RENZO FRANCABANDERA | Piccola Patria è l’ultimo dei 13 spettacoli creati e prodotti da CapoTrave, il sodalizio formato da Lucia Franchi e Luca Ricci, cui da anni si deve la direzione artistica del Festival Kilowatt, meritoria avventura di sperimentazione delle arti sceniche, pioneristica nello sviluppo e nelle proposte di audience engagement in Italia ma anche in Europa.
La creazione arriva a Bologna nella stagione di Fuori, Casa di Teatri di Vita: che come tutte le produzioni dell’ultimo biennio (ha debuttato nel 2019) ha potuto circuitare con moderazione per via delle limitazioni note.

Come accade anche in altre drammaturgie del duo creativo, una cornice ambientale connotata da una vicenda peculiare, diventa poi il pretesto per far esplodere contraddizioni più intime e centrate sui rapporti interpersonali, sicuramente il particolare interesse artistico del duo autorale.
Qui lo scenario è un referendum con cui gli abitanti di una cittadina di provincia, San Verdiano, dovranno decidere la secessione dall’Italia, per uno di quegli assurdi accadimenti che affondano le radici nel medioevo, dove il confine di questo o quel comune venne tracciato per errore, lasciando indeterminate terre di mezzo. Divertente come viene ricostruita la pretestuosa vicenda per bocca del precisissimo (fino al bordo del maniacale) presidente di seggio Corrado (interpretato da Simone Faloppa) e da sua sorella (Gioia Salvatori).

ph @ElisaNocentini

Gli accadimenti si dispongono su un orizzonte di tre giorni: il sabato di preparazione dei seggi, la domenica del voto e il lunedì, in cui della votazione si conosce l’esito. Lo sviluppo temporale della vicenda è lineare: nella finzione scenica le giornate sono intervallate da brevi intermezzi di solo movimento e musica cui danno vita gli attori in scena.
Lo spettacolo si apre con il duo fratello-sorella che inizia ad allestire il seggio. Il rapporto non è idilliaco: lui, ingiacchettato e formale,  determinatissimo, con un piglio da aspirante governatorello di paese, lei svagata e dimessa, seppur vestita con una appariscente camicia rossa, rivelano da subito un malassortito rapporto ancillare in cui la donna è figura che subisce il modo e il mondo di decisioni del fratello politicante. Sembrano un datore di lavoro e la sua segretaria servile.
Lei, lo si capisce via via, è emigrata in una qualche lontana isola prossima ai tropici pur di non dover respirare le asfissie della provincia, e pare trovarsi al seggio quasi per errore.
Presto si aggiunge la figura del terzo incomodo, interpretato da Gabriele Paolocà, evidentemente esterno alle relazioni della coppia fraterna, ma non estraneo.
E come si potrebbe esserlo in paese, d’altronde? In una piccola comunità anche chi si estranea non è estraneo. Anzi, la scelta di non condivisione, anarchica in qualche forma, diventa pretesto per l’immediato conflitto che si rivela fra questa figura dissidente e il politico in giacchetta.
L’ultimo arrivato nella dinamica di relazione triangolare è subito antagonista del primo, ma ben presto rivela una prossimità con la donna che seppur mai esplicitata in modo chiaro, sottintende antiche vicinanze, una complicità condivisa.
Si tratta, si capisce, di cose passate, che affondano in fatti di un decennio precedente. Erano giovani, idealisti: anche allora il fratello secessionista era in fissa con la storia del referendum, ma all’ultimo il voto era saltato per quello che parve chiaramente un attentato incendiario ai seggi, che provocò una vittima il giorno prima della consultazione.
Ne parla Corrado in un’intervista televisiva concessa a un giornalista locale e che gli altri due guardano in video dal seggio con la LIM presente nello spazio scolastico sede del voto. Ma proprio quando il fratello intervistato rievoca le vicende del decennio precedente, la donna si affretta a spegnere il filmato, turbatissima.
È qui che si capisce che i due rimasti al seggio erano in qualche modo coinvolti nella questione politica che portò poi all’attacco incendiario, prendendo poi strade diverse. Lui dopo i fatti resta a San Verdiano, nella scomoda e mai integrata posizione dell’oppositore di paese, lei va via, prova a farsi un’altra vita.

