GILDA TENTORIO | Fino al 6 aprile sarà in scena al Piccolo Teatro Romeo e Giulietta, battesimo di Mario Martone nello storico teatro milanese, che non aveva mai prodotto la celebre tragedia scespiriana.
Il regista si muove tra fedeltà e apporti originali. Lodevole l’intenzione di presentare il testo nella sua interezza e potenziandone alcuni dettagli. Ad esempio, ricordavate che Romeo uccide per ben due volte e che Verona è assediata dalla peste? E quello splendido monologo di Giulietta, archetipo dei racconti gotici, quando immagina con paura la sua sorte al risveglio nella tomba (Atto IV, scena III)? La sfida è di tenere il pubblico inchiodato alla poltrona per due ore e cinquanta senza intervallo e in effetti il ritmo è calibrato, anche se le corse degli attori in platea sono artifici per stabilire il “contatto” con il pubblico, soprattutto nella prima parte, troppo ripetuti e forse superflui.

ph. Masiar Pasquali

I vestiti moderni (felpe, jeans, sneakers e anfibi per i più giovani) rendono immediato il riferimento all’oggi: Martone sfrutta la “fiaba” di Romeo e Giulietta per parlarci del nostro tempo. Talvolta però i dettagli sono cercati con effetto quasi televisivo: le sirene della polizia quando scoppiano i tafferugli e l’area transennata dopo il finale tragico sotto una pioggia alla Blade Runner; il tampone da effettuare prima di entrare alla festa dei Capuleti; gli amorazzi della zia di Giulietta (che sostituisce la balia) dentro l’automobile abbandonata, con tanto di sospiri e ondeggiamenti, se non fosse stato già abbastanza chiaro… A teatro ci si aspetta l’ambigua poesia dell’allusione e quando tutto invece viene proposto con ostentazione sembra perdere di fascino “teatrale”.

Trenta le presenze in scena, attori di tre generazioni diverse: due giovanissimi protagonisti (Francesco Gheghi, classe 2002 e Anita Serafini, classe 2007) sono energici ma hanno ancora da imparare sul linguaggio e i ritmi del teatro; sciolto e sicuro è Mercuzio (Alessandro Bay Rossi, fresco di Premio Ubu Under 35), nervoso e scattante; vulcanica è la zia di Giulietta (Licia Lanera), a fronte di un’algida madre Capuleti (Lucrezia Guidone); frate Lorenzo (Gabriele Benedetti), che si presenta in camicia scozzese e capelli lunghi, quasi un ex-figlio dei fiori, è pasticcione e timoroso, anche se animato dalle migliori intenzioni. Notevole è la prova del padre Capuleti (Michele Di Mauro), che vediamo ubriaco e viscido, brutale e autoritario, pentito tardivo.

Il taglio che Martone dà alla tragedia è chiaro fin dall’inizio: tutto si gioca intorno a piani contrapposti. Da un lato c’è la lingua (traduzione di Chiara Lagani), rozza e volgare quella degli adulti, poetica e romantica quella dei ragazzi. La battuta di frate Lorenzo: “Ma voi parlate sempre così?”, diretta ai due giovani che si sono appena ritrovati, scatena applausi a scena aperta. E la reazione del pubblico sorprende: si sorride per l’ingenuità del frate – impermeabile agli slanci della poesia – oppure è l’approvazione collettiva di chi ritiene stucchevoli le similitudini e le visioni dei due ragazzi, chiusi nella loro bolla d’amore?

