RENZO FRANCABANDERA | Il pubblico che arriva per lo spettacolo alla Fonderia di Reggio Emilia, il luogo che Aterballetto ha ripensato per ospitare le creazioni di danza proprie e altrui, sembra quasi consapevole che la propria stasi comoda sulla sedia in platea durerà poco. All’arrivo è già tutto visibile, anche se i protagonisti della serata si aggirano nella penombra, come quando si butta un occhio al backstage di un evento che sta per iniziare: chi si muove frenetico di qua, chi di là, chi riprova gli ultimi movimenti. Lo sbrilluccichio già si intravede, ma è ancora misurato dalle luci fioche.
Poi, come in un concerto-happening, a un certo punto tutto parte. E come può partire un cabaret danzante se non con una sigla? I timpani rullano, e il ritmo di Vieni via con me (Taratapunzi-e), che fu sigla di Canzonissima nel 1972 dà il via alle frenesie. È roba dal sapore anni Settanta, c’è il gusto della rivista: le ballerine con le paillettes, qualche danzatore un po’ impacciato, un reverendo in giacca argentata. Insomma, un improbabile accrocchio umano che in realtà si propone come riflesso imperfetto di quello che c’è al di qua della quarta parete.
Un po’ di show per presentare una sgangherata orchestrina sul palco, mezza addormentata, con un pianista, una cantante e un dj sordomuto, ed ecco che in sala piombano a presentare la serata un finto mago con cappello tuba, che sembra Willy Wonka ne La fabbrica di Cioccolato ma con una parlata calabrese pesantemente e propriatamente, e una tòta sbrilluccicosa, caschetto nero, tutta mosse, con una calata della provincia torinese.
È chiaramente un modo per creare convergenza umana, per far sentire chiunque a casa dentro la matrice soggettiva delle imperfezioni. Il mago della Sila e la signora piemunteisa con l’anca sbilenca, di lì a poco, mostreranno i passi base di un ballo da balera. Si parte con la mazurca ma poi verrà il turno del fox-trot, del boogie-woogie, e così avanti, fino ai balli di gruppo, per finire la serata cuore a cuore, come sempre succede in balera, con il lento, quando si arriva stretti a sentire il calore del collo sudato dell’uomo o della donna con cui si è ballato, nel desiderio che cresce, tutta la sera.

Dancing Bruno – ph. Donato Aquaro

Appena terminata la fase in cui vengono mostrati i passi, il pubblico è invitato a varcare la soglia, a scalare il fatidico gradino che porta sul palcoscenico e a muovere i piedi sul tappeto danza: lo spettacolo lo fa anche il pubblico, o almeno, se adesso volessimo passare a un registro analitico un po’ più rigoroso della fruizione spettacolare, entriamo nell’universo del ‘teatro partecipato’, dove però non c’è un “pre” studiato, un già provato. Tutta questa parte che viene vissuta dal e con il pubblico è improvvisata, dentro una struttura a canovaccio che ha avuto un suo rodaggio ampio.

Se infatti guardiamo alla pratica artistica della coreografa Lara Guidetti e di Sanpapiè, troveremo che oltre alle coreografie con una vocazione sempre più urbana, sempre di maggior dialogo con l’elemento architettonico e il contesto in cui vengono pensate e ad alcuni assoli – interpretati in prima persona – e che negli anni hanno visto la coreografa proporre riflessioni sull’universo femminile, si noterà un lungo elenco di interventi in luoghi di aggregazione popolare, per la ripresa e la diffusione del ballo come elemento di integrazione sociale.

Sanpapié è una compagnia di produzione e un progetto che vede un nucleo di 14 persone tra artisti e collaboratori, uniti dall’interesse verso il corpo come strumento principale di comunicazione, impegnati nell’indagarne le possibili pratiche e declinazioni. Dancing Bruno è un primo tassello di un più ampio coinvolgimento di Guidetti a Reggio Emilia con Aterballetto, in qualità di coreografa, nel progetto OVER DANCE di Fondazione nazionale della danza, che prevede diverse azioni e che guarda al tema della longevità come quel processo che inizia con la nostra nascita e termina con la nostra morte, spostando e aprendo la riflessione sull’invecchiamento.
TacaTè, in dialetto emiliano “attacca tu”, è il progetto che la vedrà coinvolta sul territorio a lungo in questo 2023, un viaggio sulla linea del tempo, guardata da entrambe le direzioni, dove due generazioni e due sensibilità si muoveranno insieme scivolando dal ballo popolare all’astrazione senza soluzione di continuità.
Gli esperimenti in questa direzione di coinvolgimento e accessibilità sono partiti a metà del decennio scorso in uno dei luoghi mitici della Milano teatrale: il sovversivo e mai domo Teatro della Contraddizione. Qui Marco Maria Linzi aveva dato libero accesso a Sanpapiè per organizzare insieme il progetto Balerhaus, un nome che voleva giocare con il rimando iconoclasta al Bauhaus, e che vedeva in quelle serate ibride fra liscio e stand-up comedy, Linzi alla regia e Guidetti come comandante di pista. C’era l’orchestra de I Morbidissimi diretta da Ale Kape Sicardi con Nicoletta Bernardi a fare da sirenetta e poi, ad animare a vario titolo la pista e la serata, un gruppo di artisti composto da Saverio Bari, Micaela Brignone, Marco De Meo, Sabrina Faroldi, Marcello Gori, Stefano Slocovich, Cecilia Vecchio e altri.

