Primavera PAC – Uscire dagli schemi, Umbria Factory Festival – parte I

GRETA MARIA CAMPISI | Un’immersione nel contemporaneo, tra musica, danza e teatro: nel cuore dell’Umbria, a Foligno, ZUT! in collaborazione con La Mama Umbria International, ha organizzato tra settembre e ottobre un vero e proprio viaggio nelle arti, itinerante, all’interno sia di edifici storici che nelle piazze della città, perché si parlasse di un teatro di condivisione, per assottigliare il più possibile la distanza tra teatro e spettatori, dunque teatro e cittadini. Il festival si è svolto in due parti, in due luoghi diversi: Spoleto (28.09-02.10) e Foligno (5-9.10/14-16.10) e si è ampliato anche in piccole zone rurali nei dintorni, per far vivere a pieno il territorio ospitante. L’idea era di spaziare e connettere le arti performative, dal teatro alla video/sound art, con danzatrici, musicisti e performer di arti, interattive e digitali.
Parliamo allora di alcune delle proposte che il festival ha regalato, nei weekend centrale di ottobre.
Cominciamo da Edipo Re, di c.l. Grugher (primo studio), con l’ altra mente, Auditorium Santa Caterina.

Foto di Elvio Maccheroni

Grugher, è un regista e performer attivo dalla fine degli anni Settanta. Si forma, tra gli altri, con Grotowoski, E. Barba, L. Kemp. Collabora con diverse compagnie e porta il teatro nelle carceri e nei quartieri disagiati a Napoli, Palermo e Milano. Questo suo progetto nasce appunto con la collaborazione di persone sensibili, con storie personali molto difficili.

Le donne ci raccontano una ad una un pezzo di storia, un pezzo di sofferenza che segue il filo della trama del mito di Edipo. Emergono l’energia femminile e la solidarietà di queste donne che si scambiano sguardi e, in una danza molto lenta, si passano il testimone, permettendosi finalmente lo spazio e la voce per raccontarsi, che gli uomini e il mito non gli hanno concesso. C’è tra loro un’altra sola figura maschile, una presenza costante: un uomo riprende con una telecamera tutto ciò che succede sulla scena e in platea. Il pubblico è coinvolto nella vicenda tanto quanto gli attori, attraverso lo sguardo della camera. Con questo escamotage il regista vuole quasi dirci “sì, anche voi siete coinvolte/i”. “Nasco donna, madre […] nasco donna, incestuosa […] ho dovuto giacere col mio sposo, fino al sesso puro, per passione.”

Le donne continuano a raccontare una ad una, un dovere dettato dall’alto, inevitabile: Giocasta che giace col proprio figlio e vive nel rimorso, abbandonata al suo dolore: ed ecco che la figura femminile al centro della scena, ancora girata di spalle, si muove spostando i capelli lunghi sulla schiena nuda.
“Je m’appelle Giocasta, je suis Giocasta” ripete molte volte, e con toni sempre diversi, come se ogni volta raccontasse una storia diversa, che il suo essere Giocasta ha comportato.
Rituonano spesso parole colpevoli, ma di una “colpevolezza innocente”, di una madre costretta ad abbandonare il figlio, per un oracolo che detta un destino crudele. Un destino dettato da altri, e l’abbandono a sé stesse e al proprio dolore, che in questa scena unisce tutte le donne: le cinque in scena e quelle del pubblico nella ripresa della telecamera, e quelle ancora più fuori, nel mondo. Con questo pezzo Grugher ci permette di entrare nell’intimità dei performer, facendo diminuire la distanza tra noi e loro fino a farla scomparire. Noi siamo Giocasta, nous sommes Giocasta.
Solo alla fine l’uomo con la maglia da bagnino parla, parla di corpi vuoti e nudi, e questi corpi sono inconsapevoli, dice, e ci lascia con un invito: “continua a danzare”.

Restiamo nell’auditorium che ci ospita per lo spettacolo “How to – Just another Bolero” di Emanuele Rosa, danzatore e coreografo, finalista come coreografo al Premio Equilibrio 2018 e giudice internazionale alla 32a edizione dell’ International Festival of Modern Choreography a Vitebsk, Bielorussia e Maria Focaraccio, danzatrice professionista e coreografa formatasi al Balletto di Toscana, finalista nel ruolo di ballerina con due diverse coreografie al Premio Equilibrio 2018.

