ESTER FORMATO | Non sempre i suoi testi hanno funzionato; spesso molti dei suoi lavori si sono rivelati un clamoroso fiasco, ma quelli che hanno avuto successo sono divenuti dei capolavori del secolo scorso.
Teatro controverso, quello di Tennessee Williams, talvolta eccessivamente fuori tempo per il pubblico d’oggi, ma ugualmente intrigante nel raccontare un mondo nostalgico, quel profondo sud americano puntualmente plasmato da nevrosi e fragilità.
Ancora oggi, non sempre portare in scena un suo testo – se non è fra i quattro o cinque titoli che lo hanno consacrato – si rivela una scelta facile e con esiti felici.

Tennessee Williams

Arturo Cirillo, da anni profondo conoscitore del drammaturgo statunitense, ha diretto gli allievi del teatro milanese dei Filodrammatici in Vieux Carré il cui testo fu ripreso dallo stesso autore molti decenni dopo la prima scrittura, e messo poi KO dalla critica dell’epoca. Non è difficile scorgere caratteri poi più armonicamente sviluppati nei grandi titoli, nonché il tratto autobiografico dal sapore cechoviano (Williams amava lo scrittore russo) che però qui fanno capolino in una forma ancora frammentaria, nonostante la riscrittura a posteriori negli ultimi anni della vita.
E allora, quanto sperimentale può essere per un processo creativo avviato con giovani artisti, un drammaturgo controverso come Williams?

Sono ormai tanti anni che lei si confronta con Tennessee Williams; quali sono gli aspetti che più l’affascinano di questo autore?

Di sicuro le tematiche che si affrontano nella sua drammaturgia sono a me molto care: la nostalgia per la giovinezza, il senso di colpa, l’omosessualità non dichiarata. Ma quello che mi sorprende di questo autore è quanto sia capace di restituire così profondamente attraverso i suoi personaggi, un mondo di sogni infranti, di emozioni e condizioni di incredibili fragilità. E tutto ciò ci arriva ancora oggi, nonostante le sue storie siano ancorate a un contesto molto lontano da noi.

Dello  spettacolo Vieux Carrè mi ha colpito molto l’armonia che ha saputo dare ad un testo ritenuto certo minore rispetto a molti altri. E anche legarvi altre due piccole pièce da I Blues. Da dove è venuta l’idea di questa contaminazione che valorizza tutti e tre i testi?

In primis, per motivi pratici. Essendo lo spettacolo finale di un percorso di due anni che ha coinvolto 14 giovani allievi dei Filodrammatici di Milano, mi occorreva lavorare su una drammaturgia in grado di dare spazio a tutti loro; ciò è stato possibile integrando al testo di Vieux Carré i due atti unici tratti da I Blues che, va detto, sono stati scritti da Williams per poterli rappresentare tutti insieme, in uno stesso spettacolo. Pur staccandoli dal contesto d’origine, sono riuscito a far in modo che non perdessero il loro significato e né costituissero un mero prologo e un epilogo dell’opera in allestimento. Li abbiamo dunque integrati all’interno della pièce, giocando sul fatto che i personaggi potevano tranquillamente essere parte di quel luogo raccontato in Vieux Carré.

Vieux Carré

A proposito di personaggi, è impossibile non accostare Williams a Ruccello; entrambi ci raccontano un microcosmo di caratteri immaginifico costellato di poeticità e fragilità. Quanto questi mondi sono simili e diversi fra di loro?

Direi che conoscevo Williams proprio grazie ad Annibale Ruccello, molto legato non solo ai suoi drammi, ma soprattutto alle trasposizioni cinematografiche. Credo che Ruccello sentisse una profonda analogia con lui, e tale analogia è evidente nel modo di identificarsi nei personaggi femminili, nella maniera in cui li pone entro un mondo allucinato, come se fosse frutto di un delirio permanente e acuito da condizioni di estrema fragilità. Non a caso durante l’allestimento di Vieux Carré i ragazzi, improvvisando, hanno messo in scena delle cose che mi hanno ricordato Le cinque rose di Jennifer, ad esempio; una corrispondenza che ho trovato molto interessante, segno di una narrazione teatrale incredibilmente correlata, seppure i due provengano da contesti geografici differenti.

E difatti, Vieux Carrè ha a che fare con la relazione di Williams con il suo luogo d’approdo, ovvero New Orleans. Essendo  un testo incominciato nel 1938 e messo in scena decenni dopo, s’intravede forse un approccio esplorativo di questo sud, rispetto ad altre commedie in cui è tutto più definito…

In realtà abbiamo notato come in Vieux Carrè coesista con uno stadio  germinale di quelli che saranno i suoi grandi protagonisti un piano più maturo che corrisponde alla seconda fase della riscrittura. Ed è tratto interessante, perché si può osservare come in questo testo affronta una serie di questioni  che nella sua drammaturgia precedente erano più latenti. Quest’ottica aggiuntiva, a posteriori, ci ha suggerito di lavorare all’interno dello spettacolo su un doppio piano, sul doppio personaggio-scrittore, quello giovane e quello più maturo. Quindi è stato interessante articolare lo spettacolo su un piano binario in cui si intravedesse un certo tipo di evoluzione dell’autore e, quindi, del protagonista.

Da appassionata di Williams, mi sono spesso chiesta se ciò che compare più ossessivamente nelle sue opere come anche il suo tipo di scrittura, non rivelino un teatro un po’ sclerotico. Ma poi ho visto che lei ha curato varie regie di quest’autore proprio per e con gli allievi di diverse accademie drammatiche. Quanto, dunque, può essere sperimentale Tennessee Williams?

Ho avuto sempre l’impressione che quest’autore permettesse agli allievi di calarsi in una scrittura e in una caratterizzazione dei personaggi ancora fortemente teatrali. Certamente i suoi dialoghi sono pensati e scritti per la visione teatrale e anche per quella cinematografica. A differenza degli autori a lui coevi, la sua drammaturgia non è minimale, come quasi tutto il teatro novecentesco, ma al contrario, Williams conserva un teatro fatto di parola, con il quale un giovane allievo può sperimentarsi a 360 gradi. Resta fra i pochi autori contemporanei in cui la completa caratterizzazione del personaggio e l’articolazione della narrazione incontrano temi e sensibilità di grande impatto sul pubblico di oggi. E tutto questo, per degli attori che si formano, non può essere che una preziosa opportunità.


VIEUX CARRÉ di Tennessee Williams

adattamento e regia di Arturo Cirillo
con Jacopo Adolini, Gabriele Casablanca, Massimo Bernardo Dolci, Federica Dominoni, Diego Finazzi, Pietro Gambacorta, Valeria Lo Verso, Marica Pace, Rocco Petrillo, Matteo Pisu, Nizam Pompeo, Sarah Short, Carolina Tomassi, Marta Tozzi
scene e costumi Erika Carretta
disegno luci Fabrizio Visconti
assistenti alla regia Giacomo Ferraù, Valentina Sichetti
assistente ai costumi Floriana Setti
produzione Accademia dei Filodrammatici