MICHELE WEISS | L’avvertenza, quando si ha a che fare con Kafka, è di mettere in preventivo un deragliamento. Metafora ferroviaria che spiega bene come – più che per altri autori – l’universo narrativo dello scrittore boemo di lingua tedesca sia un pozzo in cui calarsi con un lume che potrebbe spegnersi all’improvviso.
I racconti in particolare illustrano al meglio la battaglia intorno allo stile di Kafka, chiusa a livello mainstream con l’etichetta di “grottesco”. Grottesco sarebbe quindi il mondo di Kafka ai nostri occhi di europei del Terzo millennio, costretti ad approcciarci a quell’epoca perduta con questo lanternino che, al fondo, quasi o nulla rischiara.

Alessandro Gassmann prova a operare un rivolgimento della vulgata kafkiana scegliendo Giorgio Pasotti quale lume per immergersi nel pozzo e rappresentare due suoi racconti meno noti – “Una relazione per un’accademia” e “La tana”, inquadrati con il titolo di “Racconti disumani” – per trarne nuova linfa tramite il teatro.

Il primo racconto vede l’attore interpretare una scimmia umana, vestita con frac porpora e gilet di lustrini, asserragliata su un trespolo su cui troneggia con movenze umane e éclat scimmieschi, nel buio assoluto tranne un faro che illumina poco dall’alto. A parte un leggio, null’altro c’è sulla scena eccetto un separé trasparente tra la scimmia e il pubblico su cui scorrono incombenti videografie sensoriali della giungla, ricordi della vita da scimmia e della cattura, preceduti dai grandi e minacciosi occhi gialli di un gorilla, in apertura di spettacolo.
E dopo essere stati scrutati a fondo dallo sguardo del primate, ecco che la scimmia umana ci sfida gettandosi in un corpo a corpo con il testo e con il pubblico, ovvero l’Accademia.
Pasotti si cimenta abilmente con la postura scimmiesca e con l’eloquio forbito del primate, muovendosi alla distruzione delle categorie dello scibile comune. La scimmia, immaginiamo, è un Socrate che ci sta ricordando come al fondo non sappiamo nulla di noi e della nostra essenza, e che siamo sprofondati in un mistero in cui nessun strumento è utile per fare luce. E per questo, sembra dirci, diventiamo stupidi, violenti, grotteschi…

Il secondo racconto, “La tana”, si basa invece su una scenografia (curata dallo stesso Gassmann) più materica ed estesa benché onirica, issata di traverso sopra il palco e più illuminata rispetto al trespolo della scimmia: è la superficie della tana in cui l’uomo-talpa vive, eternamente minacciato da creature che si presume siano inesistenti. Qui, armato di cuffia e occhiali da aviatore novecentesco e parlando con vezzi dialettali un po’ affettati, racconta il suo andazzo di omuncolo del sottosuolo.
Emergendo ora qua ora là dai buchi, da cui affiora solo a mezzo busto, dà vita a un recit beckettiano a proprio uso e consumo, per capire che la tana in realtà è una prigione, e che fuori c’è qualcosa che potrebbe assomigliare alla libertà. Ancora una volta, trattandosi di Kafka, non è certo che la libertà sia davvero una questione di interno-esterno quanto piuttosto di relazione, quindi la talpa umana, abbandonando il rifugio abbandona anche la solitudine, altra pietra angolare della vita e dell’opera dell’autore praghese.
Se la scimmia umana ci ha saputo inquietare e divertire (quando Kafka leggeva i suoi racconti si dice che il pubblico ridesse a crepapelle) grazie all’interpretazione tesa e misurata, all’adattamento mirato, alla musiche cariche di pathos e anche una regia pulita ed efficace, La tana ha un che di irrisolto: la trovata per la scenografia è originale, però, a lungo andare il dentro e fuori dell’uomo-talpa manca di inventiva.
La regia avrebbe forse dovuto trovare una soluzione per incendiare il racconto, che invece scivola via come le pratiche espiatorie di un peccatore. Racconti disumani è così uno spettacolo in chiaroscuro: a una prima parte tagliente fa da contraltare una seconda che non riesce a premiare le doti camaleontiche del pur dedito interprete, che finisce quasi inghiottito dalla stessa scenografia.
Resta comunque un lavoro ambizioso, da vedere per chi apprezza l’immaginario polifonico e sfuggente di Kafka, tra i simboli inconfondibili dell’epoca mitteleuropea: animato da un universo narrativo alla Hieronimus Bosch e da un’originalità stilistica senza compromessi; ottimo anche per il teatro quindi, ma da maneggiare con cura.

RACCONTI DISUMANI

da Franz Kafka
uno spettacolo di Alessandro Gassmann
con Giorgio Pasotti
adattamento Emanuele Maria Basso
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
light designer Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
aiuto regia Gaia Benassi
sound designer Massimiliano Tettoni
trucco Serena De Pascali
musicisti Aldo De Scalzi synth e chitarra acustica, Pivio synth e percussioni, Luca Cresta piano e fisarmonica, Claudio Pacini synth e percussioni cromatiche, Edmondo Romano clarinetto, Daniele Guerci violino e viola, Arianna Menesini violoncello, Dado Sezzi percussioni
produzione TSA – Teatro Stabile d’Abruzzo / Stefano Francioni

Teatro Franco Parenti, Milano | 7 marzo 2023