SARA PERNIOLA | Società dei consumi ed erosione dei presupposti fondamentali del vivere: in quest’epoca è sempre più evidente il loro intreccio, lascito indesiderato (forse) del nostro complesso progetto di civiltà. Figlia della società del benessere è di certo la tecnologia, sempre più pervasiva e stratificata; molto spesso feroce belva capace di depredare tutte le nostre risorse, materiali ed emotive. D’altronde, ciò ha senso dal punto di vista delle strategie di organizzazione e contenimento razionale del mondo, dal momento che, senza di esse, si teme di sprofondare nella regione oscura del caos. 

La compagnia faentina Menoventi con lo spettacolo Odradek – con la regia di Gianni Farina e il cui debutto è avvenuto il 15 giugno scorso in occasione del Ravenna Festival – fa proprio questo: investiga con raffinatezza giocosa la sottrazione attuata dalla società di produzione nei confronti di forme più pure di bellezza naturale, impoverendo anche le nostre capacità umane di immaginazione e progettazione.
Se nel racconto Il cruccio del padre di famiglia di Franz Kakfa l’Odradek è un personaggio immaginario e dalla forma priva di senso, qui è, invece, una multinazionale del
delivery che simboleggia le esistenze vetrinizzate e la crescita economica continua di alcuni settori, la produzione sempre più ingente di scorie e la perdita del contatto vernacolare con i fondamenti della Terra. Addirittura è in grado di fare ottenere oggetti ancora prima di capire se li si desidera davvero o se siano necessari. Un mondo distopico che può ricondurre all’ipertrofia tecnologica rappresentata dalla serie televisiva Black Mirror con, ad esempio, le cyclette che alimentano ciò che sta attorno e per far ottenere una valuta chiamata Merito per personalizzare il proprio Avatar; o al film Her – premio Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale nel 2014 con la regia di Spike Jonze – che narra di come un nuovo sistema operativo basato su intelligenza artificiale riesca a provare forti sentimenti come l’amore e a gestire emozioni.

ph. Marco Parollo

Il sipario si apre e la scena simula l’ingresso e il salotto dell’appartamento di M – la protagonista dello spettacolo, magistralmente interpretata da Consuelo Battiston, deliziosa in un morbido abito bianco longuette -, riempito da oggetti apparentemente normali, ma che, in realtà, celano una natura misteriosa, come se agissero autonomamente, perché dotati di autocoscienza. Il divano, rosso e dalla forma essenziale, infatti, per adempiere completamente alla sua funzione di accoglienza, inghiotte completamente M, una volta tornata da lavoro e intenzionata a godere di un po’ di riposo; o, ancora, la lampada difettosa diventa parlante (con la voce di Chiara Lagani), rivendicando la propria insostituibilità in un mondo che rende velocemente rifiuti tecnologici prodotti un tempo scintillanti e altamente performanti. I bicchieri, poi, si rompono improvvisamente, terminando così il loro ciclo vitale e bisognosi di essere sostituiti; e A  –  la migliore amica di M, nonché un programma vocale – le consiglia addirittura di ordinare un uomo da Odradek.
Quello che accade, insomma, è una ripetizione di scene e dialoghi – modus operandi molto caro e sempre vincente di Menoventi – di una realtà domestica assurda e parossistica, scaturite dall’incontro tra la protagonista e il fattorino Q della multinazionale – l’elegante e centrato Francesco Pennacchia. Gli oggetti – non ancora acquistati, ma incredibilmente corrispondenti ai desideri inespressi di M, vengono portati in casa ogni volta da Q dentro alcune scatole e i due, nel corso della narrazione, diventano sempre più intimi. Sguardi romantici e conversazioni di corteggiamento ispessiscono il loro rapporto, facendo dimenticare l’implacabile rumore della televisione ed entrando in una dimensione spazio-temporale in cui i due protagonisti, alla fine, alzano gli occhi verso le stelle: è così che riescono a provare emozioni pure e il vibrante fascino della seduzione per ciò che si desidera davvero. 

ph. Marco Parollo

Le pareti rosse e azzurre delimitano lo spazio in cui si svolge la scena e dove si alternano squisiti trucchi di magia, come lo stesso Q che fuoriesce da uno scatolone, rivelandosi proprio l’uomo che A aveva consigliato di ordinare a M; o la cornice di una foto di M bambina che, allo schiocco delle dita, cambia colore. Scelte registiche che puntano all’autoironia, dunque, permettendo al pubblico di empatizzare di fronte ad azioni che possiedono un certo grado di riconoscibilità, immerse in un’atmosfera surreale di stile kafkiano.
“Il nuovo modello” di cui parlano sempre pubblicità e réclame, invitando a disfarsi di prodotti antiquati, incide non soltanto a livello simbolico o tecnico, ma anche e soprattutto su quello emotivo. Fa dimenticare che ci sono elementi più semplici e umani su cui si fonda il progresso e che desiderare e ottenere oggetti materiali, d’altronde, non fa altro che alimentare un’operazione comune: rimuovere, interrare, far sparire dall’orizzonte percettivo e dalla coscienza ogni traccia di disordine. Sia concretamente – poiché l’oggetto sta lì, altero ed esteticamente performante sul tavolino d’ingresso del nostro salotto – sia interiormente, coprendo ciò che è sepolto, invisibile, senza permettere il ritorno del rimosso o di desideri davvero sinceri.

Una nota di merito va anche alle musiche e al sound design di Andrea Gianessi, alle scene di Andrea Montesi e Gianni Farina, e ai costumi di Consuelo Battiston ed Elisa Alberghi: riescono a demistificare i meccanismi della rappresentazione, contribuendo a portare alla luce un teatro che scrive con la realtà, assumendo i linguaggi del presente nel recupero anche di stilemi dal passato.                                                                          Odradek è, infine, uno spettacolo necessario e lucidamente sarcastico, che porta a riflettere su quanto ci sia bisogno di uscire dalla regione oscura del caos cui condanniamo i resti dei nostri consumi irresponsabili, «dove», come direbbe il sociologo Baudrillard, «invece del latte e del miele, scorrono le onde del neon sul ketchup e sulla plastica».

ph. Marco Parollo

ODRADEK 

da un’idea di Consuelo BattistonGianni Farina
con Consuelo Battiston e Francesco Pennacchia
drammaturgia, regia e luci Gianni Farina                                                                      musiche e sound design Andrea Gianessi
scene Andrea Montesi, Gianni Farina
con la consulenza di Enrico Isola e Daniele Torcellini
costumi Consuelo Battiston, Elisa Alberghi
grafica Tania Zoffoli
voci Tamara Balducci, Leonardo Bianconi, Maria Donnoli, Chiara Lagani
organizzazione Maria Donnoli, Marco Molduzzi
comunicazione e promozione Maria Donnoli
amministrazione Marco Molduzzi, Stefano Toma                                                    produzione Menoventi / E Production, Ravenna Festival, Accademia Perduta Romagna Teatri, Operaestate Festival Veneto/CSC
in collaborazione con Masque Teatro

15 giugno, Teatro Rasi, Ravenna