale Rimolo, Giovanni Sabia, Mattia Bacchetti
disegno Luci Andrea Narese
staff videoproiezioni e streaming Michele Fucci, Andrea Nadalini, Luca Tavanti, Simone Memé
fonica e musica elettronica Massimo Damato

Teatro Cantiere Florida, Firenze
25 e 26 gennaio 2022