RENZO FRANCABANDERA | Sicuramente Velia Papa (alla direzione artistica di Marche Teatro da molti anni) è fra le poche figure rimaste nel sistema teatrale italiano con uno sguardo internazionale, animato da una curiosità libera che la porta ancora oggi, dopo tanti anni di progettualità a livello europeo, a girare per i maggiori festival internazionali, facendo scouting di talenti e di visioni da proporre poi in Italia nelle Marche e non solo.
Da sempre il festival estivo Inteatro, che si svolge nella storica sede del borgo di Polverigi a pochi Km da Ancona, è il luogo in cui alcune di queste proposte vengono offerte agli spettatori, per stimolarli a riflessioni sui grandi temi della contemporaneità, o per far conoscere loro artisti dalla cifra creativa particolare.
È il caso, in questa edizione del festival, di Nathan Ellis e di una delle sue creazioni recenti di maggior successo, nata nel 2019 e intitolata work.txt, prodotta ora da Marche Teatro per la versione italiana e che dopo le date di Inteatro Festival il 17 e 18 giugno sarà in scena a Milano il 23 giugno alla Fondazione Feltrinelli. Si tratta di uno spettacolo senza attori, incentrato sulle tematiche dell’automazione nel lavoro e della cultura dell’essere sempre al lavoro, della gig economy e del lavoro spazzatura.

Abbiamo avuto modo di rivolgere alcune domande all’artista, sceneggiatore e drammaturgo, coinvolto da alcuni anni ormai nei maggiori progetti europei sulla scrittura per la scena, e membro del BBC Writersroom Drama Room.

Nathan, questo è uno spettacolo sull’avvento nel campo lavorativo dell’intelligenza artificiale, ma prima di tutto, forse, uno spettacolo sui dilemmi morali che l’umanità dovrà affrontare. Come è nata l’idea?

Questa è una grande provocazione. Ero interessato ad andare oltre il semplice domandarmi se il fatto che i robot  prendano il nostro posto di lavoro sia una brutta cosa, per cercare di capire perché siamo così disperati nell’affaticarci a salvare un lavoro che sembra subumano. In definitiva, se una macchina può fare il tuo lavoro meglio di te, la scelta morale sarebbe sicuramente quella di lasciarlo alle macchine, no?

Come e quando la tecnologia è entrata nel tuo processo creativo e cosa ha implicato?

La domanda all’inizio dell’idea era “dove si svolge il lavoro se non ci sono attori?” – questo si riferiva all’idea di una fabbrica senza dipendenti, dove si svolge il lavoro? L’intero spettacolo è emerso da quella domanda.

Da tempo nel teatro partecipativo l’attore è stato sostituito dallo spettatore che perde il suo ruolo di osservatore, per diventare elemento attivo della rappresentazione. Secondo alcuni studiosi c’è quasi una deriva partecipativa nella performance contemporanea. Cosa ne pensi?

Penso che la deriva partecipativa abbia molto più a che fare con una sorta di cinismo nei confronti dei meccanismi del teatro – molto teatro è piuttosto raccapricciante – seduti in una stanza a guardare in silenzio persone che fingono di essere altre persone. Mi chiedo un po’ se rientra nel desiderio di trovare modi in cui il teatro possa essere diverso dalla televisione e dal cinema: da questo punto di vista la partecipazione sembrerebbe essere una risposta a questo problema. Immagino che anche i meccanismi di Internet – tu che sei il centro della rete – abbiano qualcosa a che fare con questo.

Pensi che sarà una convivenza pacifica tra umani e macchine? Sei più vicino alle teorie dell’età delle macchine spirituali o pensi che ci saranno conflitti e sofferenze?

Penso purtroppo che le macchine siano programmate sul capitalismo e tutto ciò che sappiamo del processo del capitalismo è che morde la mano che lo nutre. Non c’è nulla di malvagio nelle macchine, ma quando tutto l’ingegno umano è diretto a convincere le persone a fissare gli schermi e comprare cose di cui non hanno bisogno e trattare le persone con scortesia e diffidenza, è difficile non pensare che le macchine facciano parte della struttura che ci sta distruggendo.

Come si lavora con l’intelligenza artificiale? Pensi che dovremmo averne paura? E soprattutto, ha bisogno di essere controllata? E se sì, da chi?

Non c’è alcuna vera intelligenza artificiale in questo spettacolo: è tutto abbastanza meccanicamente umano. Penso che probabilmente sia molto al di sopra della mia grado di responsabilità e salario rispondere a chi dovrebbe controllare l’intelligenza artificiale – faccio solo teatro io – ma, mio Dio, spero che ci sia qualcuno più qualificato a pensarci!