Assistiamo alla nascita e allo sviluppo di quella che sembra una storia d’amore. Su un tappeto a colori caldi, i due ballerini si imitano, prendono forma e sembrano una cosa sola.

foto di Elvio Maccheroni
con: Emanuele Rosa, Maria Focaraccio

Con piccoli e delicati movimenti si conoscono, la luce calda si intensifica nella sala e così la musica incalza. I due si scambiano posto, si guardano, si completano; sembrano insetti in una danza di mani e di intenti. A volte scomodi, sudati, si incastrano e si liberano, camminano come fossero un solo animale, si tuffano l’uno sull’altra rallentando il tempo. Si schiacciano e talvolta si fermano, si specchiano; non vediamo mai il corpo intero di nessuno dei due. Si trasportano e lottano, in una tensione che ansima e sale, per poi finire sdraiati a terra, nudi come le pareti, amalgamandosi con l’ambiente intorno, e abbandonandosi ai calorosi applausi e al respiro del pubblico che ha trattenuto il fiato con loro.

Ci spostiamo a Spazio Zut! in un’atmosfera più esotica, con la saga asiatica di Gilgamesh vista con gli occhi di Fossick Project, il duo formato da Cecilia Valagussa e la cantante Marta del Grandi, in ciò che le due autrici chiamano Contemporary Shadow Theatre. 

Il progetto, iniziato nel 2016, prevede l’idea di focalizzarsi sul mondo naturale e animale, dando rilevanza agli animali in pericolo di estinzione. Realizzano tre diverse performance e collaborano con Howie B,  produttore di artisti internazionali come Bjork e U2.

Le due artiste ci guidano in un viaggio tra musica e arti e ci raccontano l’antica Epopea con una raffinata combinazione di voce e arte manuale. Mentre Marta canta, Cecilia ci trasporta in luoghi lontani proiettando ombre create manualmente con una lavagna analogica; un viaggio nelle origini, tra animali e draghi, in cui emerge l’interazione dell’uomo col mito e con la realtà.

Arriviamo al progetto di Marco Augusto Chenevier “Un solo respiro”, performance itinerante. Chenevier è danzatore, attore e direttore artistico; diplomatosi all’Accademia internazionale di Teatro nel 2004, in questi successivi quasi venti anni di pratica artistica sviluppa un percorso di ricerca tra danza e teatro. È cofondatore  e direttore della compagnia  TIDA.  Firma oltre quindici produzioni ed è direttore artistico di diversi festival; co-dirige attualmente il “T*Danse” di Aosta, progetto vincitore del bando “Funder35”. Nel 2022 consegue in Francia il Diploma di Stato come professore di danza contemporanea.

A Foligno presenta Un solo respiro performance che prevede il riappropriarsi dello spazio urbano, per uscire dal contesto usuale e prevedibile. Alla ricerca dell’imprevedibile è anche e ovviamente il pubblico, che, in piazza è casuale e spontaneo. Ogni ballerino ha con sé un’esperienza di laboratorio di danza molto breve, basata sulla lezione di Jacques Lecoq, precedente i giorni della performance; tutto il resto dei movimenti e dei gesti corali è improvvisato sul momento. Si creano forme e composizioni estemporanee; tutto è fuori dal convenzionale e risponde alla volontà di cercare l’essenza dell’arte performativa, ovvero il corpo in dialogo e lo spazio che lo accoglie.

La libertà del gesto è un po’ la parola chiave e quindi anche la reazione sia dei performer sia del pubblico è totalmente imprevedibile e unica ogni volta. I corpi si confondono con la piazza in cui agiscono e quindi col contesto sia visivo che uditivo, i suoni e i ritmi diventano quelli urbani e sulla “scena” si incontrano passanti, cittadine, curiosi. La sera stessa ci immergiamo in un’ atmosfera completamente diversa, più fredda e realistica. Siamo nella cantina Scacciadiavoli, in uno spazio freddo e spoglio, tra le botti di vino, per Sergio di Francesca SarteanesiL’ attrice come noto è stata fra i fondatori nel 2006 della compagnia Gli Omini con la quale ha collaborato fino al 2018, per poi proseguire con un percorso individuale di ricerca.
Sergio è il suo ultimo lavoro, che la vede interprete solista.

