RENZO FRANCABANDERA | È stranissimo nello stesso festival vedere danzare gente di ottant’anni e giovani adolescenti. La sezione B.motion di Operaestate festival a Bassano del Grappa da anni persegue invece una strategia inclusiva che comprende artisti e cittadini all’interno di progetti specifici dedicati al welfare culturale, oltre che alla poetica creativa, con l’obiettivo di sostenere i giovani artisti della scena indipendente italiana e internazionale.

Lo scorso weekend è stato esemplare da questo punto di vista a partire dalla creazione con un gruppo di giovani teenager affidati alla coreografa bolognese Simona Bertozzi, per passare ai cittadini che hanno aderito al progetto Dance Well, da anni una delle punte della progettualità europea di welfare culturale, un’esperienza di inclusione attraverso il codice della danza di cittadini e cittadine affette anche da problematiche di salute come il morbo di Alzheimer.
Per quanto riguarda quest’ultimo progetto, ogni anno il festival decide di affidare a un giovane coreografo internazionale il lavoro con i partecipanti e quest’anno è toccato alla norvegese Mia Habib, che negli ultimi anni ha portato a livello internazionale una serie di esperienze di creatività sociale coinvolgendo popolazioni molto diverse.
La restituzione del suo laboratorio, invero emozionante, parte proprio da una fruizione, sotto forma di piccola mostra, di segni, immagini e voci delle altre attività svolte dal suo team in giro per il mondo, volendo significare che possa esistere una sorta di filo invisibile che lega questi luoghi lontani, dall’Italia al Brasile, dalla Francia all’Africa.
La Palestra Brocchi per la creazione di Mia Habib x Dance Well dancers intitolata How to. A score. Bassano. è stata riadattata dividendola in due parti: la prima, alle spalle della platea, con una installazione di piante e fotografie che delimitano una sorta di spazio emotivo personale e dal quale prende avvio la coreografia con i performer che prima camminano dentro questo spazio alle spalle del pubblico, per poi entrare nell’altra parte, quella di fronte alla platea, che separa in due la palestra.
I loro gesti sembrano quasi quelli delle radici delle piante che si insinuano per poi arrivare ad occupare lo spazio antistante.
Non c’è musica.

C’è silenzio, niente musica, e man mano che l’azione prosegue, dopo una serie di azioni gestuali libere, questa assenza di stimoli sonori permette non solo di sentire il movimento delle persone, ma anche la partitura sonora che viene effettuata proprio per mezzo di rami sbattuti, intrecciati, mossi, fino a che i performer, portando ciascuno un ramo vicino agli spettatori, iniziano a cantarci sopra chiedendo a chi è presente di tenere in mano l’altro estremo del ramo, per ascoltare.
La performance si chiude con un girotondo finale ma è evidente che la questione cardine riguarda proprio l’ascoltare quello che non siamo abituati ad ascoltare: la natura è maestra ma spesso non siamo neanche capaci di ascoltare l’essere umano che ci è prossimo. Prendersi per mano alla fine quasi commuove.

Si passa da questa esperienza di attività coinvolgente, al codice più freddo e misurato di Zoè, lavoro di Luna Cenere, la giovane coreografa presente quest’anno in diversi festival e rassegne dedicate alla danza in Italia, fra le quali anche Biennale danza.
Diversamente dallo spettacolo proposto in Biennale, la creazione che viene offerta al pubblico bassanese è fatta da una serie di quadri, spezzando così una ideale unità drammaturgica ma favorendo in questo modo una serie di cambi di ritmo che sicuramente giovano all’equilibrio finale della visione, come se si fosse dentro una sorta di progetto sinfonico, composto da tempi e temperature emotive diverse. Sono cinque i performer in scena e nella sequenza iniziale sono allineati e sdraiati in proscenio, uno dietro l’altro, a formare una schiera di corpi distesi, eccezion fatta per le gambe che sono piegate e rivolte verso l’alto.


