RITA CIRRINCIONE | «Ci sono luoghi che aiutano a connettersi con il divino, abitati da persone con una passione straordinaria, la cui presenza a un rito collettivo è necessaria quanto l’aria, e dove il gesto e la parola risuonano come espressione della coscienza».
Con questo incipit che sembra condensare e anticipare gli elementi portanti della manifestazione, Claudio Collovà presenta il Segesta Teatro Festival, la prima edizione del triennio sotto la sua Direzione Artistica.
La rassegna, che si svolge dal 2 agosto al 4 settembre, ha luogo all’interno del Parco Archeologico di Segesta, uno dei territori più intrisi di storia della Sicilia, in cui mito, natura e arte danno vita a un paesaggio dell’anima straordinario, tra il Teatro Antico e il Tempio Afrodite Urania e, in un’ottica di festival diffuso, nei Comuni di Calatafimi Segesta, Contessa Entellina, Poggioreale, Salemi e Custonaci che vi ricadono.

Teatro Antico di Segesta

Con un programma fitto di spettacoli (ben 26 di cui 7 prime nazionali) all’insegna della multidisciplinarità, tra teatro, danza, musica, poesia, installazioni, progetti speciali e incontri, con proposte quasi tutte imperdibili,  l’offerta del festival è talmente ampia e ricca da dare le vertigini: dalla rilettura della tragedia classica al teatro contemporaneo, spesso contaminato da altri linguaggi; dagli appuntamenti musicali di differenti epoche e tradizioni culturali, a quelli di danza anch’essi improntati al dialogo con altre forme espressive, fino alla riflessione filosofica su temi che attraversano l’intero cartellone.

Promosso dalla Regione SicilianaAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e dall’Ente Parco Archeologico di Segesta – il Festival vede la presenza di nomi come Virgilio Sieni, Salvatore Sciarrino, Roberto Latini, Giorgina Pi, Mimmo Cuticchio, Anna Bonaiuto, Anna-Maria Hefele, Filippo Luna, Mamadou Dioume, Compagnia Zappalà Danza, Manuela Mandracchia e tantissimi altri, passando per i Dervisci Rotanti di Damasco e i Cuncordu e Tenore de Orosei.

Abbiamo intervistato Claudio Collovà, neodirettore artistico del Segesta Teatro Festival.
Attore, drammaturgo, regista, Claudio Collovà si distingue per la sua radicata e tenace ricerca poetica in cui il teatro trae ispirazione da altri linguaggi espressivi, e per coraggiose messinscene di opere complesse e talvolta labirintiche, frutto di una costante spinta alla sperimentazione, con le quali ha partecipato a festival di teatro in Italia e in Europa. La sua personale indagine sulla letteratura del Novecento ha prodotto lavori, tra gli altri, su Joyce, Eliot, D’Arrigo, Kafka e in ultimo Céline.
È docente di regia presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Catanzaro e lavora regolarmente nel campo della formazione tenendo seminari in tutta Italia.
Dal 2009 al 2017 è stato Direttore Artistico delle Orestiadi di Gibellina. Ha collaborato nel 2017 con la Scuola di alta formazione dell’INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico – di Siracusa come docente e regista.
Dal 1997 al 2020 ha curato progetti teatrali con i minori dell’area penale di Palermo realizzando numerosi spettacoli sostenuti dal Ministero di Giustizia. Nel  2021 gli è stato attribuito il Premio internazionale Gramsci per il teatro in carcere.
Nel 2019 con Alessandra Luberti e Miriam Palma ha fondato nel cuore di Palermo Area Madera, spazio di ricerca teatrale e sua casa artistica.

Anna-Maria Hefele e The European Resonance Ensemble – Supersonus 

Claudio, qual è la visione primaria, l’idea-guida che ti ha accompagnato nella costruzione del festival in questa prima annualità e nella più ampia prospettiva del triennio?

Ho chiesto aiuto al Teatro di Segesta, proprio a quel teatro costruito 2.500 anni fa. A dicembre, quando ho avuto la nomina come direttore artistico, ho passato spesso del tempo seduto lì, in silenzio, con una coperta sulle spalle. Fa bene stare lì a guardare quel suo meraviglioso orizzonte. Anche se avevo poco tempo, ho resistito alle “idee” e ho cercato di rimandare per un po’ di tempo il lavoro in ufficio, insieme ai miei collaboratori. Non è che cercassi delle risposte, o consolazione per un incarico che comunque poneva delle responsabilità, cercavo solo di sentire quelle forti sensazioni che accadono in quel luogo da sempre, e in epoche che io non ho vissuto.
Può sembrare un approccio mistico, ma se mi chiedi da dove sono partito, ecco, penso proprio che il luogo sia stato determinante. E non parlo della forma, ma piuttosto dell’energia che irradia, del rispetto che pretende, della sacralità, e della sua particolare tensione fisica verso lo sguardo degli spettatori. E poi c’è la forza della natura che sta intorno, in quel bellissimo parco dove incessantemente fervono le attività di scavo. Il primo giro l’ho compiuto con l’allora direttrice del Parco, che da brava archeologa mi ha raccontato nel dettaglio degli Elimi, il popolo che ha costruito il teatro, e di come abbiano resistito alla colonizzazione dei greci. Forse sto divagando, ma non del tutto.