Il progetto di Teatro della Contraddizione e Sanpapié ebbe un successo travolgente nella Milano che non ha mai fatto pace con il suo voler e poter essere anche popolare oltre che da bere, tanto da uscire dall’underground per arrivare a trasformare in balera persino la sala Fassbinder dell’Elfo Puccini; è poi proseguito con una serie di appuntamenti mensili alla Contraddizione (e non solo). Dancing Bruno nasce chiaramente come sintesi coreografico-creativa di quella esperienza e ha debuttato l’anno scorso a Genova.
Della squadra che fra il 2015 e 2018 ha scombinato la paludata e formale Milano dei teatri, alcuni elementi sono rimasti e altri sono cambiati a seguito della coproduzione con il Teatro della Tosse: il gruppo in scena è adesso composto da Saverio Bari, Caterina Cescotti, Luis Fernando Colombo, Gioele Cosentino, Marco De Meo, Marcello Gori, Susanna Gozzetti, Lara Guidetti, Francesca La Stella, Matteo Sacco, Cecilia Vecchio.
Si cerca per un verso di sistematizzare una forma che gioca fra rivista, cabaret e improvvisazione, andando a rimettere mano a un genere che si è perso nel modificarsi digitale del gusto sociale, dopo aver vissuto per decenni un incredibile fulgore affidato per gran parte al successo della televisione a colori fra gli anni ’70 gli anni ’80 del secolo scorso, anni in cui diversi dei componenti della squadra artistica che ora lo ripropone erano bambini, se non addirittura non ancora nati.
A questo effetto-nostalgia da parte di chi propone il segno artistico, si abbina una volontà transgenerazionale del pubblico, fruitore e destinatario di questo segno, di poter far pace con il codice della danza che, dopo lo sconquasso della contemporaneità che ha  rotto i codici tradizionali del balletto, è diventato forse meno codificato, una pratica formalmente più accogliente e accessibile, ma che nella sostanza resta percepito con difficoltà e diffidenza dei profani, per i quali il linguaggio performativo rimane distante, un universo intellettuale irraggiungibile, con il quale parlare e comunicare diventa complesso.
Dancing Bruno è un evidente tentativo di chi genera il linguaggio macchina, se è possibile che la similitudine digitale valga, di dialogare in modo amichevole con l’utente. È la volontà di creare un’interfaccia del codice della danza come forma spettacolare accessibile, comprensibile, pacificante. L’idea che comunque la pratica vuole rimanere alta, scorre, nello sviluppo drammaturgico, affidando a Saverio Bari una serie di interventi in stile predicatore/reverendo americano, un po’ un James Brown di casa nostra come nei Blues Brothers, tanto che tra i vari inserti e le varie predicazioni di questo prete da ballo, arrivano anche le parole di Martin Luther King: I Have a dream. Ma non manca anche un assolo della Guidetti, di tono più intimista, sulle note di Vincenzina di Jannacci, per dire che la serata ha veramente la composizione del varietà.
Questo è ciò a cui formalmente si assiste visto dal punto di vista dell’analisi dei segni. Ma certamente uno spettacolo così viene visto anche dal pubblico, da quelle che Guidetti, con una trovata interessante che supera con un colpo di genio tutte le questioni relative al linguaggio gender, chiama “Signore Persone”.


Le “signore persone” presenti in sala sono quindi invitate,a irrompere nello spazio del palcoscenico, per ballare, intervallando così sequenze recitate, assoli di danza, altre piccole coreografie e interventi dei performer. Tale ingresso in scena significa che costoro entrano nel recinto dello spettacolo, ne diventano parte attiva, coinvolti, in alcuni casi tirati via dalle poltrone comode per andare a calcare la dance hall, vincendo le timidezze: a pieno titolo diventano, quindi, parte della creazione, che è possibile descrivere in questi termini generali ma che, proprio perché connotata da un elemento di improvvisazione assai rilevante, ogni volta può trovare una forma diversa, perché sono diverse le signore persone che a ogni replica varcheranno la permeabile soglia della quarta parete, entrando nel Dancing Bruno.
Lo spettacolo ha una durata comprensibilmente variabile, dipendente dal clima e dalla capacità del pubblico di interagire. Chi lo governa fa di tutto ovviamente per animare l’evento, rendendolo ironicamente partecipato e popolare, senza barriere. La serata quindi arriva a superare le due ore, che però, specialmente se si alternano i momenti di fruizione ai momenti di partecipazione, scorrono via con grande piacevolezza. Addirittura alla Fonderia, come anche in altri posti, per sostenere il clima da balera, il punto bar resta aperto per tutta la durata dello spettacolo, in modo che chi balla possa andare a ristorarsi, a farsi un bicchiere, come a voler dire che sì, è tutto serio, ma c’è anche la possibilità di fare arte e essere leggeri, di restar seri senza prendersi sul serio, di stare in scena senza dover per forza fare Amleto con il pugno alla fronte.
E la cosa riesce.

 

DANCING BRUNO

ideazione Lara Guidetti, Saverio Bari
con i contributi di Marco De Meo, Marcello Gori, Susanna Gozzetti, Cecilia Vecchio
coreografie e regia Lara Guidetti
testi Saverio Bari
musiche originali e fonica Marcello Gori
musica dal vivo Andrea Vulpani
costumi Daniela De Blasio
con Saverio Bari, Caterina Cescotti, Luis Fernando Colombo, Gioele Cosentino, Marco De Meo, Marcello Gori, Susanna Gozzetti, Lara Guidetti, Francesca La Stella, Matteo Sacco, Cecilia Vecchio
Con la partecipazione degli allievi di DEOS – Danse Ensemble Opera Studio diretta da Giovanni Di Cicco
Coproduzione Sanpapié e Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse