LEONARDO DELFANTI | L’ultima giornata di Opera Prima, festival giunto alla sua XIX edizione nel segno delle generazioni che mutano e si confrontano, si è sviluppata nella verticalità del dramma umano e nella sua ultima sublimazione, aggiungendo poi a queste tematiche alcune note ulteriori con la creazione scenica di Qui e Ora, realizzata in collaborazione con Sosta Palmizi e il concerto Silfur, del pianista e compositore americano Dustin O’Halloran, che con la sua musica celestiale è riuscito a incantare il pubblico in un concerto gratuito presso i Giardini due Torri.

Indagando sul ruolo delle liste nella nostra vita contemporanea, il collettivo al femminile Qui e Ora, sempre alla ricerca di un confronto aperto con i grandi nomi della scena nazionale e non, ha elaborato Vertigine della lista assieme al danzatore  Giorgio Rossi un mondo allucinatorio in cui poetica e burocrazia si mischiano, non sempre coerentemente, sulla falsa riga dell’opera omonima di Umberto Eco.

A portarci nelle profondità sono due lavori dedicati, l’uno Still Alive di Caterina Marino, sulla lotta contro la depressione, la cui recensione è già stata da noi proposta. L’altro, prodotto dalla realtà artistica bellunese Slowmachine, su un conflitto tra i più vicini e i meno raccontati della recente storia contemporanea.

Il concerto di Dustin O’Halloran – Ph: Loris Slaviero

A pochi metri dai Giardini due Torri, presso il monumento a Giacomo Matteotti, si sono aperte le porte di Al-Jahim/Inferno ideato dal regista italo-indiano Rajeev Badhan per un piccolo gruppo di spettatori. Pensato inizialmente come un site-specifc per l’archivio storico di Feltre, già prigione in epoca rinascimentale, lo spettacolo vuole, nei limiti dell’umana comprensione e della sicurezza del pubblico, mostrare cosa si vive in una prigione libica oggi.

Il progetto sull’immigrazione è nato inizialmente con una installazione video sulla condizione dell’immigrazione tratta della storia familiare del regista; il lavoro ha poi trovato una sua autonomia poetica datasi grazie alla vittoria del bando MigrArti 2017 di SlowMachine, che  ha permesso il progetto e spettacolo HOME, operazione successivamente proseguita nel progetto/laboratorio di community arts PICCOLE PRATICHE DI RESISTENZA CIVILE in collaborazione con il Comune di Feltre, per poi concentrarsi sulla tematica della reclusione libica e trovare una sua autonomia poetica in un progetto site-specific realizzato con la coproduzione di Operaestate Festival Veneto. Scrittura, analisi antropologica e arte immersiva si sono fuse per superare la dimensione della storia individuale e abbracciare il percorso di vita delle migliaia di ragazzi che quotidianamente ci ricordano il dramma umano libico, tutt’ora in corso grazie alle politiche spesso incoerenti dei diversi stati europei.

La questione libica, che mai il regista aveva deciso di trattare nello specifico è diventata via via più urgente grazie alla collaborazione con l’associazione musulmana Insieme Per Il Bene Comune di Belluno. Lì Rajeev ha incontrato i giovani musulmani che gli hanno parlato dell’”inferno libico”, espressione divenuta tristemente celebre sui media. Sempre lì, ricerca, analisi e condivisione si sono incontrate per dare vita a un’opera di comunità sfruttando il percorso personale di Ousmane Dembelé, sopravvissuto alla tratta umana, arricchendolo di elementi grafici e video, da lui stessi suggeriti nel processo di scrittura.

Il nostro Virgilio di appena vent’anni ci introduce alla sua vicenda raccontandoci, in una camminata per le mura del castello di Rovigo, di un padre-padrone che usurpa la prima moglie, la sua mamma, in favore della moglie più bella, quella da mostrare. Lui nulla può fare, lui nulla può accettare. E allora parte, lascia Kati, una cittadina a pochi chilometri da Bamako, capitale del Mali, per un futuro migliore.

Ben presto, si ritrova in Algeria, dove non trova lavoro, non trova trasporto e sembrerebbe, nemmeno un futuro. Tutto cambia quando decide di entrare illegalmente in Libia, dove i barconi per l’Europa ancora partono. Tuttavia, nel momento stesso in cui Osman attraversa il confine, perde il controllo del suo destino. Incappucciato e ammanettato si ritrova a Tripoli, privato della sua carta di identità, dei suoi vestiti e dei suoi averi. Per prima cosa viene obbligato a telefonare a casa e farsi inviare altro denaro. Derubato e gabbato viene poi abbandonato in una delle tante prigioni gestite dalle bande armate che si sono divise il controllo della città.