Dunque, innanzi tutto ti sei messo in ascolto del genius loci e, in effetti, l’ispirazione che hai tratto da quel luogo sembra permeare lo spirito del Festival. E scendendo nel dettaglio delle singole scelte artistiche?

La prima linea sulla pagina bianca è stato il Sacro, poi il potere che questa parola evoca negli artisti e nella loro ricerca e infine il coraggio di richiamare il pubblico a una sorta di adunanza rituale attorno allo spettacolo, cercando soprattutto di scegliere artisti che sostenessero l’esperienza come primo atto da donare. E gli artisti che ho invitato in questa prima edizione alimentano la loro ricerca con una sacralità che non riguarda il contenuto bensì il loro sguardo sulle cose e sul mondo.
Il festival presenta molta musica, la prima forma espressiva degli uomini, la danza e il teatro come forme ineludibili di un processo postumo. Oggi questo, in termini ministeriali, si chiama multidisciplinare, ma sorrido se ci penso. La Sicilia è stata da sempre aperta alle contaminazioni, e ha trovato momenti di pausa dalle invasioni propri in questi luoghi. Oggi direi momenti di pausa dalle guerre e dalle pandemie.

Segesta teatro festival 3
Compagnia Zappalà Danza – La Nona /dal caos, il corpo

Il Parco Archeologico di Segesta come luogo di eventi, di rassegne o di spettacoli, ha una storia che risale al 1967. Come si pone il “tuo” festival rispetto a questa tradizione? A giudicare dal programma, da una serie di dichiarazioni e dallo stesso cambio di nome, l’impressione è che ci sia un chiaro segnale di discontinuità. È così?

Ho spesso frequentato il teatro nelle passate edizioni, negli anni ’80 e ’90. Ho assistito a spettacoli che rimangono ancora nella mia memoria. Ho grande rispetto per questa tradizione, allora basata essenzialmente sul teatro antico, sulla tragedia e sulla commedia. Anche quest’anno abbiamo in programma Supplici, Edipo a Colono, Epidicus e anche L’Ira di Achille di Cuticchio può essere parte di questa tradizione.
La tradizione ha valore se si lascia tradire, appunto. E se rimane lontana dalla convenzione. Non ho voluto confinare il festival all’equivoco che spesso dilaga nei tanti teatri di pietra in Sicilia dove sembra che possa essere rappresentata solo la tragedia greca. Ho voluto ospitare la musica classica dei quartetti d’archi suonata da giovanissime formazioni europee, la musica contemporanea di Sciarrino che forse ricorda la frammentarietà dei resti musicali ritrovati nei papiri, l’omaggio a Pasolini, una particolare rilettura dei Giganti, la tradizione orale del racconto, la ricerca di Latini, la Nona della Compagnia Zappalà, tutte forme che potessero togliere questa sorta di destinazione univoca e insistita sui greci e sui capolavori dei tragici.
Credo che rispetto al passato ci sia discontinuità soprattutto perché è cambiato chi dirige, ma su questo non c’è da esprimere nessun giudizio. Non c’è nessun confronto da fare. Le cose cambiano per forza se si cambia direttore. E sarei stupito se non ci fosse discontinuità. Ma le albe per esempio, che nacquero per la prima volta a Segesta tanto tempo fa, fanno parte di una tradizione che ho accettato ben volentieri di proseguire. Mi dicono che siano affollatissime e molto suggestive. Il nome sì, l’ho cambiato e ho voluto che fosse il più semplice possibile, e che chiarisse subito la connessione con il luogo.

Cinzia Maccagnano – Edipicus. La commedia del doppio imbroglio di Plauto

Dal 2009 al 2017 sei stato Direttore Artistico delle Orestiadi di Gibellina. Anche lì c’era un filo rosso che legava i diversi linguaggi espressivi e uno sguardo rivolto alla contemporaneità. Forse era meno presente l’attenzione al Sacro di questa rassegna. Quanto ha contato la profonda diversità dei luoghi e quanto la spinta propulsiva impressa dalla forza visionaria di Ludovico Corrao?

