RENZO FRANCABANDERA e MICHELA MASTROIANNI | In La ricerca delle radici, l’autoritratto in forma di antologia che Primo Levi scrisse su sollecitazione di Giulio Bollati, la presenza del brano tratto da Le storie di Giacobbe di Thomas Mann  è giustificata dal fatto che in esso si parla di persone … che hanno un modo diverso dal nostro di dire “io”. Così, lontanissime e diverse, eppure archetipiche e solenni sono le protagoniste de  I Tre Lai di Giovanni Testori, Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs, figure di donne a cavallo tra il mito e la storia che raccontano l’amore e il dolore della loro vita, l’abbandono e il rifiuto, e nel racconto rivivono un passato che viene ipostatizzato e strappato dalle pagine del tempo.

Valter Malosti, regista ora alla direzione artistica di ERT, ha portato in scena sul palcoscenico della sua nuova casa bolognese, l’Arena del Sole, la rilettura scenica di Cleopatràs nell’interpretazione affidata a Anna Della Rosa che sul proscenio, davanti ad un sipario verde pece, scola una bottiglia di whisky prima di iniziare il monologo, un po’ Callas e un po’ Emy Winehouse, paradigmi del talento femminile insieme lirico e pop schiacciato dalla vita.
Poi, dietro il sipario, lo spazio si apre ad un immaginario quasi hopperiano, una stanza d’albergo, con un grande letto, proiezione di chissà quale dimora lussuosa, o forse motel di provincia in cui passare una notte a pagamento. Qui l’attrice, dentro una scena che è studio televisivo e tomba, si muove aiutata dal bellissimo costume firmato da Gianluca Sbicca e dalla raffinatissima e appuntita cura del movimento, affidata allo sguardo mai banale di Marco Angelilli. Ne risulta davvero una dinamica iconica che va dalla lirica, con la notevole somiglianza con la Callas, fino al vezzo da lussuoso postribolo di provincia.

©-Tommaso-Le-Pera

Cleopatras, il primo monologo in versi della trilogia di Testori ispirata alla Divina Commedia e scritta durante un ricovero nel reparto di oncologia dell’ospedale San Raffaele, ci trascina nel girone infernale dei lussuriosi. La regina d’Egitto piange la morte di Antonio, “Tugnàs”, e insieme la sua sconfitta. La sovrana, che ha perso l’amore e il potere, reclama tuttavia la sua dignità di donna e di regina di fronte alla morte;  per questo riavvolge il filo dei ricordi e maledice tutto ciò che si può maledire, bestemmia Dio e la vita, ma prima rievoca immagini dolci e appassionate della stagione dell’amore con il suo Tugnas.  Qui l’erotismo si affianca a struggenti memorie dei paesaggi familiari e domestici dell’autore: la Valassina, Sormano, Lasnigo, Canzo, il lago del Segrino, il Lambro, la Brianza e poi la grande città Milano. Testori parla attraverso Cleopatras, con lei dice “io” assumendo la storia del suo personaggio e prestandole parole e voce, con lo stesso processo di possessione e invasamento di cui l’autore parla presentando il personaggio di Riboldi Gino, protagonista del suo romanzo capolavoro In exitu: “Il grado di non totale disonore di fronte al mondo sta nell’intensità con cui ho pagato il libro in me stesso. E anche nell’intensità dell’amore e della disperazione con cui ho accettato di farmi invadere da questa creatura“.

Il monologo è una disperata riflessione sull’identità al bordo, un testo a cui Malosti dedica una attenzione cruciale nel tentativo, non facile, di farsi mediatore di comprensione verso il pubblico, attraverso l’interpretazione dell’attrice. Il codice scelto per questa messa in scena ha così una cifra pop-kitsch, cui contribuiscono, oltre alla scenografia, anche le luci, firmate entrambe da Nicolas Bovey e, in modo ancor più iperrealistico seppur ironico, il progetto sonoro firmato da Gup Alcaro.
Arrivano così i camion sulla statale, che suonano alla regina prostituta testoriana. Li immaginiamo davvero gli autisti che strombazzano alla regina scosciata, mentre si affanna a farsi poetessa, incompresa, trasfigurata nella sedotta e abbandonata Butterfly di Puccini; dall’opera lirica la musica vira su una cifra elettronica più contemporanea o su melodie di pop mediorientale, ma regna sempre sovrana la solitudine di lei, anche quando accompagnata dalla apparizione di sapore neocoloniale del servo di scena Marcos Vinicius Piacentini. 

Non è l’aspide qui a infliggere la morte ma una overdose (invero un po’ eccessiva nel riportato scenico, volutamente didascalico). Ma mentre sul comodino appare un amletico teschio a ricordare Ofelia, questa dimensione shock scompare dietro la notevolissima interpretazione dell’attrice, che riporta costantemente su di sè, sul suo corpo, sulla sua parola, l’intenzione registica, arrivando a restituire una verità alla portata dello spettatore. Cleopatràs lussuriosa è dantesca prostituta della periferia dell’impero ma anche modernissima donna schiacciata dal suo bisogno di una identità negata.

©-Tommaso-Le-Pera

Per portare in scena Testori e la sua lingua Valter Malosti adotta un uso sapiente della musica, che non è colonna sonora, né semplice strumento per evidenziare situazioni e disegnare paesaggi emotivi. Le tracce che vengono proposte insieme al testo rappresentano infatti una seconda linea di scrittura, che funziona con la logica della comunicazione aumentata. La parola ne risulta potenziata, tanto da diventare tridimensionale, decifrabile, poi comprensibile anche nella rapidità del flusso verbale che la protagonista sostiene. Senza il sottotesto sonoro scelto da Malosti il monologo di Testori è una sfida di ascolto, poiché l’attenzione del pubblico è continuamente sollecitata nel decifrare il senso della singola parola e poi il significato complessivo degli enunciati. Per Testori, infatti, “la parola è tutto”, ma deve essere parola di rottura, e può trovare spazio per deflagrare, con la sua carica di dolore, ansia, paura e ricerca di senso, solo nel teatro. Di conseguenza il teatro di Testori è essenzialmente verbale, non scenico, e la sua lingua, così ricca di apporti regionali (lombardismi) e di neoformazioni ibridate dal latino o generate attraverso coraggiosi processi deverbativi e giochi fonetici, impasti deformati di parole  incise nella carne, consente di annoverarlo a pieno titolo tra “i nipotini dell’ingegnere” Gadda, come afferma Arbasino, insieme a Pasolini e allo stesso Arbasino.

Con la cifra interpretativa scelta, invece, Testori, autore di riferimento e di costante rilettura per Malosti e per chiunque ami la parola lirica teatrale, arriva alla portata dello spettatore.
L’alta leggibilità del monologo è la cosa che più convince nell’operazione di Malosti. Questo Testori è comprensibile, non esoterico-sperimentale, e l’intenzione artistica arriva agli spettatori più diversi, un pregio non banale per un medium che deve ritrovare una misura dopo la cesura della fruizione dal vivo degli ultimi anni.

CLEOPATRÀS

regia Valter Malosti
di Giovanni Testori
con Anna Della Rosa
e con Marcos Vinicius Piacentini
Progetto sonoro Gup Alcaro
Scene e luci Nicolas Bovey
Costumi Gianluca Sbicca
Cura del movimento Marco Angelilli
Regia Valter Malosti

Una produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi