VALENTINA SORTE | Partiamo dai numeri: più di 3.000 presenze nell’arco di undici giorni, un palinsesto ricco di appuntamenti – in tutto 24 tra performance, proiezioni, laboratori, incontri e arti visive – che ha coinvolto in modo molto versatile diversi luoghi e partner della vita culturale e sociale della città di Bergamo, toccando interlocutori e pubblici differenti. Questo è un primo bilancio, almeno il più evidente, della nona edizione di Orlando, il festival bergamasco che conduce un’attenta e coraggiosa riflessione sui temi dell’identità, delle relazioni e del corpo – vero e proprio leitmotiv – e che quest’anno ha spinto la sua ricerca qualche centimetro più in là, ovvero sul significato del cambiamento come atto personale, collettivo, sociale e di conseguenza sulla responsabilità e sulle possibilità che ogni persona ha nel contribuire a una rivoluzione culturale. Questo è stato il punto di fuga culturale e umano di Orlando dal 28 aprile all’8 maggio. 

Proviamo a vedere cosa c’è dietro questi numeri. La nostra riflessione si snoderà attraverso quattro appuntamenti del festival: da Abracadabra [#studio5] di Irene Serini che in modo rivoluzionario e spiazzante indaga il pensiero di Mario Mieli sull’identità di genere e sul desiderio represso, a Goodnight, peeping Tom di Chiara Bersani che fa del contenitore il contenuto, che usa lo spazio performativo per scavare nello spazio del desiderio e tracciare le coordinate di una nuova prossimità e intimità; da Ladies Body Show della compagnia Qui e Ora che sotto la guida di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti ci invita a un esercizio di ribaltamento di prospettiva sul nostro corpo, sul nostro modo di guardare un corpo, a Monjour, sempre di Silvia Gribaudi che con la sua dissacrante ironia crea un dispositivo performativo con lo scopo di scardinare e sabotare le dinamiche tra perfomer e pubblico su cui si regge ogni performance. 

Il quinto e ultimo studio di Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli si pone come tappa finale di un intenso percorso teatrale che è iniziato nel 2017 e ha indagato in modo originale il pensiero e la vita di questo intellettuale acuto e visionario, ma piuttosto scomodo e ostico. Laterale nelle visioni ma frontale nelle formulazioni, Mieli ha infatti tentato un approccio all’identità collettiva in termini di genere e orientamento sessuale, non più votato a una divisione tra maschile e femminile, tra uomo e donna, tra gay ed etero, ma a un’unione in ognuno di noi di queste forze contrarie. Ha pensato un’identità di genere e una sessualità in movimento dunque. Identità a geometrie variabili per trovare una formula più sintetica: «Ognuno di noi è prisma, è sfera, è mobile, ciascuno potenzialmente combacia con ogni altro in una geometria reale-fantasiosa e intersoggettivamente libera».  

Abracadabra © Luca Del Pia

Partendo dal suo testo pionieristico Elementi di critica omosessuale, Irene Serini insieme alla comunità che man mano si è formata attorno a questo progetto – Caterina Simonelli, Anna Resmini e Luca Oldani – esplora il tema dell’identità e del desiderio utilizzandoli come chiave per indagare il presente. PAC aveva già raccontato con interesse il terzo studio (lo trovate qui), nello studio #5 si tocca nello specifico lo stretto legame che c’è tra l’identità di genere e l’educazione infantile. Come? Facendo tutto sbagliato, provando l’inciampo, cercando la caduta. Lo spettacolo è e allo stesso tempo non è quello che dichiara di essere: essere e non essere. La congiunzione shakespeariana cambia, non è più disgiuntiva e la prospettiva binaria salta.  

Questo lavoro, pur essendo così curato dal punto di vista drammaturgico, nell’uso dello spazio e delle geometrie sceniche, vere e proprie soglie – non solo linee insomma – trova proprio nei momenti di disallineamento e di spaesamento la sua cifra. Come quando i performer recitano al buio e ci aiutano a vedere di più, come quando Mario Mieli, che non deve essere citato, in realtà viene citato, senza però diventare citazione, come quando la rappresentazione si dichiara e si palesa come tale e allo stesso tempo non lo è più, per un attimo è qualcos’altro prima di ritornare a essere di nuovo rappresentazione.  

Lo spettacolo è molto riuscito perché esce da una cornice divulgativa e biografica per assumere in modo personale le parole di Mieli, perché esce dalla norma che ci abita – quella teatrale in questo caso – per restituire il senso di spiazzamento che portano con sé le parole di Mieli; perché usa un umorismo delicato e intelligente e lo accompagna a una recitazione leggera ma tagliente.

Goodnight, peeping Tom © Giulia Agostini

Molto diversa la costruzione drammaturgica di Chiara Bersani in Goodnight, Peeping Tom. Nel sottotetto della Sala alla Porta di Sant’Agostino si sperimenta la potenza del desiderio attraverso l’esercizio dello sguardo. L’occhio è un organo importante, si sa, e il teatro è il luogo in cui si guarda, si osserva. La sua etimologia ci riporta al tema della visione. Ma guardare non è solo un atto politico, è anche un atto erotico. Questo lavoro performativo desidera risarcire Peeping Tom dell’ingiustizia subita per aver guardato Lady Godiva, della cecità per il suo sguardo illecito, della censura erotica. Finalmente Peeping Tom può guardare senza che vi sia perversione.  

Lo spazio scenico scelto tra i diversi luoghi del festival sembra essere il più adatto. L’atmosfera è raccolta, intima, ci sono diversi angoli bui e lo spazio centrale è intervallato da quattro pilastri che interrompono la linearità della vista, e celano/svelano improvvisamente corpi e sguardi. I quattro performer – Chiara Bersani, Marta Ciappina, Marco D’Agostin e Matteo Ramponi – accolgono un piccolo gruppo di cinque spettatori, rendendoli complici nella creazione di una rete di relazioni composta da sguardi e intimità, vicinanze e distanze, in un’escalation sempre più esplicita del contatto: visivo, olfattivo, tattile. Allo spett-attore la scelta di quanto entrare in questa costruzione, di quanto ridefinire la propria prossemica, la propria alterità, di quanto spostare i propri confini, i propri pudori, il proprio sguardo. C’è persino la possibilità di chiudersi in una piccola stanza con uno dei performer. La questione del limite è posta: il contenitore diventa contenuto, il soggetto oggetto e viceversa. Chi agisce? Chi viene agito? Non c’è gerarchia, se non quella delle proprie sovrastrutture.
Questo dispositivo potrebbe sembrare un difetto di non poco conto all’interno della logica di questo lavoro: la sua specificità essere una vulnerabilità. Potrebbe non funzionare per niente, potrebbe funzionare troppo, ma forse è proprio nell’assumere questo rischio che c’è un cambiamento di paradigma. Ritorna quindi il tema di Orlando: il cambiamento come atto personale, collettivo, sociale. La possibilità è già una responsabilità.  


ABRACADABRA – INCANTESIMI DI MARIO MIELI [#studio5]

Di Irene Serini
Con Luca Oldani, Anna Resmini, Irene Serini, Caterina Simonelli
Luci e suono Caterina Simonelli
Disegni in scena Anna Resmini
Segno e locandina Christian Tubito
Organizzazione e produzione Maurizio Guagnetti e Compagnia IF Prana
Con il sostegno di Residenza artistica Olinda e Teatro della Tosse
Primo spettatore Fabio Cherstich

GOODNIGHT, PEEPING TOM

Ideazione e creazione Chiara Bersani
Azione Chiara Bersani, Marta Ciappina, Marco D’Agostin, Matteo Ramponi
Organizzazione di produzione Eleonora Cavallo
Consulenza Chiara Fava
Distribuzione Giulia Traversi
Consulenza drammaturgica/disegno luci Luca Poncetta
Collaborazione fotografica Giulia Agostini
Video Alice Brazzit
Produzione Associazione Culturale Tenuta dello Scompiglio, con il sostegno di Gender Bender
Festival, Associazione Culturale Corpoceleste_C.C.00#, DanceB.