La direzione delle Orestiadi è qualcosa che non dimenticherò mai. Sono stati otto anni importantissimi per me e anche lì sentivo un’influenza fortissima esercitata dal luogo. La sentivo sull’anima e ispirava le mie scelte. Occorrerebbero molte parole per raccontare quello che è successo, ma forse vale la pena soltanto dire che la rinascita di Gibellina distrutta dal terremoto è stata compiuta dagli artisti di tutto il mondo e di ogni arte che il senatore Corrao ha chiamato a raccolta. Una specie di utopia che utopia non è rimasta, ma che è diventato un vero progetto di rinascita.
L’enorme elenco degli artisti che hanno contribuito con l’arte all’edificazione di una nuova città è stato il frutto dell’ostinato lavoro e della sensibilità di Ludovico Corrao che come sindaco ha guidato quella città per moltissimi anni. Manca molto quell’uomo da molti definito un visionario, ma che io ammiro soprattutto per il suo senso di concretezza e di realtà. Ma anche il Cretto di Burri o le cancellazioni di Isgrò e altri luoghi visionari di Gibellina sono ugualmente sacri, forse di una sacralità laica e anch’essi hanno rappresentato una guida nelle scelte. Credo che molto di quella esperienza abbia influenzato il lavoro che sto facendo a Segesta.

Tradizione classica e contemporaneità, oriente e occidente, dimensione internazionale e panorama locale, scenari di colline coltivate a vigneti e teatri antichi, spettacoli all’alba e in notturna: passando in rassegna i molti volti di questo ricchissimo cartellone mi sono venute in mente le immagini di certi mandala, quelle rappresentazioni simboliche che tengono armonicamente insieme le diverse forme dell’universo e le opposte polarità che vi coesistono e dove, allo stesso tempo, è facile rintracciare le linee essenziali. Ci potresti indicare quelle di questa edizione del Segesta festival?

Le linee portanti sono quelle che il Teatro di Segesta mi ha suggerito e che potrei riassumere in sacralità, multidisciplinarità, internazionalità, in un dialogo tra chi vive qui e chi viene qui da molto lontano.
A me piace molto questa immagine del mandala, a cui non avevo pensato. Se permetti te la rubo. Credo che, se di mandala si tratta, non sia una costruzione del tutto intenzionale, determinata cioè solo dalla volontà. Ancora oggi scopro dei dialoghi tra le varie componenti che non mi sembrava ci fossero, degli incastri o dei rimandi per assonanza o per opposizione.
Una di queste connessioni potrebbe riguardare le voci. Al Segesta Teatro Festival ci sono voci modernissime e antichissime, canti che evocano la terra come quella dei tenori di Orosei e voci in contatto con il cielo come quella di Anna-Maria Hefele. E potrei continuare saltando con discontinuità da una ricerca all’altra, come quella di Giorgina Pi e di Roberto Latini. Oppure,  il solco del cunto che da Cuticchio transita a quello di Gaspare Balsamo.

Ulteriore elemento di ricchezza nella programmazione di quest’anno è la collaborazione tra parchi archeologici della Sicilia, festival e istituzioni culturali, come l’ospitalità che il STF offre al Festival Ierofanie di Naxos Taormina e all’itinerante Festival della Bellezza. Ci vuoi raccontare la genesi di queste partnership e di come esse dialogano tra loro?

In questo momento sono a Naxos per il Festival Ierofanie che poi prosegue a Segesta. È una forte connessione tra due festival e due parchi archeologici, bellissimi entrambi, e molto distanti geograficamente tra loro. Ho insistito molto nel creare questa collaborazione. Ierofanie significa ‘manifestazione del sacro’, quindi il tema rimane lo stesso, anche se qui è quasi esclusivo.
Oltre agli spettacoli avremo conversazioni sul tema del sacro in una sezione a parte dal bellissimo titolo ‘CustoDire la Soglia’, ideata da Fulvia Toscano e tenuta da importanti filosofi, ricercatori e studiosi. Ma per me è solo l’inizio. Dialogare con altri parchi e altri luoghi di immensa magia che abbiamo in Sicilia è auspicabile, se non doveroso. Negli anni a venire vorrei ancora di più sostenere questo scambio. Non è facile, ma ci provo. Frammenti di mandala anche questi, penso.
Per quanto riguarda il Festival della Bellezza sono stato ben lieto di ospitarlo, aprendo il mio programma agli incontri che mi hanno proposto, perché li ho trovati particolarmente sintonici con quello che stiamo facendo a Segesta.

 

SEGESTA TEATRO FESTIVAL

Parco Archeologico di Segesta
2 agosto  – 4 settembre  2022