Con pochi movimenti e sguardi semplici e diretti, ci fa entrare nelle fragilità di un matrimonio, attraverso un soliloquio apparentemente rivolto a Sergio, un marito assente, con la forte consapevolezza di parlare soprattutto a se stessa, con un’ironia che nasconde la tragicità di ciò che potremmo chiamare, tra le altre cose, Noia. I due amanti che ormai, forse, non provano più amore l’uno verso l’altra, sembrano costretti nelle mura della casa, come in una lunga domenica tediosa, cercando qualcosa da dire, qualcosa da fare, per riempire gli spazi e i silenzi.
Come il vizioso in rovina che assapora
il seno martoriato di un’antica puttana
arraffiamo al passaggio piaceri clandestini
e li spremiamo come vecchie arance” direbbe Baudelaire.
In una velata accettazione del passare del tempo, della paura di invecchiare e di non piacere e non piacersi, la donna usa il pretesto di cose di poco peso per esprimere il peso in realtà gigante di una sofferenza, prima col marito e poi col mondo, “tu non hai mai avuto il coraggio di dirmi quando avevo il prezzemolo tra i denti, tutti amici, ma poi nessuno ha il coraggio di dirmi che ho il prezzemolo tra i denti”.
E seguono rimproveri e ricordi, poi nostalgie e ancora rimproveri e delusioni; Sergio qui è allo stesso tempo un bambino da rimproverare, che non la difende, che non dice mai niente, che tiene il ventilatore troppo alto dopo che “gli ha già detto che va tenuto basso” e un uomo che ha sempre i gusti più giusti dei suoi, che ha l’ultima parola anche sul colore delle pareti.

Emerge un’impotenza a comprendersi, a farsi valere, ad ascoltarsi.
Che ti è mancato?” Lei tenta un dialogo, ma si risponde da sola, perché Sergio tanto “non capisce il gioco”;
Tu mi sei mancato,” -dice lei  “sei stato assente per mesi anche se eri qui” , ma Sergio non capisce e ci fa quasi ridere immaginarlo nella sua goffaggine.
In un climax di ironia e tragedia, in cui il colore delle piastrelle del bagno che Sergio vorrebbe cambiare dopo vent’anni diventano pretesto di battaglia e rimprovero, conclude chiedendo(si) “sai quanto ci ho messo ad abituarmi a questo? Sai quanto ci vuole a creare un equilibrio?”

 

EDIPO RE

con Barbara Camuffo, Emanuela Magnini, Marta Pagliochini, Moreno Pensi, Grazia Tulli, Trude Tijmensen, Leonardo Zanoli
testi Grazia Tulli, Trude Tijmensen
regia C.L.Grugher
residenza ZUT!/C.U.R.A.
produzione Umbria Factory Festival
*in collaborazione con L’Altra Mente

 

HOW TO – JUST ANOTHER BOLERO

concept, coreografia, performance Emanuele Rosa e Maria Focaraccio
costumi Emanuele Rosa & Maria Focaraccio
luci Michele Piazzi
supporto drammaturgico Carlotta Jarchow
con il supporto di Morphine Raum , Berlin (DE), C&C Company / Carlo Massari, Bologna (IT)
creazione selezionata per la Vetrina della giovane danza d’autore 2021
azione del Network Anticorpi XL
progetto vincitore di Call from the Aisle 2021, sostenuto da CURA Centro Umbro Residenze Artistiche
Corsia Of – Centro di Creazione Contemporanea, Micro Macro Terra Marique

*in collaborazione con Teatro Stabile dell’Umbria

 

GILGAMESH

di Marta Del Grandi e Cecilia Valagussa
Musiche originali di Marta Del Grandi
Illustrazioni di Cecilia Valagussa

*in collaborazione con Young Jazz

Lo spettacolo è inserito tra gli eventi promossi per l’iniziativa regionale UMBRIA CULTURE FOR FAMILY

UN SOLO RESPIRO

di Marco Augusto Chenevier
danzatori Marco Augusto Chenevier – Alessia Pinto – Ocèane Delbrel
produzione Cie Les 3 Plumes con il sostegno della Regione Autonoma Valle d’Aosta
sostegno in residenza Teatro Akropolis di Genova, CapoTrave/Kilowatt Centro di residenza della Toscana
Zut! Umbria Factory Festival, Teatrul Maghiar de Stat Csiky Gergely di Timisoara (Romania), Wam Festival Faenza

 

SERGIO

di e con Francesca Sarteanesi
collaborazione drammaturgia Tommaso Cheli
costumi Rebecca Ihle
produzione Kronoteatro e Gli Scarti
con il sostegno di Armunia residenze artistiche – Festival Inequilibrio