ESTER FORMATO | La Compagnia del Loto mette in scena un testo di Henrik Ibsen senza dubbio affascinante ma molto complesso: Peer Gynt. Non è mai stato semplice metterlo in scena: cinque atti che raccontano quasi l’intera vita dell’omonimo protagonista, denso di situazioni, personaggi, eventi immaginifici. Onirico, ricco di riferimenti alle tradizioni popolari scandinave, Peer Gynt è prima di tutto un percorso di formazione di questo balordo giovane che scappa di continuo da ogni convenzione sociale.

Attraversando mondi plurimi, Peer compie un lungo viaggio nella conoscenza di sé stesso, e la compresenza di esperienze e fasi dell’esistenza differenti arricchisce il testo di parti lunghe, dialoghi articolati, salti spazio-temporali che, se messi in scena integralmente, creerebbero difficoltà nella ricezione del pubblico.
La compagnia molisana guidata e diretta da Stefano Sabelli, scava a fondo della genesi del dramma e ricrea un ambiente analogo a quello in cui lo stesso Ibsen scrisse Peer Gynt, l’Italia meridionale, mentre compiva il tradizionale Grand Tour. Chissà quali elementi nostrani dovettero ispirare il drammaturgo, fatto sta che PeerGyntrip, questo il titolo dello spettacolo andato in scena al Filodrammatici di Milano, ci coinvolge in un vero e proprio un trip visionario. A cominciare dalla scenografia: articolata da una serie di corde e cordicelle che muovono un enorme drappeggio, come l’interno di una nave, metafora che racchiude l’intricato tessuto avventuriero del dramma.

Peer, cresciuto fra renne, boschi e montagne è allontanato, dopo aver sedotto Ingrid, dal proprio borgo natìo. Poco male, le cornamuse, le renne e i fantomatici troll, elementi presenti nella drammaturgia originale, d’ora in poi convivranno con icone popolari tutte nostrane e balordi personaggi che parlano i nostri dialetti.
È così che il re dei Troll diviene un romanaccio della Suburra in cui si perde Peer che finisce per sedurre proprio la figlia del tiranno, e per questo sarà spinto ancora una volta alla fuga.  La nota battuta Ti basta esser te stesso, è il mantra del protagonista che come un novello Teseo, abbandonata la ragazza sedotta, continua imperterrito il suo viaggio. Tra visioni oscene e grottesche, condite con un bel po’ d’Italicum acetum, il Peer di Sabelli è pronto a sfidare la difficile resa del testo ibseniano. Sfrondate le parti troppo verbose, intrise di elementi troppo stantii o non necessari allo svolgimento del dramma, il regista molisano riesce a calibrare le due parti in cui è diviso lo spettacolo e nelle quali condensa i cinque atti originari, cercando di conferire alla messa in scena un ritmo serrato.
Inoltre, lavora sull’interscambiabilità degli attori, sia perché un solo interprete copre più ruoli, sia perché gioca incrociando parti maschili e femminili: il giovane Peer Gynt è interpretato da Eva Sabelli, la madre Aase (nonché Peer Gynt da adulto) è un bravissimo Gianantonio Martironi. Tutto questo avvicina ulteriormente l’opera ai canoni della nostra comicità, a metà fra farsa e umorismo.
Questo è difatti un Peer che è un po’ Peter Pan e un po’ Pinocchio. Rifacendosi, infatti, ad altri personaggi della letteratura ottocentesca, Sabelli coglie la vicinanza cronologica con il romanzo di Collodi per ispirarsi al burattino toscano, non a caso la madre Aase assume i tratti distintivi di Geppetto. La protervia dell’uno acuisce l’estenuante attesa dell’altro, destinato a subire la perenne assenza del figlio.
Di questo Peer italiota riconosciamo anche la fata Turchina, la dolcissima Solveig, la seconda fondamentale figura femminile, insieme a quella materna. Peer sembrerà sempre allontanarsi dal porto sicuro che queste due donne incarnano per imboccare strade tortuose, mentre respinge e al contempo accoglie nel suo essere l’impronta della figura paterna.

Un altro punto che si riallaccia a una struttura romanzesca è che tra il primo e il secondo atto dello spettacolo il protagonista cresce e invecchia, portando sulla scena un vero e proprio romanzo di formazione il cui leit motiv contenuto nella frequente battuta “Fai il giro, Peer! Fai il giro”, si traduce in un progressivo distanziarsi dal punto di partenza. Eppure, l’approdo ultimo disegna nelle due ore di spettacolo un cerchio perfetto ovvero la vita che giunge al suo termine, inteso come compimento, pieno ritrovamento di se stesso.
L’istrionismo della compagnia, la versatilità degli interpreti che, in taluni casi, interpretano più di un personaggio secondo una precisa simmetria, conferiscono allo spettacolo una vivacità costante, sebbene nel secondo atto il ritmo tenda a rallentare. L’infinita variazione spazio-temporale fa da contrappunto all’inestricabile labirinto di situazioni in cui l’impavido protagonista asseconda impulsi e desideri.
Il giovane Peer è un eroe che porta con sé i retaggi del più audace romanticismo europeo, mentre l’adulto del secondo atto è un abilissimo uomo che ha fatto affari, arricchendosi enormemente: emerge così la visione naturalista propria di Ibsen, figlia di un mondo che cambia rapidamente con la Rivoluzione industriale. La natura in cui si riverbera la parte più intima e istintiva dell’uomo, secondo i Romantici, ha ceduto il posto a un mondo differente, che chiamiamo modernità, in cui intraprendenza e inconsistenza si confondono, facendo naufragare per sempre il concetto di eroe.
E questo passaggio, tale dialettica che si nasconde nei cinque atti dell’opera, è sbriciolato da Stefano Sabelli in una serie di visioni che si susseguono in bilico fra armonia e toni festosamente iperbolici, come a spaccare quel composto onirismo scandinavo con i caratteri forti ed esuberanti di un’atavica comicità latina.
Solo l’epilogo – ed è l’amore della madre Aase e quello paziente della dolce Solveig ad attenderlo sul tramonto della vita – ci restituisce con chiarezza la pura essenza di tutta un’avventura spesa nel trovarsi, ma anche la sfida del teatro con i suoi infiniti linguaggi e sperimentazioni che prova, sempre, a raccontare mondi che inciampano l’uno dentro l’altro.

PEERGYNTRIP

tratto da Henrik Ibsen
adattamento e regia Stefano Sabelli
con Eva Sabelli, Gianantonio Martinoni, Bianca Mastromonaco, Matteo Palazzo, Fabrizio Russo
musici di scena Piermarino Spina, Antonio Scioli
scene Francesco Fassone
costumi Martina Eschini
luci Daniele Passeri
fonico  Gianmaria Spina

Milano, Teatro dei Filodrammatici, 5 novembre 2022