SARA PERNIOLA | Lo spazio pubblico, il politico, il corpo e l’autorità: sono queste le parole chiave su cui si sviluppa FUORI! Festival, dal 6 all’11 giugno negli spazi urbani di Bologna, promosso dal Comune di Bologna e realizzato da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Attraverso le voci dellз giovani, le vie e le piazze della città sono animate da performance, azioni pubbliche, talk e installazioni, portando avanti una potente riflessione sui temi caldi dell’attualità. Il ricco calendario del festival comprende i lavori di Carolina Bianchi Y Cara de Cavalo, Bluemotion / Giorgina Pi, F. De Isabella, Samara Hersch, Mammalian Diving Reflex, Rory Pilgrim, Anna Rispoli; interventi pubblici curati dal collettivo CHEAP street poster art e incontri con il regista Marco Martinelli, lз curatrici artisticз Marta Keil e Alexander Roberts e il sociologo Stefano Laffi insieme allз giovani partecipanti ai progetti.

Abbiamo intervistato la curatrice del festival, Silvia Bottiroli, per comprendere meglio la drammaturgia del programma e le preziose idee che lo attraversano.

‘FUORI! Festival’ è la risultante di un progetto sperimentale dedicato allз adolescenti della città di Bologna: puoi raccontarci come e da dove nasce l’idea di questo percorso, la quale, poi, si è declinata nella forma del festival? 

Il progetto nasce da un invito del Comune di Bologna a ERT a sviluppare – dentro il piano di un percorso più ampio – un programma rivolto ad adolescenti della Città Metropolitana, avendo fiducia in un welfare culturale che potesse incentivare i processi artistici, nel considerarli preziosi strumenti dal grande impatto positivo per le vite delle giovani generazioni, soprattutto dopo la pandemia. Il punto di partenza è stato il concetto di creazione partecipata, il quale si è strutturato seguendo una precisa metodologia, ovvero: l’incontro diretto tra le artiste e gli artisti, i ragazzi e le ragazze – fatta eccezione per la relazione che abbiamo voluto costruire con CHEAP, che ha accompagnato l’intero arco progettuale curando azioni e interventi nello spazio pubblico -, così che da questo potesse scaturire un’incandescenza, una temperatura interessante, capace di disegnare i contorni della pratica artistica; e poi la volontà di presentare artist3 internazionali per la prima volta in Italia, e riportare a Bologna artist3 che con la città hanno già un rapporto, che in questa occasione si intensifica. Il loro incrocio – e quindi i lavori che ne sono conseguiti – con artist3, individui e soggetti collettivi che, invece, sono presenti qui, si è costruito su uno scambio basato su affinità, interessi di ricerca, questioni di sensibilità. Il tutto ha voluto, quindi, rispettare anche il senso della sostenibilità – sia da un punto di vista ambientale sia sociale -, che ha assunto la forma del festival, poiché è cruciale rivendicare ciò che si è creato come elaborazioni artistiche e sistemi di conversazioni, e non semplici esiti di processi.

Quanto pensi che le ragazze e i ragazzi si interessino a tematiche come la disforia, la riappropriazione e transgenderizzazione dello spazio pubblico, la cultura, e che la loro partecipazione e le loro idee possano fare la differenza, contribuendo davvero a destrutturare un mondo che si basa molto spesso su limiti, contraddizioni e binarismi? Sulla base di questo, il festival è stato ideato dal principio pensando a loro o ha regalato spiragli nuovi su cui lavorare in itinere, sorprendendovi? 

Abbiamo individuato all’inizio una mappa relativa alle questioni sulle quali volevamo lavorare, sintetizzate in quattro parole: lo spazio pubblico, le politiche del corpo – e quindi anche tutto ciò che riguarda l’identità, l’affettività e la sessualità, senza dimenticare questioni legate ad abilità ed etnia -, la dimensione del politico e il concetto di autorità. Su quest’ultimo punto, in particolare, mi preme richiamare l’accezione che dà di questo termine la filosofa femminista Luisa Muraro, definendola come una relazione reciproca che permette a entrambi i soggetti in gioco di “essere potenti senza i mezzi del potere”. Una relazione costruttiva quindi, distantissima dall’autoritarismo, che riconosce le reciproche vulnerabilità e mette in atto pratiche di cura. Lз ragazzз di certo si interessano a dei temi che per loro sono centrali – come l’identità di genere o il cambiamento climatico – e su cui ci siamo molto interrogatз, ma abbiamo voluto agire anche su questioni complesse e apparentemente più specifiche come la violenza di genere, una questione imperante, peraltro, anche in ragione della cronaca di questi giorni. Il focus di tutto il progetto è comunque quello di presentare creazioni che possano mettere in relazione delle istanze diverse e vederle interdipendenti, ed è stato interessante notare come, in base alla fascia d’età, gli adolescenti abbiano reagito in maniera diversa in relazione a tematiche e spettacoli. Lз più giovani, ad esempio, si sono sentiti profondamente accolti dalle performance Body of Knowledge di Samara Hersch e Nightwalks with Teenagers di Mammalian Diving Reflex; mentre lз più grandi hanno recepito con grande sensibilità lavori come Lucciole. Pratiche di esistenze, malgrado tutto di Bluemotion / Giorgina Pi o Percurso di Carolina Bianchi Y Cara de Cavalo. 

