ELENA SCOLARI | L’edizione 2022 del MilanOff Fringe Festival ha occupato 15 luoghi della città ospitando 50 compagnie da Italia ed estero e presentando i loro spettacoli in più repliche nelle due settimane di fitta programmazione, la direzione artistica di Francesca Vitale e Renato Lombardo si è dispiegata in uno sforzo organizzativo imponente per una manifestazione ricca in quantità di proposte e variegata per i tanti generi teatrali frequentati.
PAC prosegue e chiude il diario delle serate cui ha partecipato dando conto di due spettacoli allestiti nell’Auditorium della Società Umanitaria davanti a un pubblico mediamente piuttosto giovane (e questo è un buon segno) ma non numeroso, sintomo anche di un momento di vero overbooking per offerta di spettacolo tra festival nuovi e altri longevi, eventi singoli, stagioni dei tanti teatri milanesi partite con il botto che – giocoforza – parcellizzano gli spettatori in un turbinio perfino eccessivo.

La sezione fringe (e in più off, in questo caso) di un festival si caratterizza per l’esplicita volontà di offrire una ribalta libera a compagnie minori che faticano a trovare spazio nelle programmazioni più in vista, la qualità degli spettacoli è quindi deliberatamente altalenante, la vetrina vuole infatti consentire di confrontarsi con il pubblico misurando le reazioni e quindi esperendo anche le proprie incertezze.
Teatro Strappato si definisce “compagnia nomade di attori-artigiani con base in Sierra Espuña, che crea i suoi spettacoli tra Berlino, Murcia (Spagna) e Treviso per portarli ovunque nel resto del mondo”. Vasto programma, avrebbe detto De Gaulle.

Al MilanOff ha portato Terra e polvere (da sparo), la storia di una donna e del suo bambino, in una terra e in un tempo non specificati (quindi simbolici), il paese è colpito dalla guerra, il marito è disperso al fronte, i due finiscono in una specie di lager dove la donna – per soprammercato – viene violentata (e messa incinta) dalla guardia del campo. Il bambino che nascerà (chiamato ripetutamente bebè) sarà ritenuto portatore della colpa del padre e improvvisamente assassinato dal figlio della donna.
Lo spettacolo è retto da una sola attrice, Cecilia Scrittore, che interpreta tutti i personaggi (madre, figlio, marito, nonna che legge i fondi di caffè, guardia…) variando postura, voce, elementi dei costumi e soprattutto indossando maschere, la cifra distintiva della compagnia. I cambi sono frequenti e tendono diventare meccanici e prevedibili appesantendo la struttura narrativa di un racconto tragico che abbisognerebbe semmai di essere ripulito da uno strato di retorica spicciola che copre le buone intenzioni.
L’impegno di Cecilia Scrittore è indubbio, ma il compito di dare credibilità a un testo (di Vene Vieitez, che firma anche la regia) che pecca spesso di ingenuità grava su di lei, già molto indaffarata un lavorìo tecnico ininterrotto, impendendole di trovare una strada drammaturgicamente limpida e convincente. Il tema della povera gente martoriata da angherie è nobile, ma è facile cadere nella semplificazione di superficie. L’interprete è anche narratrice esterna che accompagna lo spettatore tra i personaggi, questo ruolo potrebbe essere alleggerito a vantaggio di un disegno più approfondito e meno stereotipato delle figure che popolano il racconto.

Decisamente brillanti sono invece le Decadenze moderne di Mezzaria Teatro, il testo corrosivo – e in versi – dell’attore, regista e drammaturgo britannico Steven Berkoff è reso qui in una rutilante traduzione di Giuseppe Manfridi e Carlotta Clerici. Li citiamo perché il valore di questo spettacolo sta tanto nella matura e caleidoscopica interpretazione di Francesco Bernava e Alice Sgroi quanto nella stupefacente (l’aggettivo non è casuale) lingua in cui le nefandezze erotiche dei personaggi vengono sciorinate con una naturalezza sfacciata e divertita.