Anita Serafini e Francesco Gheghi – ph.Masiar Pasquali

Ma l’opposizione più lampante si legge nell’architettura degli spazi: sopra una foresta, sotto la palude della mediocrità. Scordatevi quindi palazzi, balconi e ambientazione urbana, che fra l’altro ha ispirato anche tante trasposizioni al cinema (ad esempio Romeo+Giulietta di Baz Luhrman con Leonardo Di Caprio del 1997 e soprattutto l’insuperabile musical West Side Story del 1957). Martone ha chiesto alla scenografa Margherita Palli un impressionante ed enorme albero, che dispiega i suoi grossi rami in orizzontale, con passerelle, scalette, sporgenze e poggioli che disegnano sentieri per scivolare dall’alto al basso. L’effetto è di forte impatto e, dopo aver visto il Barone Rampante, pensi che sì, gli alberi stanno conquistando l’immaginario teatrale: là però la scelta era per l’astratto poetico, qui il (finto) realismo intende attivare la metafora. Sotto, un paesaggio desolato di bidoni, un’auto arrugginita, gomme, relitti di una modernità in disfacimento, simili a quegli anfratti-non luoghi sotto i viadotti delle nostre strade. Spesso i personaggi lo chiamano “campo”, una sorta di terra di nessuno. Sotto ci si azzuffa e si muore, spesso soli; sopra tra le frasche invece si vive nello sfavillio dell’apparenza: gli adulti, pigri e festaioli, sono divisi da un odio atavico di cui nemmeno ricordano i motivi, e la violenza ha già contagiato i ragazzi.

Mercuzio (Alessandro Bay Rossi) – ph. Masiar Pasquali

Giulietta vive prevalentemente in alto, a volte su un ramo separato dall’ipocrisia degli adulti; Romeo è un giovane confuso, capace di scalare l’albero ma anche invischiato nell’odio dell’inferno inferiore. Questa semiotica sopra/sotto è  però ambigua: tra le foglie avviene la “scena del balcone” (che però scorre con poca forza emotiva) e dunque l’amore incontaminato sboccia nella natura. Tuttavia, anche per ragioni tecniche di equilibrio, i due innamorati scendono anche in basso, senza per questo cessare di essere puri. Perché non osare di più e dedicare lo spazio aereo solo ai giovani? Perché creare fra i rami un beach bar per la festa dei Capuleti e “sporcare” così il mondo alternativo e visionario dei ragazzi? Insomma, qual è il legame fra la natura e gli adolescenti? Martone vuole forse strizzare l’occhio ai Fridays for Future e alla nuova sensibilità ecologica dei giovani, allude certamente alla wilderness istintiva e ribelle dei ragazzi.
Forse la presenza dell’albero offriva potenzialità non abbastanza sfruttate, resta un sostegno scenografico imponente ma poco “inserito” nella vicenda. Martone ha dichiarato di essersi ispirato ai dialoghi fra i due amanti, costellati di dettagli naturalistici: notte, alba, sole, luna (momenti del giorno resi dai riusciti effetti di luce), il canto dell’allodola e dell’usignolo. Eppure, nel flusso di quei versi incandescenti, i palpiti poetici non sono pienamente vissuti dai protagonisti. La natura resta sfondo muto alla vicenda tragica.

ROMEO E GIULIETTA

di William Shakespeare
traduzione di Chiara Lagani
adattamento e regia Mario Martone
scene Margherita Palli
costumi Giada Masi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
con Alessandro Bay Rossi, Gabriele Benedetti, Leonardo Castellani, Michele Di Mauro, Raffaele Di Florio, Emanuele Maria Di Stefano, Francesco Gheghi, Jozef Gjura, Lucrezia Guidone, Licia Lanera, Anita Serafini, Benedetto Sicca, Alice Torriani
e con Leonardo Arena, Giuseppe Benvegna, Francesco Chiapperini, Carmelo Crisafulli, Giacomo Gagliardini, Hagiar Ibrahim, Francesco Nigrelli, Libero Renzi, Federico Rubino
allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano Clara Bortolotti, Giada Francesca Ciabini, Ion Donà, Cecilia Fabris, Sofia Amber Redway, Caterina Sanvi, Edoardo Sabato, Simone Severini.
Produzione Piccolo Teatro di Milano

Piccolo Teatro Strehler, Milano – 4 marzo 2023