ph. Mayra Azzi

Cosa ti ha provocato, da un punto di vista sia pratico sia emotivo, entrare così profondamente in contatto con gli universi delle giovani generazioni? C’è uno spettacolo a cui ti senti particolarmente legata?

Sono naturalmente legata a ciascun progetto, per ragioni specifiche. I percorsi che mi hanno probabilmente trasformata di più sono Attrito di Anna Rispoli, Lucciole. Pratiche di esistenze, malgrado tutto e Percurso per il forte rapporto di fiducia e condivisione con le artiste, che hanno accettato l’invito a compiere insieme a noi, per FUORI!, un vero e proprio salto nel buio, con modalità operative anche molto diverse tra loro. Nel caso di Giorgina Pi, ad esempio, c’era alle spalle un immaginario molto consolidato, strutturato e potente; Carolina Bianchi, invece, porta avanti da diversi anni una ricerca straordinaria, con i mezzi del teatro, sulle forme e le pratiche della violenza di genere, e in occasione di FUORI! l’ha messa in relazione con la pratica dello spazio pubblico. Ad Anna Rispoli, infine, abbiamo fatto un invito che partiva da una questione: insieme abbiamo avuto l’intuizione di come il concetto di attrito, visto come conflitto dalla forza generativa e costruttiva, potesse essere uno strumento necessario per interrogarsi sul rapporto tra spazi istituzionali e diverse dimensioni del dissenso urbano. Si intrecciano, così, i racconti di protagonistɜ e testimoni di occupazioni abitative e scolastiche, nonché degli spazi non addomesticati della città, al fine di prefigurare una possibile alleanza tra generazioni, valorizzando anche alcune questioni che sono incarnate a Bologna in modo particolare e rendono visibile una rete intensa di realtà e gruppi che agisce su questi temi da tempo e in maniera costante. Uno dei nostri desideri era, infatti, quello di portare all’interno di questa ricchezza storica le giovani generazioni e lз attivistɜ di sempre, tenendo presente che, come ci ricorda la Lettera allɜ nuovɜ attivistɜ di Paul Preciado, il nuovo attivismo non ha niente a che fare con l’età anagrafica, ma è costituito di una serie di pratiche transindividuali e post-identitarie: è così che si determinano un travaso e un intreccio di conoscenze e si cambia qualcosa. 

Estrapolando una frase dal dossier, ti chiedo questo: di quali saperi ribelli avremmo bisogno nel collasso che ci attende?

Proprio Anna Rispoli, che ha formulato per FUORI! quella domanda, ci ricorda anche che, citando Isabelle Stengers, “soli” non è una strategia, ma una parte del problema. È piuttosto nelle forme di  slancio collettivo e nell’energia e nel piacere che ne conseguono che possiamo trovare senso per fronteggiare il collasso e costruire immaginari, relazioni e storie. Soprattutto in questo momento, la gioia e il piacere sono pratiche ribelli importanti che non si dovrebbero disgiungere dalla lotta e dalla capacità di lettura critica di realtà complesse, a nutrire quella che Preciado chiama “felicità politica” e che illumina tutto il discorso di Lucciole, anche attraverso le parole di Kae Tempest. La ricerca di Carolina Bianchi, non solo in Percurso, ma anche nel suo progetto teatrale più ambizioso, Cadela Força, mette al centro un altro sapere ribelle, quello liberatorio del rovesciamento, in questo caso attraverso la riappropriazione di una violenza subita sistematicamente. Un approccio che rifiuta di stare nelle posizioni assegnate di vittima e carnefice, ma scompiglia costantemente i confini e ribalta le frontiere, silenziando i luoghi comuni e stimolando nuove riflessioni.