Lentissimi movimenti nella nudità creano una coreografia minimale, cifra del codice specifico della artista. Il tema della schiera e del movimento coordinato ritorna anche negli altri successivi episodi dove i performer sono invece in movimento e compongono e scompongono forme schematiche e allineamenti, nel tentativo di fornire allo spettatore una biblioteca visiva della corporeità come segno equivoco.
In una ulteriore scena, ad esempio, vediamo solo le schiene dei danzatori che sono piegati su se stessi all’indietro e danno le spalle al pubblico, dando origine con le mani a gesti che sembrano quasi il fiorire di piante che sbucano fra le natiche, dai corpi, come se fossero vasi.
Le suggestioni coreografiche della creazione, pur non componendo un unicum di segni, definiscono comunque un’idea che resta assolutamente coerente all’interno della poetica dell’artista, molto nitida e riconoscibile.

Partecipata e coinvolgente in questa edizione di B.Motion Danza a Bassano, negli spazi della chiesa di San Bonaventura, è stata poi la creazione di Ioanna Paraskevopoulou dal titolo Mos. In scena, oltre alla danzatrice il performer Georgios Kotsifakis.
Si entra nello spazio scenico ricavato negli spazi della ex chiesa e sul pavimento sono già presenti numerosi oggetti totalmente incongruenti fra loro: cassette di legno che contengono rami frondosi, noci di cocco spaccate a metà, corde, stura lavandini, tappeti, bacinelle piene d’acqua.
Entrano in scena i due performer e Danis Chatzivasilakis, che cura la tecnica audio-video in diretta. L’azione spettacolare inizia con alcune proiezioni a fondale con immagini di film degli anni 50 in bianco e nero di cui i due, in modo artigianale, fanno doppiaggio sonoro, utilizzando in modo buffo gli oggetti presenti in scena. È un esperimento che da Kathie Mitchell in avanti, ha fatto la storia dello spettacolo dal vivo in presa diretta e che, anche rilanciato dalla fortuna social di alcuni doppiatori sonori, è diventato un ambiente creativo adatto a trovare nuove e potenti declinazioni.
Seguendo la felice drammaturgia pensata da Elena Novakovits, i due iniziano così a realizzare una partitura fisico-gestuale che fa per un verso da commento sonoro, e per altro da azione fisica vera e propria, fino a sganciare in un certo modo l’azione dal nesso diretto con il video, continuando l’azione di doppiaggio ma non più con la proiezione a fondale, bensì con una serie di estratti video che però vengono riprodotti alle spalle del pubblico, su alcuni schermi televisivi piccoli.

Questo costringe gli spettatori a non avere nello stesso sguardo il video e il doppiaggio sonoro contemporaneamente, e a dover così scegliere se guardare un video e immaginare il modo ingegnoso in cui vengono prodotti i suoni, oppure guardare questo ideale tappeto sonoro e gestuale e immaginarsi un qualsivoglia film a cui questi suoni potrebbero tornare adatti. Si potrebbe persino chiudere gli occhi e ascoltare solo i suoni e immaginare un film, di fatto lasciando tutto alla fantasia. Questo certamente è un bel punto concettuale per un lavoro basato sulle interazioni e gli stimoli sensoriali incrociati.
Completato l’ennesimo giro di doppiaggio, lo spettacolo evolve in una direzione ulteriore, con una seconda parte in cui i due si avventurano, sempre ispirati da un film d’epoca in cui ci sono due ballerini, in un lungo duetto di tip tap: i danzatori iniziano una danza frenetica che li impegnerà fino allo spasimo per i successivi 20 minuti, fatti di sincronia e di composizione sonora.
Il tecnico alla consolle registra il sonoro di alcuni pezzi di danza ritmata, creando un loop su cui loro poi continueranno a improvvisare, stratificando ritmi e gesti.
Anche questo è un meccanismo che si vede in molti filmati in rete, con  musicisti e polistrumentisti che costruiscono composizioni sonore sovrapponendo frasi musicali di strumenti diversi o con lo stesso strumento, ma certamente la base ritmica in presa diretta implica delle complessità di sincronia davvero ardue, che gli artisti risolvono in modo davvero mirabile.
il pubblico tributa alla impegnativa performance un lungo applauso. Qualcuno si sente persino di doversi alzare in piedi per tributare omaggio alla creazione.