L’esperienza del carcere libico che unisce il suo ad altri destini umani trova dunque il minimo comune denominatore fra queste esistenze nell’annichilimento della libertà.  È mai stato possibile per Dante evitare la discesa nell’Inferno? Possono forse le migliaia di uomini e donne forzati a viverlo nella speranza di un futuro migliore, evitarlo?

Queste le domande che rimbombano dentro di noi quando entriamo nei sotterranei dell’ormai diroccato castello di Rovigo, creato per volontà papale come bastione contro le invasioni ungheresi. Qui, Osman ci lascia e sono due aguzzini vestiti da militari a darci il benvenuto. Tutto procede per ordini secchi: allinearsi su due righe, guardare davanti a sé, lasciare una stanza per andare nell’altra fino all’uscita: uno alla volta; dopo più di venti minuti in penombra, ci viene sparata la luce in faccia. Nulla di insostenibile e men che meno umiliante: nulla di accettabile se non si vivesse nella finzione teatrale.

Qui, nelle umide segrete e sotto lo sguardo impenetrabile di una guardia sempre dritta, la voce di Osman ci parla della vita in prigione: rituali, paure e colpi di fortuna che, sfibrando il suo senso di appartenenza al genere umano, ne hanno preservato l’esistenza. I video animati ci parlano di un uomo che impara a non guardare, a non pensare, ben comprendendo che mostrare intelligenza è il modo più semplice per finire ammazzati.

Non per tutti però, sono sufficienti queste precauzioni. Per esempio, si potrebbe essere selezionati per una sessione di tortura. “Tu, tu e tu” verrebbero quindi strappati ai loro compagni galeotti e condannati all’obliquità nel pieno della notte. Mentre passiamo da una stanza all’altra sembra impossibile che Osman sia sopravvissuto, semplicemente perché tale sistema non sembra avere una logica, una forma razionale tale per cui sia possibile navigarlo e uscirne. Siamo noi stessi prigionieri bloccati e senza speranza.

Solo all’ultimo, dopo che la voce di Viola Castellano, ricercatrice presso le università di Bayreuth e Bologna e già collaboratrice di Thomas Saraceno, ci racconta di come tale aberrazione dell’umanità sia voluta e finanziata dalle nostre democrazie occidentali che intimorite da una stima di 200 milioni di profughi climatici alle nostre coste entro il 2050 hanno messo a punto un sistema finanziario “per affrontare le cause profonde dell’immigrazione irregolare” chiamato Trust Found, Osman ci svela la via di fuga.

Ph: Loris Slaviero

Un vecchio signore giunge in prigione e in un colloquio molto frettoloso il giovane gli dice di intercedere per la sua liberazione in nome della sua famiglia. Lui è stato mandato per liberarlo dall’Inferno. Una volta fuori il benefattore si mostra per quel che è, un piccolo proprietario terriero alla ricerca di manodopera a buon mercato: Osman è stato comprato per coltivare la terra libica. Non ha diritti e se mai scapperà, verrà reinserito in prigione. Solo il tempo gli è stato clemente: alla fine il signore lo lascerà libero di affrontare la sfida finale che nel solo 2022 ha inghiottito più di sei persone al giorno di media, il Mediterraneo.

Per noi spettatori, la via di fuga è ben più semplice: a uno a uno siamo staccati dal nostro gruppo e portati in un’ennesima altra stanza. Seduti davanti a una scrivania cui siede l’ennesimo ufficiale che invece di proteggerci, ci annienta: diamo nominativo e nazionalità. È la fine: la mia richiesta di asilo è stata respinta. Sono ufficialmente apolide.

AL-JAHIM / INFERNO

ideazione e regia Rajeev Badhan
con Ousmane Dembelé, Lucky Diakpombere, Rufus Omokaro
co-scrittura Rajeev Badhan, Ousmane Dembelé, Viola Castellano, Lucky Diakpombere, Rufus Omokaro
animazioni Emanuele Kabu – assistente alla regia Elisa Calabrese
registrazioni, editing audio e video Rajeev Badhan
consulenza scientifica Viola Castellano
produzione SlowMachine, Operaestate Festival