Helen, Steve, Sybil, Les. Sono i quattro protagonisti di bollenti avventure, interpretati da due soli attori (vd. sopra): Steve è il marito di Sybil ma va a letto con Helen che va a letto con Les. Descrivere la trama non è essenziale, si tratta di una turbinosa spirale in cui tutti scopano molto, con una pertinacia ammirevole, direi; tradiscono, pippano, bevono, si spogliano e si rivestono, si insultano, si disprezzano anche un po’ ma non possono fare a meno di avere a che fare l’uno con gli altri.
Il ritmo impetuoso degli incontri e il perfetto affanno nella recitazione di Bernava e Sgroi rendono l’effettivo sforzo, anche fisico, di sostenere impalcature umane impegnative per tensione psicologica e livello di prestazione. I costumi, (di Grazia Cassetti) sgargianti ed esagerati, sono coerenti con gli eccessi continui che vivono i personaggi: Bernava è in abito squillante verde prato e Sgroi indossa mezzi guanti, un leggero vestito scollato a mo’ di sottoveste setosa e dorata, e alterna espliciti tacchi a spillo con momenti a piedi nudi per esaltare l’animalità di una donna minuta ma senza peli (non sempre, per la verità) sulla lingua.
Buona parte del godimento (parliamo di quello intellettuale, si intende) di Decadenze sta nell’ascoltare il testo in rima, in una lingua ricercata, qua e là persino affettata – e quindi piena di humour – anche quando le descrizioni delle situazioni contengono termini volgari,  esplicitamente spinti, attorniati da locuzioni forbite. Formidabile l’episodio narrato da Sybil in prima persona, in cui una fellatio si consuma a favore del prestante cameriere del servizio in camera davanti all’attempato e russante marito di lei, ignaro nel letto della camera medesima, il quale ronfa mentre il frutto dell’esercizio peristaltico sprizza dal vassoio (sempre retto dal compìto inserviente) al comodino. 


La cadenza dei versi è parallela a una sorta di partitura di passi sulla scena, tanti gesti sono ripetuti con una sequenza precisa: preparare il “trito” di polvere per tirare una pista di cocaina scorrendo testa e naso lungo un’immaginaria riga, versare alcool da una bottiglia e pinzare i cubetti di ghiaccio e versarli nel bicchiere da cocktail, piccole danze frenetiche che riempiono il tempo di nottate viziose altrimenti impossibili da passare serenamente addormentati.
La bella regia di Giovanni Arezzo non lascia mai i due attori, dà loro sempre una direzione, un punto cui tendere, un tempo in cui muovere nervosismi, isterie e ingordigie con piglio mai indeciso; si vede chiaramente una concordanza forte tra direzione ed esecuzione in scena. Le musiche sono un elemento che potrebbe essere un poco rivisto, sono forse fin troppo presenti in un contesto in cui la musicalità è già data da testo e movimento.
Berkoff dipinge uomini e donne ricchi, insaziabili, mossi dall’appagamento personale ma mai realmente soddisfatti: se il desiderio è esaudito allora è bruciato e la voglia deve andare ancora un po’ più in là.
Dal punto di vista scenico il palco è vuoto se non per un soprabito (rinforzato) che Bernava si toglie e ripone per terra facendolo rimanere eretto come un fantasma che assiste a questo circo sessuale della vita, un cappotto gogoliano con una sua prestanza, vuoto d’identità ma colmo di giudizio. Viene abbandonato all’inizio dello spettacolo per essere reindossato solo alla fine, quando forse anche il personaggio penserà a ciò che è appena stato. Chiedendosi se le Decadenze si possono arrestare.

 

TERRA E POLVERE (da sparo)

di Vene Vieitez
regia Vene Vieitez
con Cecilia Scrittore
luci, musiche e ambiente sonoro Vene Vieitez
costumi Teatro Strappato
produzione Teatro Strappato

DECADENZE

di Steven Berkoff
regia Giovanni Arezzo
con Francesco Bernava e Alice Sgroi
luci Simone Raimondo
musiche Orazio Magrì in collaborazione con Giuseppe Rizzo
costumi Grazia Cassetti
produzione Mezzaria Associazione Culturale
MilanOff Fringe festival, Società Umanitaria | 30 settembre 2022