CHIARA AMATO | Il monologo del drammaturgo Doug Wright, vincitore del Premio Pulizter e del Tony Award nei primi anni Duemila, è stato riproposto in questi giorni all’Elfo Puccini di Milano: l’idea del testo di Io sono mia moglie, nasce dal successo che, nel 1995, ebbe la biografia di Charlotte Von Mahlsdor.
Charlotte, all’anagrafe Lothar Berfelde, è stata un’icona trans nella Germania del Novecento, caratterizzata da una vita molto complessa che viene raccontata in chiave di rispetto documentaristico, nello spettacolo diretto e interpretato da Michele Di Giacomo.
Unico attore in scena, Di Giacomo riattraversa quello che è stato il raccontarsi di Charlotte a Wright, che per anni ha lavorato per la realizzazione di questo testo, e che debuttò a teatro solo nel 2002 a Broadway e negli Stati Uniti.
Il regista, formatosi alla Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, dopo aver collaborato per anni con ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, nel 2015 fonda a Cesena la Compagnia ALCHEMICO TRE, con la quale realizza progetti di formazione teatrale per le scuole. Solo di recente, nel 2022, diventa il nuovo direttore artistico di Lecite/Visioni, il festival LGBTQIA+ ideato e promosso dal Teatro Filodrammatici di Milano, che a maggio arriva alla sua 10° edizione.
Confessa di essere stato in realtà scelto da questa storia, entrata nel suo percorso un pò per caso, e di essersi occupato personalmente della traduzione del testo.

La scena, ideata da Riccardo Canali e realizzata da Mulinarte, è contornata da un telo dalle tinte molto chiare e decine di scatole di scarpe accatastate: al centro e sul lato, inizialmente, oggetti coperti da lenzuola, come a voler mantenere il mistero, per poi aprire il vaso di Pandora su un racconto, che ci verrà svelato; sul lato destro un telefono scuro. Mentre si accede in sala una musica tedesca, da terzo Reich, ci immerge nella Storia, quella con la S maiuscola, in cui è ambientata la vicenda.

In scena Di Giacomo diventa Wright, attraverso le interviste che il drammaturgo americano aveva fatto a Charlotte.
Così, parola dopo parola, sappiamo del parricidio in adolescenza, del rapporto con la zia e della passione per quel periodo storico di fine ‘800, detto Gründerzeit, che aveva visto lo sviluppo della borghesia e, sul fronte estetico, segnò il trionfo del neobarocco, neogotico, neorinascimentale attraverso l’imitazione e l’assimilazione di forme espressive precedenti.
La nostra eroina parla, da vera innamorata, di questi oggetti di antiquariato che custodisce, ritrovati nelle vecchie case bombardate (‘io diventavo le loro cose’), e da questa collezione nacque nel 1959 il Gründerzeitmuseum, ospitato nella vecchia casa padronale di Mahlsdorf. Nei primi anni Settanta il museo divenne poi anche luogo di ritrovo della cultura gay underground di Berlino est.

Interessante come viene presentato un passaggio chiave della vita turbolenta di Charlotte, diventata icona femminile di libertà, viene aggredita da neonazisti omofobi, nella sua casa museo: dai racconti, infatti, emerge che aveva avuto rapporti con la Stasi, come spia. Interessante proprio la delicatezza con cui questo personaggio entra, in punta di piedi, e dal palco alla platea, non ci interessa nulla di quale sia la realtà e dove invece siamo stati ammaliati dalle sue parole: non cambia il sentimento di accoglienza che sentiamo rivolgerle.
Questa è una parabola di libertà e di contraddizioni, come tutto il Novecento e non a caso sul finale il testo dice ‘non metto correzioni ai mobili, devono avere il sapore della vita (…) le vite sono anche imperfette (…) se stai in mezzo ai leoni devi saper imparare ad ululare’.

Lei è libera: di dichiararsi un “travestito” dagli abiti casti e un filo di perle, di fracassare il cranio paterno per difesa, di non arruolarsi nell’esercito, di gestire con sarcasmo la gogna televisiva e di dichiarare a squarciagola alla madre ‘Io sono mia moglie’.

In scena due grandi protagonisti che cambiano di continuo: le luci e Di Giacomo. Le prime, ideate da Valentina Montali, che si colorano di tinte blu/viola nei momenti in cui è sotto assedio dei pennivendoli, mentre diventano calde e morbide quando parla dei suoi amati elementi di arredo, dei dialoghi con la zia Louise sulla naturalezza della condizione trans e del amore Alfred.
Sull’interpretazione si percepiscono in modo distinto l’empatia per la vicenda, la tanta dedizione alla resa, il lavoro di dettaglio e di ascolto: ogni movimento del corpo e delle mani e ogni variazione del timbro di voce fanno conoscere ed entrare in contatto con una persona diversa, una per ciascuna di quelle che hanno attraversato le parole e l’esistenza di Charlotte. Non poche: l’attore/regista ci presenta oltre venti personaggi, risultato ognuno della propria epoca e del proprio percorso, riuscendo ad avere rispetto e mai giudizio, sentendo attraverso di lei; e questo traspare in maniera netta, in quella complicatissima ricerca di equilibrio fra le identità personali e il disperato tentativo di provare a sopravvivere al nazismo prima e la DDR dopo.
Una grande prova d’attore.

 

Io sono mia moglie

di Doug Wright
tradotto, diretto e interpretato da Michele Di Giacomo
scene Riccardo Canali
luci Valentina Montali
suono Marco Mantovani
assistente alla regia Iacopo Gardelli
direttore tecnico Massimo Gianaroli
capo elettricista Valentina Montali
fonico Marco Mantovani
scene realizzate da Mulinarte
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
si ringraziano Musicalia – Museo di Musica Meccanica di Villa Silvia – Carducci per la concessione degli strumenti per la registrazione sonora e Silvia Masotti per la collaborazione alla traduzione

Milano, 13 marzo 2023, Teatro Elfo Puccini