ph @ElisaNocentini

Il pubblico non è in platea ma si dispone su file di sedute che si fronteggiano per il senso della lunghezza rispetto all’area agita dagli attori, delimitando lo spazio per il lungo.
Le scene e i costumi semplici di Alessandra Muschella, con due praticabili a delimitare i lati corti dell’ambiente e un grande tavolo con tre sedie per i protagonisti si aggiunge – nel complesso dei segni – al disegno luci di Pierfrancesco Pisani che nella sostanza segue le scelte registiche: semplice e senza inutili trovate a turbare l’incedere drammaturgico, affidato alla parola recitata, con qualche enfasi negli intermezzi di movimento fra le giornate e in occasione del climax finale, in cui si risolve il conflitto incrociato.
Il gioco dei non detti, man mano che la drammaturgia evolve, ingloba compiutamente anche la figura melliflua della sorella, come protagonista silenziosa ma non esterna alle questioni alla base dei rapporti complessi fra i due uomini.

Il gruppo di lavoro che ruota intorno alla compagnia CapoTrave, fondata da Mirco Ferrara, Enzo Fontana, Lucia Franchi e Luca Ricci e attiva ormai da quasi vent’anni, e in particolare il trio di interpreti, è assai rodato: chi recita gioca con precisione a raccontare i personaggi, caratterizzandoli con gesti e movenze che hanno a che fare con la realtà del possibile umano, sconfinando di tanto in tanto in qualche esasperato tic o mania che ne precisa l’indole. È il caso dell’ossessivo ordine nel disporre gli oggetti del presidente di seggio, degli eccessi di reazione e di manifestazione della propria diversità dell’anarchico di paese, della presunta (ancorché impossibile e marcata dal rosso del vestito) volontà di invisibilità di lei.
Alla fine il vero gioco di cui lo spettacolo racconta, più che il pretesto secessionista, è la complicità famigliare, che arriverà fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, pur nella diversità abissale fra le due figure fraterne, fra un lui deciso e ambizioso e una lei che, pur senza mostrarsene in grado, è artefice di gesti capaci di indirizzare, di orientare.

ph @ElisaNocentini

Il vincolo familistico imporrà le sue ragioni sui tentativi del mondo esterno di interferire in un ordine prestabilito e ormai immutabile, in cui i due con lo stesso cognome si coprono, definiscono un’opportunistica ragione di quieto vivere, volta a non complicare l’evolvere inesorabile dei fatti. A farne le spese il mondo degli ideali, i poveri illusi che credono nei grandi cambiamenti, nelle rivoluzioni, e che finiscono qui un po’ enfaticamente in lacrime.
L’enfasi di gesti cui la regia ricorre nel finale, talvolta anche un po’ fuori dallo strettamente giustificabile, connota la chiusa di un lavoro che, per il resto, scorre molto agevolmente, “acchiappando” lo spettatore.
Il testo di Franchi e Ricci è ben scritto, ben interpretato, e le puntiformi scelte registiche “eccessive” di Ricci sono volte in realtà a spezzare la dinamica del recitato che avrebbe altrimenti rischiato di apparire un po’ schiacciato su gesti e parola.
Piccola Patria si fa guardare per tutta l’ora della recita con piacevolezza.
Come detto, l’abilità della creazione sta nell’aver saputo organizzare drammaturgicamente in modo organico due meccaniche: quella grande e sociale, che sembra in apparenza protagonista, ma che diventa poi asservita alla seconda, a quella micro-relazionale che ospita il conflitto fra i tre, con una lucida e dimessa Lady Macbeth di paese, capace di far pendere la bilancia ora di qua, ora di là, pur senza averne l’apparente incarnato. E si sa, l’assassino al cinema è spesso quello che non ti aspetti.

 

PICCOLA PATRIA

ideazione e drammaturgia Lucia Franchi e Luca Ricci
regia Luca Ricci
con Simone Faloppa, Gabriele Paolocà, Gioia Salvatori
e con la partecipazione in video di Alessandro Marini
scene e costumi Alessandra Muschella
disegno luci Pierfrancesco Pisani
produzione CapoTrave – Infinito
con il sostegno di Comune di Sansepolcro, Regione Toscana, Mibac
residenze creative Teatro dell’Orologio (Roma), Teatro alla Misericordia di Sansepolcro (Ar)