RENZO FRANCABANDERA | Un videomessaggio dallo spazio: un buffo astronauta con una qualche imprecisata funzione di comando irrompe nel buio della sala del Teatro Rasi di Ravenna. Il tono non è serio: non siamo dentro un americanoide Star-Treck, che ancorché finzione pretende di essere creduto tal quale; siamo dentro una parodia, il personaggio è scapigliato, si capisce che è un fake.
L’Europa è finita, ci dice.
Lo dice in francese, questa eminenza grigia delle galassie profonde, e con essa è finito tutto un mondo che pretendeva di vivere e organizzarsi secondo il suo sistema di regole, quelle evocate il 9 maggio 1950 in una storica dichiarazione di Robert Schuman, che mise le basi di quella che poi grossomodo cinquanta anni dopo sarebbe diventata l’Unione Europea.
In un susseguirsi di videodichiarazioni programmatiche (vere questa volta, storiche, realmente pronunciate), ora in perfetto inglese, ora in francese, ora in tedesco, il volto Marco Lorenzini interpreta di volta in volta questo o quel politico: l’attore è camuffato quel tanto che basta per essere un po’ diverso ma mantenere la stessa faccia, e ricorda agli spettatori su quali basi politiche e ideologiche era fondata l’Unione fra gli stati europei.
Due ieratiche figure femminili, cariatidi dell’iperspazio in lunga veste brillante, con una maschera di plastica e un trucco stile Daryl Hannah in Blade runner, si collocano quasi subito ai lati opposti della scena a sostenere idealmente l’eretteo drammaturgico di Confini, ultima ideazione di Davide Sacco e Agata Tomšič, del loro sodalizio artistico ErosAntEros.
In questo inizio di messaggi che alternano l’astronave con i videodiscorsi dell’ultimo cinquantennio della politica europea, arrivano anche tre astronauti in carne ed ossa, che popolano per alcuni istanti la scena: ben presto dismetteranno le tute spaziali per indossare quelle da lavoro degli operai del primo Novecento.
E qui parte l’epopea umana.

Confini è lo spettacolo che ha inaugurato la quinta edizione del Festival Polis, giovane ma tenacissimo progetto di ErosAntEros. Partito nel 2018 con un piccolo evento, il Festival è diventato nel 2020 un convegno internazionale online, a causa della pandemia, con seguente pubblicazione degli atti. Nel 2021 un primo rilancio importante, con un ingrandimento dovuto alla partecipazione ad alcuni bandi e all’accesso a finanziamenti ministeriali.
L’edizione 2022, la quinta, può essere a giusta ragione definita quella della consacrazione per Polis, diventato davvero un festival con una programmazione internazionale, incontri, eventi che hanno fatto convergere su Ravenna spettatori, artisti e critici: una ventina di eventi, 14 spettacoli di 11 compagnie diverse, con tre prime nazionali che hanno coinvolto fra l’altro due artisti internazionali come Pascal Rambert e Ivica Buljan/Mini Teater, all’interno di un focus speciale dedicato alla drammaturgia contemporanea francese che ha proiettato il festival in una nuova dimensione europea. Temi centrali e fili conduttori fra le creazioni proposte sono stati la violenza tra gli esseri umani, i conflitti, le migrazioni e la violazione dei diritti fondamentali, temi portati a sintesi dalla figura di Simone Weil, protagonista del disegno di Gianluca Costantini che ha fatto da locandina del festival.

Alla compagnia va riconosciuto un impegno strenuo nel progettare e tessere relazioni in ogni direzione possibile, sia in Italia che all’estero, con altri artisti e teatri. Il duo Sacco/Tomšič ha una tenacia rara e una capacità di costruire che è eredità di una cultura della pratica scenica che in Romagna nasce da lontano, ma che è molto bello continui a trovare nuove forze per alimentarsi, rimanere viva.

Quest’ultimo lavoro, multilingua, è una co-produzione internazionale di Ravenna Festival, Théâtre National du Luxembourg National du Luxembourg e Teatro della Tosse di Genova. Un finale felice per una produzione travagliata, nata nel 2018 e che dopo rimodulazioni, proroghe e cancellazioni e il debutto a Napoli per il Campania Teatro Festival, è tornata a Ravenna ed è stata apertura del Festival il 4 maggio.

Il cuore dello spettacolo sono le storie di migrazione e sfruttamento nelle miniere del centro nord Europa vissute da tantissimi italiani emigrati in cerca di sopravvivenza. Scenario di secondo livello, contraltare indiretto dell’allestimento, l’involuzione sociale, culturale e politica del vecchio continente, diventato di nuovo terreno di guerra ad un ventennio dai conflitti nei Balcani.
Dopo l’inizio fanta-surreale dello spettacolo con i contributi video e “i discorsi” che hanno fatto la storia della politica europea, si alternano le vicende degli uomini in carne ed ossa. Ad interpretarle, al centro del palco, Hervé Goffings, Sanders Lorena e Djibril Mbaye, mentre ai lati della scena le due figure di Agata Tomšič ed Emanuela Villagrossi intervallano i racconti dei tre interpreti con una ricerca storico-filologica fra documenti, fatti storici, articoli della Costituzione europea nata con il Trattato di Roma.
I tre uomini raccontano le vicende degli emigrati italiani nell’area ricca di miniere di ferro, all’indomani della seconda guerra mondiale. Mentre si gettavano le basi della CECA prima, e della Comunità Europea dopo, migliaia di emigrati partivano dal sud Italia per andare a lavorare a centinaia di metri sotto terra, in condizioni di sicurezza e dignità inaccettabili, uguali a quelle dei migranti sfruttati di oggi, in miniere che diventavano la ricchezza di stati come il Belgio e il Lussemburgo.
Una storia di comunità emarginate e di tragedie, di mancata integrazione, razzismo e sfruttamento, raccontate in francese dai tre interpreti che indirettamente raccontano l’Europa multietnica di oggi. Le loro parole diventano ossimoro sulla loro pelle, rievocano con la loro stessa presenza scenica la contraddizione fra enunciati, dichiarazioni di facciata, e sostanza di una unione basata ancora oggi assai più sugli interessi economici di pochi che sulla reale creazione di una unità che, dove e quando nasce, nasce dalla solidarietà fra la povera gente che prova a resistere alle dure regole del lavoro precario, privo di diritti ancora per moltissimi.
La drammaturgia di Confini vuole quindi incunearsi e svilupparsi, per contraddizioni, sulle pietre miliari della storia politica, economica e industriale dell’Unione Europea. Il testo è un approfondito percorso di ricerca, scritto da Agata Tomšič assieme all’autore lussemburghese Ian De Toffoli.


In una scena (opera di Ruben Esposito) sul cui fondale c’è la superficie di proiezione ovale e nello spazio centrale il luogo dei monologhi dei migranti, le due figure femminili occupano i lati destro e sinistro del proscenio. Alle loro spalle grandi lastre di acciaio, lo stesso acciaio proveniente dalle aziende siderurgiche di cui si parla nel testo, che vengono percosse dalle due attrici, a trarre una narrazione timbrica e ritmica dalle vibrazioni del metallo. Curati i costumi di Laura Dondoli realizzati da Daniela De Blasio.
L’impianto drammaturgico consegnato a Davide Sacco è composto da monologhi che il regista, autore anche dei video e del progetto musicale (ispirato all’Inno alla Gioia riletto in tono rallentato e distorto e alla Passione di San Luca di Penderecki).
La sua direzione si basa su una continua dicotomia: attore-coro, storia-politica, sfruttati-governanti, realtà-intenzioni. Il rimpallo di voci in circolarità bilancia la scelta testuale, che non propone dialoghi. Spesso le due voci femminili si sommano, si alternano, fanno vero e proprio coro.
Si intende in modo leggibile il lavoro di composizione, sia ritmica che sonora, e di direzione delle interpretazioni, che rimangono vive e si fanno seguire, pur nell’alternanza di sguardo che lo spettatore deve compiere fra attore e sovratitoli.
Il finale apocalittico ci proietta in un futuro figlio di un presente così drammatico come quello che stiamo vivendo e, pur se fantascientifico e assurdo anche solo da pensare, non appare ormai nemmeno così impossibile.
Pochi umani si salvano e proseguono l’esistenza nelle profondità spaziali, mentre la maggior parte della specie si estingue nella catastrofe ecologica di cui già si vedono gli effetti.
Confini è un’opera teatrale pensata: vibra delle contraddizioni della Storia e illumina il presente di fatti, di vicende che sono il passato di un continente ma anche delle speranze di milioni di donne e uomini.
La regia si impegna a interpretare tali dicotomie in un insieme di segni accurato, condizionato dallo schema drammaturgico composto da monologhi e preferisce la pulizia e la costanza del segno a tentativi di rompere l’impianto polifonico su cui lo spettacolo si fonda, e di cui si fanno validamente interpreti gli attori. Così nella seconda parte dello spettacolo, della durata di due ore, sia il modulo verbale che l’azione scenica mantengono una certa fissità, che resta il terreno di possibili feconde riflessioni per proseguire il cammino internazionale. Confini tornerà infatti in scena in Lussemburgo dall’11 al 15 luglio al Théâtre National du Luxembourg.

 

 

CONFINI

ideazione, cura e spazio Davide Sacco e Agata Tomšič / ErosAntEros
testo Ian De Toffoli
drammaturgia Agata Tomšič
regia e disegno musicale e video Davide Sacco
con Hervé Goffings, Sanders Lorena, Marco Lorenzini, Djibril Mbaye, Agata Tomšič, Emanuela Villagrossi
costumi Laura Dondoli
realizzazione costumi Daniela De Blasio
luci Andrea Torazza
suono Massimo Calcagno
realizzazione scene Ruben Esposito
macchinista e attrezzista Giovanni Coppola
assistente alla regia Malik Yahia Chérif
organizzazione Marina Petrillo
comunicazione Francesca Mambelli, Valentina Mancinelli, Elisabetta Fava, Elisa D’Andrea

produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, TNL – Théâtre National du Luxembourg, Ravenna Festival, ErosAntEros – POLIS Teatro Festival
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival
in residenza presso Teatro della Toscana, TNL – Théâtre National du Luxembourg, OTSE – Officine Theatrikès Salento Ellàda, Tempo Reale
con il sostegno di Comune di Ravenna, Regione Emilia-Romagna
con il patrocinio di Ambasciata d’Italia in Lussemburgo e Ambasciata del Granducato di Lussemburgo in Italia
grazie a Pietro Valenti, Ruth Heynen, Silvia Pasello, Silvia Lodi, Remo Ceccarelli, Maria Luisa Caldognetto, Eugenio Giorgetta, all’Istituto Universitario Europeo, al Centro di Micro-BioRobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia, a “Passaparola” e a tutte le persone intervistate, per aver nutrito il percorso di creazione dello spettacolo; a Giuseppe Bellosiper la consulenza sul romagnolo

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